La ragazza dello Yemen

Yemen

Le mura rosse intorno alla città terminano in una maestosa porta rosso e nera con le sue colonne in rilievo. Li tantissimo tempo fa vi erano instancabili sentinelle che regolavano l’entrata e l’uscita dalla città. Oggi, invece, la gente entra ed esce  in un interminabile via vai. Li, poco dopo la porta, ci sono i mercatini di Sana’a che si estendono tra le strade e i vicoli sovrastati della case architettoniche di mattone e decorate con magnifici ghirigori bianchi. Camminando ti puoi perdere e il tuo sguardo non sa dove dirigersi. La piazza è affollata, tutti parlano, scherzano e di sottofondo si sente la musica che si leva  verso il cielo. È così da secoli in quel museo a cielo aperto in cui commercio, architettura e società si fondono e vivono. Li si vende qualsiasi cosa: il vero argento yemenita che da vita ad enormi piatti, gli specchi, il rame, l’erba medica, l’hennè o il legno. Si vende di tutto, basta che sia a buon prezzo. Girando per il mercato puoi vedere chi si ripara dal sole sotto le tende blu o gialle, chi si prova la giacca nel mercato dei vestiti, chi osserva il muro di pugnali tradizionali ornati di argento e pietre preziose o chi cerca da mangiare nel mercato alimentare con i suoi altissimi sacchi di cereali. La via centrale è una strada lunga che porta alle principali città del sud, è la porta dello Yemen.  Ma a chi è semplice non importa di questa imponenza, sta lungo la via a prendersi un caffè stretto ai suoi amici. In quel tutto è possibile trovare anche un ristorante italiano frequentato anche da italiani. È un posto unico al mondo, è “una venezia selvaggia sulla polvere”, è introvabile nel mondo un posto simile e per qualcuno quel posto è casa.

Sono tre anni che Nada è lontana da casa e ci racconta di questo posto seduta intorno a un tavolino di metallo vicino alla metro di valle aurelia a Roma. Questa ragazza ci dice che è importante dire qualcosa di bello del suo paese, in molti non sanno dove è lo Yemen e chi lo conosce, se lo conosce, lo conosce solo come una delle pagine terribili della storia del nostro pianeta. Le notizie che abbiamo sono filtrare tanto da sapere solo che c’è una guerra, che c’è una terribile crisi umanitaria o che molti paesi occidentali vendono le armi all’Arabia Saudita per proseguire la guerra. Armi usate per colpire mercati, scuole o ospedali. Ma nessuno si preoccupa di dire cosa è lo Yemen al di la di questo, chi sono gli yemeniti e come era prima. Urliamo, tante volte, di non pensare ai numeri ma alle persone, però non sappiamo la storia di queste persone o dei luoghi da cui provengono. Nada dice che spesso la gente la guarda stupefatta e dice “c’è una ragazza dallo Yemen che sa l’inglese!”, “c’è una ragazza dallo Yemen che può vestire così!” o “c’è una ragazza dallo Yemen che è andata all’università!”. Sono stupefatti perché ciascuno pensa che tutte le donne in Yemen stanno in cucina, puliscono o non hanno una vita. Pensano che non ci sia istruzione: forse è vero che il 70% della popolazione non va all’università ma c’è un 30% molto forte che vuole cambiare tanto contro tutto quello che sta accadendo. Prima della partenza ricorda che in un mese la città è stata 15 giorni senza luce, la mattina si poteva fare tutto mentre di sera si doveva stare con le candele. Nonostante questo pensa che le persone in Yemen si abituano. Lo Yemenita è una persona semplice: se può avere un buon cibo tutti i giorni è contento e se mangiano un cibo normale dopo un po di giorni, sono sempre contenti. Si adattano. Basta pensare al fatto che gran parte della popolazione yemenita ha risposto costruendosi pannelli solari dall’immondizia come reazione alla mancanza di corrente. Ogni volta che chiama a casa dice ai suoi amici che le dispiace, se vogliono qualcosa, ma la risposta è “ma stiamo bene!”. Ci dice che sono contenti perché sono a casa, non importa se la vita è più costosa adesso. La vita, ovviamente, non è come prima. Occorre pensare tanto a come spendere lo stipendio con cui ora puoi fare molto di meno. Occorre pensare alla famiglia. Spesso le bombe si sentono vicine, c’è questa paura costante. Però la famiglia è li, gli amici sono li e la paura, con le persone care vicine, è diversa. I primi giorni del conflitto la paura era tremenda. Tutti le notti lei e sua madre non dormivano, c’erano giorni in cui non pensava di vedere la mattina. Apriva la finestra e vedeva la bomba li vicino. Sentiva tutto. Cominciava a pregare l’arrivo del giorno dopo. Al mattino però era un altro giorno, usciva di casa e parlava con gli amici. Come se nulla fosse. Gli yemeniti sono persone forti e semplici, si adattano. Ma alle volte la paura è più forte, il rischio è grande e la volontà di proteggere la famiglia ti costringe a scappare. È cosi che Nada e dovuta andare via con la madre. Pensa a quando lavorava li, al fatto che aveva una casa, dei soldi e una propria macchina. Spesso si è domandata “perché me ne sono andata?”, “perché chi non aveva un lavoro invece è rimasto?”.

