La Repubblica dell’India vive le due facce del Land grabbing in quanto da una parte acquista porzioni di terra all’estero, dall’altra vende la propria terra in nome dello sviluppo economico. In India, il 65% delle persone dipende dalla terra e, allo stesso tempo, l’economia globale vuole sempre più terra per le industrie, per le città, per le infrastrutture e per le piantagioni. In altre parole la globalizzazione e le nuove forme di colonialismo economico stanno portando a un massiccio accaparramento di terre in Asia, in Africa e in America Latina.
Per Land grabbing si intende un “accaparramento di terre fertili praticato in violazione di diritti umani senza consenso preventivo da parte delle popolazioni coinvolte e senza la minima considerazione dell’impatto socio-economico e ambientale ed evitando la conclusione dei contratti trasparenti”. Spesso, quando si parla di Land grabbing, si parla di una forma di neocolonialismo agricolo che mette in luce i movimenti finanziari verso gli alimenti e i terreni fertili. In occasione dei fenomeni di Land grabbing da una parte i contadini locali perdono la propria fonte di reddito in quanto non detengono più la proprietà della terra, dall’altra gli attori che acquistano tali appezzamenti utilizzano la manodopera del proprio paese o sfruttano intensivamente il territorio provocando fenomeni di inquinamento.
Il Land grabbing in India
L’India ha intrapreso uno sforzo su larga scala guidato dallo stato per irrigare e modernizzare l’agricoltura e parallelamente ha dato un grande impulso all’industrializzazione e all’urbanizzazione. Tali tendenze hanno portato all’acquisizione di terreni su larga scala da parte dello stato grazie al Land Acquisition Act del 1894, ovvero una legge sull’acquisizione di terreni che il governo dell’India indipendente trovò conveniente per affrontare la frammentazione delle proprietà terriere. In questo modo il governo ha attuato fenomeni di Land grabbing sul proprio territorio. Si stima che dalla propria indipendenza, avvenuta nel 1947, siano stati acquisiti o convertiti più di 50 milioni di acri di terra – circa il 6% della terra totale dell’India – e che siano state colpite più di 50 milioni di persone. I proprietari terrieri colpiti venivano pagati poco e in molti non sono mai stati pagati, mentre coloro che dipendevano dalla terra per i mezzi di sussistenza e non erano proprietari sono rimasti senza terra.
A ciò si aggiungono gli effetti del programma di aggiustamento strutturale della Banca mondiale del 1991 che ha facilitato la riforma agraria, le attività minerarie liberalizzate, e la costruzione di infrastrutture. Di conseguenza le leggi indiane furono modificate verso una maggiore liberalizzazione tranne per quanto riguarda il Land Acquisition Act con il quale lo stato ha acquisito la terra dai contadini e dai popoli tribali e rivenduta a speculatori privati, società immobiliari, compagnie minerarie e industrie. In questo senso il governo Indiano sta causando enormi problemi dal punto di vista ecologico ma anche per quanto riguarda la sicurezza alimentare e il sostentamento delle comunità rurali.
Ad esempio, nel distretto di Uttar Pradesh la società di infrastrutture Jaiprakash Associates sta acquisendo circa 6000 acri di terra per costruire distretti di lusso, strutture sportive e la superstrada Yamuna mettendo così a rischio il terreno di circa 1225 villaggi. I contadini hanno protestato per questa ingiusta acquisizione di terre e sono morte quattro persone durante uno scontro tra manifestanti e polizia il 7 maggio 2011. La prassi vede il terreno acquistato dagli agricoltori a circa 6$ per metro quadrato dal governo, usando il Land Acquisition Act e rivenduto a circa 13.000$ per metro quadrato. Tale dinamica aumenta lo stress del suolo (provocandone il sovrasfruttamento e la conseguente sterilizzazione del terreno) contribuendo alla povertà, all’espropriazione e al conflitto tra le diverse etnie e comunità o minoranze.
Quello dell’Uttar Pradesh non è l’unico esempio e si potrebbero ricordare anche le proteste in occasione dell’inizio dei lavori della mega diga Narmada promossa dalla Banca Mondiale o lo sfruttamento intensivo dell’acqua nello stato indiano del Kermala ad opera dell’Hindustan Coca-Cola Beverages, società sussidiaria di Coca-Cola.
L’India come attore del Land grabbing all’estero
L’India è, insieme alla Cina, la Corea del Sud e l’Arabia Saudita, tra i principali paesi “Land grabbers” per poter coltivare raccolti ed estrarre materie prime. Attualmente la terra è la risorsa più scarsa dell’India e questa rappresenta la fonte di sostentamento per oltre la metà della sua popolazione. Per questo motivo l’India ha utilizzato la copertura della cooperazione Sud-Sud per portare avanti le proprie azioni di Land grabbing.
Un esempio è l’accaparramento di terre da parte delle multinazionali indiane in Etiopia, facilitato dai governi di entrambi i paesi, che usano la retorica dello sviluppo mentre emarginano le comunità indigene che sopportano la conseguente devastazione sociale, economica e ambientale. In Etiopia le aziende indiane sono i maggiori investitori nel paese, avendo acquisito più di 600.000 ettari di terra per progetti agroindustriali. Con l’80% della sua popolazione impegnata nell’agricoltura, l’Etiopia ospita oltre 34 milioni di persone cronicamente affamate. Ogni anno, milioni di persone dipendono dagli aiuti per la propria sopravvivenza. In tale contesto gli accordi di vendita di terra su larga scala con gli investitori indiani sono descritti come una situazione win-win in quanto modernizzerebbero l’agricoltura, porterebbero nuove tecnologie e creerebbero occupazione.
La ricerca dell’Oakland Institute contraddice tali affermazioni in quanto la maggior parte di ciò che viene prodotto è costituito da colture di esportazione non alimentari, mentre gli incentivi fiscali offerti agli investitori stranieri privano l’Etiopia di utili preziosi. Inoltre, le promesse della creazione di posti di lavoro rimangono insoddisfatte poiché il lavoro di piantagione nella migliore delle ipotesi offre posti di lavoro a basso reddito. Infine il governo etiope sta usando il suo programma di ricollocamento per spostare con la forza circa 1,5 milioni di indigeni dalle loro case, fattorie e pascoli con lo scopo di far posto alle piantagioni agricole monocolturali. Coloro che rifiutano subiscono intimidazioni, percosse, stupri, detenzioni arbitrarie e rischiano persino la morte.
Prospettive e danni sociali
Come abbiamo visto l’India vive le due facce del Land grabbing essendo tra i principali promotori di tale dinamica e allo stesso tempo tra i paesi maggiormente colpiti. Tale dinamica ci segnala che con l’aggravarsi del cambiamento climatico la terra diventerà sempre più preziosa, causandone una corsa all’accaparramento. Il rischio è quello di far soffrire maggiormente popolazioni già vulnerabili.
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Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment
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