Bambini Talibè in Senegal: la vita in bilico tra abusi e accattonaggio

Talibè-Senegal

Per la strada di Dakar e in molte altre città del Senegal si possono osservare ragazzi impolverati, sporchi e spesso a piedi nudi che tengono in mano lattine di pomodoro vuote o ciotole di plastica per chiedere l’elemosina, nella maggior parte dei casi si tratta dei bambini Talibè. Uno studio dell’UNICEF del 2007 sull’accattonaggio dei bambini a Dakar, la capitale del Senegal , ha rilevato che oltre il 90% dei bambini sono Talibè, ad oggi però non ci sono ancora statistiche ufficiali e vengono coinvolti bambini tra gli 8 e i 15 anni.

Talibè e Marabutto in Senegal

Il termine Talibè nella lingua Wolof significa “discepolo” e si riferisce ai bambini che frequentano le Daara ovvero le scuole coraniche gestite dai Marabutto, coloro che insegnano i precetti dell’islam sulla base dell’apprendimento mnemonico del Corano. Le Daara in Senegal hanno garantito per secoli una buona diffusione dell’educazione islamica in tutti i segmenti della popolazione del paese dell’africa occidentale. Qui spesso però si attua la punizione fisica che per molti paesi musulmani dell’africa occidentale viene considerata una parte importante del processo educativo.

Tra il Talibè e il suo Marabutto esiste un rapporto di devozione e stretta obbedienza in quanto il Marabutto offre la sua guida e la sua protezione ai propri discepoli che esprimono la propria fiducia attraverso un sostegno economico o la decima.  In Senegal la questione dei Talibè non è vista in maniera omogenea, alcuni ne promuovono la diffusione mentre altri la chiusura. A ciò si aggiunge che i genitori che decidono di mandare i figli a una Daara spesso lo fanno attraverso un affidamento di fatto, a causa delle proprie difficoltà economiche, e per offrire un futuro migliore al bambino costruendo un rapporto con la fratellanza mussulmana a cui il Marabutto appartiene e di conseguenza per preparare il bambino alla carriera di Marabutto. Occorre notare però che la formazione dei Talibè rimane essenzialmente legata ai valori dell’Africa occidentale in materia di educazione dei bambini.

L’accattonaggio, le punizioni e la vita nelle Daara

Originariamente l’accattonaggio dei Talibè era costituito nel chiedere cibo per integrare le scorte della Daara quando questa non poteva sostenere il proprio fabbisogno attraverso i raccolti forniti dai campi del Marabutto. Tale pratica si è evoluta dal momento in cui le Daara sono cresciute in ambiente urbano e hanno richiesto un cambiamento di reddito. In questo modo la pratica dell’elemosina ha fatto sì che i bambini dessero denaro al posto del cibo. Il problema degli abusi dei Marabutto verso i bambini Talibè in Senagal non è soggetta alla regolamentazione statale e di conseguenza alcune scuole abusano del rapporto che intercorre tra discepolo e maestro. Spesso quella che dovrebbe essere una istituzione di educazione può assumere sfaccettature negative. Alcuni Marabutto, invece di insegnare il Corano ai loro Talibè, li sfruttano per il lavoro o per l’accattonaggio forzato per le strade. In alcuni casi questo sfruttamento espone i bambini a malattie, ferite, morte, abusi fisici e sessuali all’interno o all’esterno della Daara.

Human Rights Watch da un’indagine su 175 bambini Talibè in Senegal ha stimato una media di poco meno di 8 ore al giorno, ogni giorno, di accattonaggio per poter richiedere una cifra tra i 373 CFA (0,56 €) e i 445 CFA (0,67 $) nei giorni di festa. Somma difficile da raggiungere in quanto poco meno del 30% della popolazione senegalese vive con meno di 593 CFA (0,90 €) al giorno e dove il 55% vive con meno di 949 CFA (1,44 €). Oltre al denaro spesso vengono richieste quote alimentari come lo zucchero e il riso. Se tale quota non viene rispettata il rischio e quello di subire abusi fisici e ad esempio molti ragazzi mostrano cicatrici e lividi spesso dovuti all’applicazione di cavi elettrici o bastoni.

