Il sistema delle caste in India è tutt’oggi in vigore anche se con modalità e leggi diverse. Questo tipo di sistema sociale ha avuto origine circa due mila anni fa in quel territorio che oggi è ricompreso tra India e Nepal. Questo sistema all’origine divideva le persone nelle varie caste di appartenenza in base al lavoro che facevano ma successivamente la divisione veniva effettuata su base ereditaria, facendo sì che ogni persona ancor prima della nascita era destinata a un determinato stile di vita.
Le grandi classi che compongono questa società piramidale sono chiamate varna, ovvero colori, mentre il termine “casta” viene dal portoghese, che traduce dal sanscrito jati, che vuol dire nascita. La nascita per gli indiani è sinonimo di far parte di una casta. La traduzione di questo concetto con la parola “casta” è quindi errata in quanto proviene da un termine che è l’equivalente di sottocasta. Gli jati infatti sono i diversi sottogruppi dei varna all’interno dei quali vengono circoscritti i singoli mestieri. Esiste quindi la sottocasta dei barbieri, quella dei suonatori o dei medici e così via.
Questa ulteriore distinzione è necessaria all’interna di un sistema strutturato in questo modo perché chi fa parte di una determinata sottocasta può svolgere solo un mestiere e lo stesso varrà anche per i suoi figli. Queste sotto caste possono indicare però anche l’appartenenza a una setta, una tribù, una stirpe o un determinato luogo geografico.
Struttura e caratteristiche del sistema delle caste
Nel sistema piramidale vengono delineati quattro gruppi principali che sono, in ordine di importanza:
- I Brahmani (i sacerdoti),
- I Kshatriya (i guerrieri e i nobili),
- I Vaisya (gli agricoltori, i commercianti e gli artigiani),
- I Shudra (i mezzani e i servi).
Al di fuori di questi gruppi poi, ci sono i paria, gli “intoccabili”. Dal XX secolo si chiamano anche dalit che significa “gli oppressi”, per porre l’accento sulle condizioni di vita di questo gruppo sociale. Il nome intoccabili deriva dal fatto che questo gruppo sociale è relegato a svolgere i mestieri ritenuti “impuri” dalla religione induista. I dalit infatti sono conciatori di pelle, lavorano nel settore funebre o delle pulizie.
Un’altra caratteristica molto importante, tramandata fino ai giorni nostri, è il matrimonio. Questo è consentito solo tra persone appartenenti alla stessa casta e, conseguentemente, i loro figli ne faranno indissolubilmente parte.
Le prime tre caste vengono chiamate anche dvija, “nati due volte”, perché gli uomini nascono metaforicamente due volte grazie al rito di iniziazione del upanayana che significa “condurre vicino”, ovvero “condurre un giovane discepolo vicino un maestro affinché conosca il Veda” (raccolta di testi sacri dei popoli arii in sanscrito vedico). Con questo rito gli ārya, ovvero coloro che fatto parte della dvija, entrano nel primo āśrama, il Brahmacārya (condotta in armonia con il Brahman), e in questo modo diventa un brahmacārin. Gli shudra i dalit e gli harijan invece, si chiamano anche i “nati una volta”, proprio perché non possono eseguire nessun rito di iniziazione.
Motivi religiosi e pratici di una divisione gerarchica
Questa divisione di classi può essere vista sotto il punto di vista idealista o materialista: secondo il primo, questo sistema sociale è un prodotto della visione religiosa della vita, un modo alternativo per rappresentare le disuguaglianze sociali; mentre in un’ottica materialista, questo sistema è una giustificazione meramente superficiale della distinzione sociale.
Il motore principale che rende il sistema delle caste di difficile eradicazione anche nella società moderna è il concetto di reincarnazione. Secondo questo principio, se un individuo si comporta bene in vita, si potrebbe reincarnare anche in un brahmano. Contrariamente, qualora si comportasse male, potrebbe scendere nella scala gerarchica, fino ad addirittura reincarnarsi in un animale – motivo per cui molti indiani sono vegetariani. Questo ciclo di reincarnazione dell’anima nei corpi si chiama saṃsāra e contiene in sé il principio intrinseco secondo il quale, se si nasce in una casta “inferiore”, vuol dire che nella vita precedente si è stati peccatori. Questo evita tutt’ora che la popolazione indiana, soprattutto quella dei dalit, si ribelli contro questo sistema. Molti di loro sono convinti di meritarsi questo “castigo” così da poter espiare le proprie colpe nell’attuale vita e potersi reincarnare in una casta più alta nella prossima.
A favore o meno delle caste
Per il Mahatma Gandhi “le caste hanno salvato l’induismo dalla disintegrazione, pur soffrendo di escrescenze. Le sottocaste, però, rappresentano un impedimento”, mostrandosi quindi a favore dell’abolizione del sistema delle sottocaste e dell’integrazione dei dalit, mantenendo però le dovute distanze.
