Sud Sudan
Sud Sudan
(A cura di Angelo Lerro)
Con una superfice pari due volte a quella italiana e posto nel centro-est africano vi è il
Sud Sudan, lo stato più giovane del mondo. Sulle rive del Nilo Bianco sorge
Giuba la capitale.
Il territorio sud sudanese si sviluppa come cerniera fra tre macro regioni africane: l’Africa Sahariana, il Corno d’Africa e l‘Africa centrale. Difficile delineare con precisione quali popoli e civiltà si siano intervallate nei secoli in queste regioni, ciò che appare certo è che fin dà i primi decenni del XIX secolo le terre, che oggi fanno parte del Sud Sudan, furono oggetto dell’influenza delle confinanti popolazioni sudanesi.
Il Sud Sudan seguì per decenni le sorti del vicino Sudan come dimostra la “colonizzazione” egiziana degli ultimi decenni del 1800, ad opera del viceré d’Egitto
Isma’il Pascià (che era riuscito a portare sotto il controllo del Cairo l’intero Sudan), e la successiva creazione della provincia di
Equatoria. L’Egitto perse progressivamente influenza sulla zona sud sudanese a favore degli inglesi che si erano assicurati anche il nord della regione oggi facente parte del Sudan. I territori sud sudanesi attirarono l’attenzione anche dei francesi e del vicino Congo Belga, ma rimasero comunque sempre fortemente ancorati al Sudan e conseguentemente al dominio inglese. Va precisato che sia gli egiziani prima che gli inglesi dopo consideravano il
Sudan e l’Equatoria come entità relativamente separate, riconoscendo profonde differenze nel tessuto economico ma soprattutto dal punto di vista etnico-religioso (Nilotici).
Il dominio inglese terminò all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale; inizialmente il destino del popolo sud sudanese fu controverso, infatti gli inglesi presero in considerazione la possibilità di unire l’Equatoria all’Uganda piuttosto che al Sudan
. Dubbi che si levarono alla conferenza di Juba del 1947, dove inglesi e sudanesi decisero di accorpare le popolazioni sud sudanesi al Sudan, pur conoscendo le profonde differenze etniche intercorrenti fra le popolazioni delle due aree. Nel 1956 il neo-stato sudanese vedeva al suo interno già profonde spaccature etnico religiose, infatti nel nord dominava l’etnia arabo-mussulmana mentre nel sud vi erano numerose e diversificate etnie riconducibili però ad una matrice africana e non araba.
Le tensioni all’interno della popolazione non tardarono a manifestarsi tant’è che, all’indomani dell’indipendenza, parte dell’esercito sudanese si ammutinò in difesa del Sud e in contrasto diretto con Khartum (capitale del Sudan), dando inizio alla
prima guerra civile sudanese (http://www.conflittidimenticati.it/conflitti_dimenticati/conflitti_nel_mondo/00004586_Sud_Sudan.html
).
I motivi dell’ammutinamento trovarono la loro origine nel mancato rispetto da parte del Nord dei patti del 1953 – patti in cui l’Inghilterra svolgeva il ruolo di mediatore – che decretarono la trasformazione del Sudan in uno stato federale, lasciando ampi spazi di autonomia alle regioni del Sud; ciò non avvenne mai. La prima guerra civile sudanese terminò solo nel 1972, provocando centinaia di migliaia di morti e profughi, grazie all’unificazione dei ribelli meridionali - precedentemente i ribelli avevano formato diversi e divisi gruppi armati - nel
SSLM (South Sudan Liberation Movement), che
ottenne la creazione di un’assemblea regionale rappresentativa e garante dell’autonomia del sud (accordo di Addis Abeba). La pace durò per poco più di un decennio. Già nel 1983 infatti, le ostilità fra il sud e il nord ripresero.