Spesso però il Talibè più anziano, che diviene l’assistente del marabutto, è il responsabile per la punizione dei Talibè più giovani che non restituiscono la loro quota giornaliera o che ritornano in ritardo. Nei casi in cui il Marabutto non sorveglia i bambini, il Talibè più anziano ha potere assoluto su di questi in quanto potrà derubarli o abusare di loro fisicamente o sessualmente. In generale i bambini rischiano percosse, abusi sessuali, incatenamento, incarcerazione e numerose forme di abbandono e di pericolo in almeno 8 delle 14 regioni amministrative del Senegal. A ciò si aggiungono i rischi connessi al traffico e alla migrazione dei bambini Talibè in Africa, tra cui il trasporto illecito di gruppi di Talibè e attraverso regioni e confini nazionali.

I Talibè senegalesi spesso sono sprovvisti di beni di prima necessità e alloggio, dovendo sostenere ore più lunghe di accattonaggio o dormire per strada. Le condizioni nelle stesse Daara urbane, inoltre, sono spesso caratterizzate da malnutrizione, mancanza di abbigliamento, esposizione a malattie e scarse cure igieniche. Spesso centinaia di bambini Talibè vivono in condizioni di estrema sporcizia e squallore in edifici incompiuti e privi di pareti, pavimento o finestre. Qui spazzatura, fognature e mosche intasano il terreno e l’aria e spesso i bambini dormono stipati a decine in una stanza all’aperto, la maggior parte di queste senza zanzariere e quindi a rischio di infezioni o malattie. La situazione viene aggravata dal fatto che se i bambini si ammalano, questi sono costretti a mendicare per pagarsi le proprie cure.

I numerosi diritti violati

Dal punto di vista del diritto vi sono numerose questioni relative ai diritti umani e ai diritti dell’infanzia, pertanto la questione dei bambini Talibè in Senegal chiama in causa diverse convenzioni internazionali. Quando parliamo dei Talibè possiamo trovarci davanti a casi di schiavitù, lavoro forzato e traffico di esseri umani.

Alcune ONG sostengono che quando un Marabutto acquisisce la custodia di un Talibè per costringerlo a mendicare, questo corrisponde alla definizione di una “pratica affine alla schiavitù” come definita dalla Convenzione supplementare sull’abolizione della schiavitù (1956). Inoltre la Convenzione sul lavoro forzato e obbligatorio (1930) descrive il lavoro forzato come “un lavoro che viene esercitato da qualsiasi persona sotto minaccia di qualsiasi sanzione e per la quale la persona in questione non si è offerta volontariamente”. A ciò si aggiunge che l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha ritenuto la pratica dello sfruttamento dei Talibè in Senegal rientrare nell’ambito della Convezione relativa alla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile (1999), equiparando l’accattonaggio forzato alla schiavitù. A sua volta Human Rights Watch, considerando il punto di vista dell’OIL, ha sostenuto che i Marabutto, quando trasportano i Talibè con intenzione primaria di ottenere lavoro da loro, sono coinvolti nella tratta dei minori. In proposito si fa il riferimento all’articolo 3(c) del  Protocollo sulla tratta degli esseri umani (2003) secondo cui “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere un bambino ai fini di sfruttamento sono considerati tratta di persone”.

Oltre a queste vengono violate numerose disposizioni per quanto riguarda la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in quanto l’accattonaggio forzato minaccia la sicurezza fisica e mentale dei bambini Talibè, l’educazione viene trascurata a causa delle ore di accattonaggio, e i bambini subiscono punizioni corporali, abusi sessuali e negazione del tempo libero da parte del Marabutto.

Le iniziative intraprese dalle istituzioni

Per risolvere la situazione nel 1992 l’UNICEF ha lanciato un’operazione quinquennale di sensibilizzazione sui bambini Talibè in Senegal e ha cercato di lavorare fianco a fianco dei Marabutto. Viste però le carenze del modello UNICEF dal 1997 questo lavoro è stato ripreso dalle ONG specializzate come la Plateforme pour la promotion er l protection de Droits Humains, Human rights watch e Maison de la gare.