Al contrario Ramji Ambekar, di famiglia dalit e “padre della Costituzione Indiana”, era a favore dell’abolizione totale del sistema delle caste. La sua visione di vita molto contemporanea si può rivedere in una frase molto emblematica:
L’uguaglianza può essere una finzione, ma bisogna comunque accettarla come principio guida.
Infatti, per tutta la vita lottò per l’uguaglianza arrivando a siglare un accordo di fronte alla prigione di Proon. Tale accordo divenne legge nel 1950 e pose le basi per l’adozione di una legge contro la discriminazione sulla base della casta e la legge di “intoccabilità” dei dalit.
Le caste dall’indipendenza ad oggi
Dall’indipendenza il sistema delle caste è rimasto più o meno invariato. Infatti, appena raggiunta l’indipendenza, l’India versava in una situazione di disuguaglianza sociale molto rilevante e la linea guida fu quella di mantenere il sistema delle caste così da stimolare gli appartenenti a ciascuna casta e sottocasta a dedicarsi al proprio settore al meglio. Poi, con il passare del tempo, nelle grandi città l’appartenenza ad una casta è diventato quasi un concetto obsoleto. Nelle campagne e nei centri rurali invece, il sistema delle caste continua ad essere una realtà ben presente e tangibile.
Il sistema delle caste è stato formalmente abolito nel 1947. Nella Costituzione Indiana infatti, l’articolo 15 recita così:
Lo Stato non può discriminare nessun cittadino per motivi di religione, razza, casta, sesso, luogo di nascita. Nessun cittadino può per motivi di religione, razza, casta, sesso o luogo di nascita essere soggetto a forme di discriminazione, restrizione o condizione riguardo a:
(a) l’accesso a negozi, ristoranti pubblici, hotel, luoghi di intrattenimento pubblico; o
(b) l’uso di pozzi, serbatoi, bagni, strade e luoghi di uso pubblico mantenuti in tutto o in parte con fondi statali o dedicati per il pubblico impiego.
E l’articolo 17 aggiunge:
“L’intoccabilità” è abolita e la sua pratica in ogni forma è proibita. L’applicazione di qualsiasi disabilità derivante dall’ “intoccabilità” sarà un reato punibile dalla legge.
Nonostante questi due articoli costituzionali, la vita dei dalit continua a seguire sempre lo stesso andamento: seppur hanno ottenuto il diritto di voto, d’istruzione e di lavoro continuano a vivere in situazioni marginali popolando gli slum in tutto il paese.
Alcuni cambiamenti però ci sono stati: i Kshatriya praticamente non esistono più, i brahmani non sono più solo sacerdoti, ma anche industriali, ministri o anche servi di altri brahmani più importanti. Sostanzialmente la casta ad oggi non è sinonimo di ricchezza – si può trovare un brahmano povero o un vaisya ricco – ma rappresenta tutt’ora una scala gerarchica di divisione della società.
Uno dei problemi che si è presentato negli ultimi anni è stato il censimento: l’India conta circa 1,2 miliardi di abitanti di cui il più o meno il 70% vive nelle aree rurali, rendendo molto difficile conteggiarne l’effettiva esistenza. Inoltre, nel 2011 il Governo centrale ha deciso di fare un censimento per casta scatenando un grande dibattito interno dal momento che, fare riferimento alle caste quando queste formalmente erano state abolite quasi 50 anni prima, appariva come un’auto-denuncia dell’incapacità della politica di far fronte ai disagi della propria popolazione.
Il motivo alla base di questa decisione era però proprio quello di verificare l’incidenza della povertà in determinate caste rispetto ad altre, nel tentativo di abbattere questo status quo. Gli oppositori di questa iniziativa governativa infatti, erano i nostalgici del passato coloniale che volevano che tutto rimanesse come era nel 1931 – ultima volta in cui nel paese si parlava ufficialmente di caste.
Nonostante quello che sembrava l’inizio di un periodo di riforma sostanziale del sistema però, il 20 marzo 2018 la Corte Suprema indiana ha emesso una sentenza che ha indebolito duramente la “legge sulle Atrocità”. Tale legge, approvata nel 1989, era stata adottata proprio per sanzionare pesantemente gli atti discriminatori perpetrati contro i fuori casta. Questa sentenza ha scatenato la rivolta dei dalit che sono scesi in piazza a manifestare nei primi giorni di aprile del 2018. A queste manifestazioni però la polizia ha risposto con il fuoco, causando 9 morti e centinaia di feriti. Questo episodio, che purtroppo non è l’unico nel suo genere, è uno degli esempi tangibili di come ancora molto lunga è la strada da percorre dalla politica e la magistratura indiane per poter abolire un sistema completamente volto a preservare le disuguaglianze sociali e le discriminazioni interne.
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