Il nuovo presidente sudanese
Nimeyri (espressione della maggioranza araba-mussulmana) manifestò immediatamente insofferenza verso le comunità del sud non mussulmane. Ben presto, il neopresidente divise il governo del sud in tre distinte regioni e introdusse di fatto la
Shari’a all’interno dell’ordinamento sudanese, penalizzando fortemente tutte le popolazioni del sud di
religione non mussulmana. Tutto ciò diede origine nel 1983 ad uno nuovo conflitto (nel sud si formo SPLM gruppo armato per l’indipendenza del sud), che si protrasse fino ai primi anni del XXI secolo, causando almeno un milione di morti fra civili e militari e circa quattro milioni di profughi.
Indipendenza e guerra civile
La guerra si concluse nel 2005 con
l’accordo di Naivasha; nell’accordo, fra l’SPLM e il governo sudanese, era previsto una consultazione referendaria sull’indipendenza del sud e un regime istituzionale che avrebbe dovuto essere istituito qualora il referendum non si fosse concluso con l’indipendenza del sud. Come prevedibile,
nel 2011 l’esito fu plebiscitario a favore dell’indipendenza, sancendo la nascita del nuovo stato del Sud Sudan o del Sudan del Sud.
Ottenuta l’indipendenza però ben presto altri tragici eventi si abbatterono sulla popolazione sud sudanese. Per quanto fortemente voluta dall’intero popolazione infatti, l’indipendenza mostrò le
profonde differenze fra le varie etnie del Sud Sudan che nella lotta al comune nemico del Nord erano state accantonate. In particolare, due sono le etnie dominanti nel nuovo stato: quella
Dinka e quella Nuer. Nel 2013 il vicepresidente, di etnia
Nuer,
Machar successivamente al suo allontanamento dal governo del paese da parte del presidente
Salva Kiir, di etnia
Dinka, dichiarò aperte le ostilità armate contro il suo ex presidente.
Le tensioni fra le due etnie nascono da una questione interna al nuovo stato: dopo l’indipendenza dal Sudan i leader militari del movimento di liberazione sud sudanese sono divenuti i capi dei partiti alla guida del paese, partiti che di politico originariamente avevano ben poco ma si basavo per lo più solo sull’appartenenza etnica. Il vuoto politico quindi è stato riempito dalla questione
etnica-ammnistrativa, infatti gli attriti fra le vari etnie nascono da rivendicazioni territoriali e dallo sfruttamento delle materie prime connesse a questi territori.
Il conflitto ha avuto vari momenti di altissima tensione, dove in singoli episodi migliaia furono i morti, e tregue temporanee, nelle quali si cercava una mediazione fra i rappresentanti delle varie etnie. Nel 2018 le due fazioni - dopo un pre-incontro a Khartum – si incontrarono ad Addis Abeba e raggiunsero un accordo grazie soprattutto all’operato delle nazioni vicine, intenzionate ad una pacificazione della regione (Sudan, Etiopia, Uganda). L’accordo decreta la totale fedeltà delle varie etnie sud sudanesi a Giuba, quindi al governo centrale, in cambio dell’autonomia legislativa e finanziaria delle singole regioni dello stato. Gli accordi hanno lo scopo di ricostruire
l’unità nazionale così dolorosamente raggiunta nel 2011;
in particolare l’accordo prevede la creazione di una Commissione a cui è attribuita il difficile compito di decidere sia il numero di stati federali/regionali sia la delimitazione dei confini.
Il conflitto portò a decina di miglia di morti di cui moltissimi civili e centinaia di miglia di profughi nei paesi vicini, di cui principalmente donne bambini. Ad oggi sono tantissimi i rifugiati sud sudanesi nei gli stati confinati.