Accanto alle ONG internazionali e locali a loro volta i funzionari del governo si sono ripetutamente impegnati ad affrontare il problema anche attraverso due fasi di un programma incentrato su Dakar per togliere i bambini dalle strade nel giugno 2016 e nel Marzo 2018. Tuttavia gli sforzi hanno avuto un impatto limitato e non hanno raggiunto migliaia di bambini che chiedono l’elemosina in altre regioni del paese. In questo senso i programmi governativi dovrebbero essere estesi oltre Dakar e mettere a disposizione dei Daara fondi che diano priorità all’istruzione e rispettino i diritti dei bambini come parte di una strategia nazionale per la protezione dell’infanzia.

Occorre comunque ricordare che molti da Daara sono liberi dai problemi di abuso e che il successo in una di queste scuole può portare a una forte conoscenza del Corano e ad una posizione di prestigio come Imam o Marabutto. Molti genitori, spesso lontani da casa, però non sono consapevoli dei rischi che i bambini possono incorrere entrando in Daara poco virtuose. Ciò è dovuto al fatto che il maltrattamento dei bambini Talibè in Seanegal spesso è un grande tabù nella società. A tal proposito le campagne di sensibilizzazione stanno lentamente suscitando un dibattito.

Se ti è piaciuto l’articolo Condividici!

Avatar photo

Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment

Conoscere è resistere!

Condividi questo articolo e aiutaci a diffondere i nostri contenuti

Una risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Puoi continuare ad approfondire attraverso i nostri articoli:

Diritti LGBTQ+ in Senegal: un mosaico di differenze senza i colori dell’arcobaleno