Forma di stato ed economia
Forma di stato e rapporto con le etnie
Anche il Sudan del Sud, come i vicini stati, è una
repubblica presidenziale federale. La scelta federale fotografa le forti tensioni fra le varie etnie; a ben vedere la suddivisione amministrativa, delle varie regioni del paese, risulta determinante nella descrizione e nella comprensione della crisi sud sudanese. Non è un caso infatti che il numero di stati federali ed i confini di questi siano mutati negli anni della guerra civile. All’indomani dell’indipendenza gli stati federali erano 10 divenendo prima 28 e poi 32 nel corso della guerra; i tentativi di mediazione trovavano il loro epicentro proprio nella risoluzione delle questioni afferenti alla delimitazione dei confini dei vari stati regionali. La determinazione e il numero degli stati federali è il motivo principe che ha scatenato la guerra civile, ogni etnia rivendica un pezzo di territorio, ma le rivendicazioni, come è facilmente immaginabile, si sovrappongono. Le varie minoranze vorrebbero arrivare ad una parcellizzazione degli stati federali per poter indebolire il governo centrale di Giuba, contrariamente l’etnia Dinka, maggioritaria nel paese e detentrice del potere governativo,
vorrebbe ridurre il numero degli stati federati per aver maggior facilità nell’approvvigionamento delle materie prime.
Economia e carestia
Il Sud Sudan risulta essere uno degli Stati più poveri del mondo, l’economia si concentra quasi unicamente sull’agricoltura di sussistenza. Di particolare interesse, per le loro potenzialità, sono invece le coltivazione della valle del Nilo, famosa per la sua fertilità, che variano dal cotone al mais nonché frutta e zucchero.
I settori secondario e terziario sono pressoché insistenti; anche le infrastrutture sono poche ed arretrate, impedendo un concreto sfruttamento ed utilizzo delle materie prime di cui il Sud Sudan è relativamente fornito.
Una delle questioni che più di altre è stata centrale nella guerra civile è stata l’attribuzione dei diritti di proprietà dei territori in cui sono presenti
ricchi giacimenti petroliferi - una delle più importanti speranze per il futuro economico del Sud Sudan - ad una regione piuttosto che l’altra. Ma detenere riserve petrolifere non basta: sono necessarie vari tipi di infrastrutture che il paese non ha, anche per via della destinazione ad uso militare di ingenti risorse economiche; macchinari per l’estrazione sono antiquati e le infrastrutture per il trasporto sono quasi inesistenti. Va da sé che Giuba necessita dell’aiuto dei confinanti, ed in particolare dello storico rivale, il Sudan. La prospettiva di poter utilizzare il petrolio sud sudanese ha spinto Sudan, Uganda ed Etiopia a cercare con forza la pacificazione del Sud Sudan per permettere la ripresa dell’attività petrolifera.
Altro elemento che ha fortemente condizionato gli ultimi anni nel paese è stata una
terribile carestia. Nei primi mesi del 2017 il governo sud sudanese,
la FAO e l’UNICEF hanno ufficialmente dichiarato lo stato di emergenza. I motivi scatenanti questa terribile piaga sono attribuibili in prims alla guerra civile imperversata nella regione, all’inflazione galoppante che ha causato un vertiginoso aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità ed infine alla contingenza di una delle peggiori annate dal punto di vista dei raccolti. Si consideri che circa il 15% della popolazione si trovava, nell’apice della crisi alimentare, in una situazione di malnutrizione acuta, con punte addirittura del 25% in alcune aree. L’emergenza è parzialmente rientrata ma ancora in moltissime zone del paese la carenza di cibo sufficiente è il primo problema all’ordine del giorno per la popolazione (https://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2020/02/20/news/sud_sudan_la_fame_minaccia_oltre_meta_della_popolazione_del_paese-249057812/) .