Il Senegal è un Paese che presenta un quadro nazionale eterogeneo sia dal punto di vista etnico che da quello linguistico e religioso. Come molte altre nazioni limitrofe, in Senegal convivono diverse popolazioni che praticano diverse fedi e parlano diversi idiomi. L’etnia dominante è la Wolof, seguita dai Fula e dai Sérèr e da altre popolazioni ancora. La religione più diffusa invece è l’Islam, praticato da circa il 95% della popolazione, segue poi il Cristianesimo (5%) mentre il resto della popolazione pratica alcune forme di animismo che, rifacendosi ad una radicata tradizione prettamente africana, permeano in realtà anche le fedi dominanti importate dall’esterno, originando un sincretismo religioso islamico e cristiano. Ogni popolo, inoltre, ha una sua lingua e la lingua ufficiale del Paese è il francese (uno dei lasciti del colonialismo). Eterogeneo, dunque, è il modo migliore per descrivere la situazione in Senegal, ma qui più che in altri paesi queste differenze interne trovano il modo di mescolarsi e mischiarsi tutto sommato armoniosamente, soprattutto rispetto ad altre controparti del Continente che presentano condizioni sociali e antropologiche simili. In una realtà come questa in cui Islam e Cristianesimo convivono pacificamente, dove popoli e lingue diversi sono comunque legati l’un l’altro da rapporti di cousinage (“cuginanza”, un legame vero e proprio avvertito dai cittadini senegalesi) ci si può aspettare un atteggiamento disteso nei confronti delle minoranze sessuali. Tuttavia non è esattamente così e le persone queer in Senegal sperimentano comunque discriminazione, oppressione e marginalizzazione all’interno della società. Quadro Legislativo e Impatto nella Società Civile L’articolo 319 del Codice Penale Senegalese legifera in materia di omosessualità. Nello specifico, l’articolo stabilisce una pena da 1 a 5 anni di carcere e una multa da 100.000 a 1.500.000 franchi per chiunque commetta un “atto contro natura con un individuo dello stesso sesso”. Inoltre, sempre secondo quanto stabilito dal Codice, il massimo della pena verrà sempre applicato se l’atto viene commesso con una persona al di sotto dei 21 anni. Con una premessa del genere è naturale che in Senegal non esista alcun riconoscimento per le coppie omosessuali (né matrimonio egualitario, né unioni civili), mentre, sebbene le regole in materia di adozioni non esprimano un chiaro divieto per le coppie formate da individui dello stesso sesso (rendendo quindi la pratica, sulla carta, possibile), è chiaro che tale diritto non venga in alcun modo goduto dagli stessi nel Paese. Mancano, inoltre, leggi che tutelino le minoranze sessuali criminalizzando l’intolleranza ed i crimini d’odio che spesso subiscono le persone LGBTQ+ senegalesi. Alla luce di un tale quadro legislativo, il Senegal negli ultimi anni ha ricevuto pressioni internazionali per abrogare la normativa discriminatoria e mettere in atto politiche di tutela per la comunità LGBTQ+. Fra gli attori internazionali che hanno spinto per questo cambio legislativo ci sono le Nazioni Unite, Amnesty International e l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama che nel giugno 2013, in visita in Senegal, invitò i paesi africani a concedere diritti alle persone omosessuali. In tutta risposta, il Presidente del Senegal, Macky Sall, rieletto di recente alle presidenziali del 2019, rispose che il Paese “non è ancora pronto a decriminalizzare l’omosessualità” aggiungendo tuttavia che questo non faceva del Senegal un paese omofobo e che anzi si qualificava come uno Stato piuttosto tollerante per le persone omosessuali e transessuali. La risposta del Capo di Stato al Presidente statunitense fu accolta dai giornali con gioia e lodi per il Presidente Sall, dimostrando che quanto da lui sostenuto non era esattamente vero. Il Senegal, infatti, rientra fra i 31 Paesi africani che criminalizzano i rapporti consensuali fra individui dello stesso sesso. La normativa inoltre è largamente applicata ed è molto lontana da essere lettera morta e, anzi, è spesso utilizzata come pretesto legislativo per arresti arbitrari, violenze ed altre violazioni dei diritti umani ai danni della comunità LGBTQ+ senegalese che, è certo, non ha assolutamente vita facile all’interno del Paese, checché ne dica il suo più alto rappresentante. Percezione e Status Sociale Le persone queer senegalesi, infatti, sono costrette a vivere la loro condizione in clandestinità, nell’impossibilità di esprimersi liberamente col rischio di incorrere in pene giudiziarie molto gravi, nel migliore dei casi, od in violenze e privazioni delle libertà fondamentali nel peggiore.  Secondo un sondaggio del 2013 del Pew Research Center di Washington, in Senegal il 97% della popolazione ritiene che l’omosessualità sia inaccettabile per la società, confermando una tendenza riscontrata dallo stesso istituto in un sondaggio simile nel 2007. L’origine di questa intolleranza risiede, in parte, sicuramente nella cultura religiosa del Paese, composta per la maggioranza da musulmani sunniti e, in piccola parte, da confessioni cristiane. L’Islam ed il Cristianesimo, sebbene abbiano tradizioni antichissime nel Paese, sono religioni d’importazione che si sono stabilite su un substrato animista tipico delle regioni africane già presente in principio – e che ancora sopravvive nel sincretismo religioso che si è originato in Senegal – ed in veri e propri culti animisti che ancora sopravvivono in alcune zone del paese e presso alcune popolazioni. Quando queste due fedi ora dominanti si sono incontrate con le credenze animiste, hanno soppiantato alcuni dei valori insiti a quel credo e li hanno sostituiti con nuovi. Fra questi ci sono sicuramente il binarismo di genere, la disparità fra i sessi e la sacralità e l’istituzionalizzazione delle relazioni eterosessuali, concetti cardine che regolano i rapporti fra fedeli islamici e cristiani, mentre è noto che le religioni animiste siano molto meno legate a certi modi d’intendere le relazioni fra persone, l’identità di genere e la sessualità (non è raro, infatti, che le figure religiose di riferimento di certi culti animisti non pratichino per forza relazioni eterosessuali).  La posizione ufficiale del governo senegalese è che l’omosessualità in sé non sia reato, solo gli atti ritenuti contro natura fra persone dello stesso sesso e questo basterebbe a rendere il Paese tollerante. Così non è, in realtà. Lo provano le numerose violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni di molti cittadini senegalesi, violazioni che si sono verificate non soltanto quando i protagonisti si trovavano in flagranza di reato, ma anche basandosi su voci, pettegolezzi o sul mero sospetto che qualcuno potesse

Leggi Tutto »