Religioni, etnie e diritti umani
Come dimostrato dai primi anni di vita del nuovo stato, l’unità nazionale appare come la maggiore sfida del futuro del paese. La questione etnica, come spesso accade in Africa Sub Sahariana, risulta determinante per comprendere il tessuto sociale sud sudanese. Apparentemente la questione etnica in Sud Sudan si manifesta unicamente nel conflitto fra i due gruppi etnici principali - i
Denka ed i
Nuer - ma in realtà almeno sessanta sono le etnie presenti sul territorio che però trovano grosse difficoltà a far valere le proprie singole rivendicazioni per via dell’esiguo numero della popolazione. A tal proposito, si pensi che la terza etnia per popolazione è quella
Scilluc, che conta 600.000 sud sudanesi su una popolazione complessiva di circa 12 milioni di abitanti. Altre importanti etnie sono quella
Acholi, Anuak e Luo.
Ad ogni etnia corrisponde un territorio, in ogni territorio ci sono delle materie prime e quindi ricchezze da esse derivanti. In un paese in così grave difficoltà dal punto di vista economico, la gestione delle materie prime è fondamentale ma l’unico modo per poter rivendicare i relativi territori - in mancanza di una forte unità politica nazionale - e quindi le materie prime in essi contenuti, è proprio la rivendicazione etnica.
Venendo alle religioni diffuse nel paese, escludendo una significativa minoranza cristiana, circa il 10% (di particolare rilevanza è l’opera di varie chiese cristiane nel processo di pacificazione),
le più comuni sono quella animista ed i credi tradizionali. Va rilevato che, differentemente che nel Sudan, nel suo vicino meridionale non sono diffusi gravi forme di discriminazione religiosa. I vari credi infatti, convivono pacificamente non essendovi una rilevante identificazione fra l’etnia e la religione; è ben possibile che all’interno della medesima etnia vi siano differenti culti.
Passando ora alla situazione del
rispetto dei diritti umani come spesso accade durante conflitti, specialmente se interni ad un medesimo stato, risulta di estrema gravità e solleva grandi preoccupazioni all’interno della comunità internazionale. La guerra civile ha portato con sé numerose conseguenze sul piano delle violazioni dei più elementari diritti. Ciò che in primo luogo appare drammatico è la situazione in cui riversano
minori e donne. Le violenze sessuali sono all’ordine del giorno e sono utilizzate come strumento intimidatorio di una fazione contro l’altra. Sul versante delle violazioni a danno dei minori, tristemente, si devono evidenziare numerose e diversificate barbarie: dal
reclutamento nell’esercito governativo, violenze di varia gravità fra cui anche sessuali nonché
detenzioni arbitrarie in strutture governative in cui è negato l’accesso ad acqua, cibo e cure mediche.
Protagonista delle violenze perpetuate alla popolazione civile è sicuramente il
NSS (National Security Service),
arma preferita delle autorità governative nella repressione del dissenso. Il NSS si è macchiato durante gli anni di guerra di numerosi crimini a partire da maltrattamenti, torture e abusi al fine di indebolire la ribellione colpendo civili inermi. Inoltre, le autorità governative hanno più volte eliminato oppositori politici od anche semplici giornalisti attraverso
esecuzioni extragiudiziali.
Da ciò si deduce la facilità con cui i mandanti governativi siano nella posizione di decidere della vita o della morte di chiunque ritengano possa essere di ostacola per i progetti governativi .
Fonti e approfondimenti
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sud-sudan-accordo-di-power-sharing-ma-la-pace-e-ancora-lontana-26614
https://www.osservatoriodiritti.it/2018/11/05/sud-sudan-situazione-guerra-civile/
https://it.insideover.com/guerra/linfanzia-rubata-dei-bambini-soldato-nel-sud-sudan.html
http://www.masterdirittiumanisapienza.it/il-terzo-rapporto-della-commissione-dei-diritti-umani-sud-sudan
https://www.limesonline.com/catastrofe-umanitaria-guerra-e-diplomazia-in-sud-sudan/98383
https://www.limesonline.com/tre-scenari-per-i-negoziati-di-pace-in-sud-sudan/104590
https://www.ilpost.it/2018/09/12/accordo-pace-sud-sudan/
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