Certo, molte cose sono cambiate in meglio ma Nada dice che qui si sente come in guerra: “Quando arrivi in un altro paese, con posti nuovi e una nuova lingua, vivi una situazione di emergenza da sola”. Li aveva i suoi amici, qui deve iniziare tutto da zero. Non è la lingua ma sono gli affetti. Per farsi degli amici, per farsi una famiglia, per avere qualcuno che pensi a te o che si preoccupi di te, ci vuole tempo. Non si fa tutto in un anno o due, ci vuole tempo per fidarsi di qualcuno. Senza una stabilità è difficile riprendere gli studi o riprendere una patente o seguire un corso di lingua. Tutto diventa più difficile se continuano a spostarti. C’è qualche difficoltà ma Nada è una donna forte, si adatta e impara un ottimo italiano stando accanto agli italiani pignoli che la correggono. È comunque una ragazza che  prima di prendere la laurea, in Yemen, ha lavorato presso la biglietteria Emirates di Sana’a e dopo la laurea in economia ha lavorato presso un azienda petrolifera. Prima di rimanere qui è stata in Olanda per un anno ma è dovuta ritornare qui poiché incatenata dalla burocrazia del regolamento Dublino, dato che tre anni fa l’Italia era l’unica ambasciata che riconosceva lo status di asilo politico agli yemeniti. In Olanda si trovava in un paese piccolissimo dove erano tutti razzisti, non gli piacevano gli stranieri. Dai loro volti, senza una parola, riuscivi a capire tutto ma non dicevano nulla sul velo. Poteva entrare in un Mc Donald e trovare una mussulmana con il velo, una ragazza lesbica e una atea tutte amiche. Tutte insieme. C’era anche una ragazza somala con il Burqa che guidava il treno, il problema non era il velo ma il fatto di non essere uno di loro. Lei dice che non è obbligata a portare il velo, ha fatto una scelta, si piace con il velo. All’inizio non c’è una scelta dato che arrivati ad una certa età occorre metterlo. Ma poi c’è chi porta il velo basso e chi a mano a mano lo sposta. Forse il togliere completamente il velo non è una bella idea, dipende sempre dal posto in cui vivi. Per esempio ad Aden quasi tutti mettono qualcosa di leggero per cultura o escono con i pantaloni, mentre a Sana’a tutto ciò non accade. Però lei qui è stata costretta a togliere il velo perchè non trovava lavoro. Mentre girava in cerca di lavoro c’era chi chiaramente le diceva “lo so che non devo dire questa cosa, ma non ci sono ragazze che lavorano con il velo”. La nostra cultura ha paura del velo. Una volta Nada ha frequentato una scuola di “servizio di sala” e il maestro le faceva i complimenti per la sua bravura. L’ultima settimana doveva fare un tirocinio in un ristorante e le ha detto che in 15 anni non aveva mai incontrato una cameriera con il velo. “Cosa c’entra se uno lavora con il velo o meno, l’importante è come uno lavora!” Ma in Italia non è così. Dopo tre mesi di studio non avrebbe potuto prendere il diploma senza lo stage. La madre capiva le sue motivazioni a tenere il velo ma occorreva comunque sopravvivere. Cosi ha dovuto togliere il velo, non è stata una scelta. Lo era di più in Yemen. Nada ha girato tra Stati uniti e Olanda ma non ha mai pensato di levare il velo, fa parte della sua identità, le piace il suo viso con il velo e quando non lavora comunque non lo rimette. Non vuole che diventi un gioco, non vuole giocare con la sua identità. È una forma di rispetto verso di sé, la sua identità, la sua cultura e gli altri. Il velo è rispetto e nasconde tanti significati che intrecciano il religioso e il senso di comunità, se incomincia a giocare gli altri della sua comunità se ne accorgono. Accettano di più che stia sempre senza il velo. È una ragazza che si abitua a tutto e i primi tempi si sentiva nuda. Però, in ogni caso, levato il velo non vuol dire che va in giro senza maglie o va al mare con il costume. Si sente a suo agio cosi, non c’è nessuno che le dica cosa fare o no. È il suo modo di essere e chi le sta intorno deve stare bene per quello che è e non per come veste o cosa beve.

La vita in Yemen era una vita di comunità. Ricorda che tornare a casa di sera era un pò strano, una ragazza in Yemen non deve essere mai sola, se sta da sola di sera non è per lavoro ed è come se stesse facendo qualcosa di sbagliato. Se ti trovano da sola non si sa cosa può accadere. Se è una zona brutta non ti lasciano ma neanche ti toccano. Stanno dietro, ti parlano, ti dicono di andare con loro perché pensano che la donna deve stare a casa. Se per lavoro non si esce di sera. Per un periodo ha dovuto lavorare la mattina e la sera e prima di avere la macchina era difficile. Sia la madre che il vicino di casa l’aspettavano in piedi ma non appena arrivava nella sua zona era a casa ed era una cosa bella. Nessuno poteva toccarti. Inoltre il giorno del compleanno, il 24 dicembre, la sorella fa un grosso albero di natale con due regali per lei: uno per il compleanno e uno per il natale. Lo Yemen non è come l’Arabia Saudita.

Questo clima di comune è una cosa che si è riprodotta anche qua. Durante una festività mussulmana Nada era rimasta a casa perché doveva lavorare e la madre era andata a festeggiare con una amica. Ma gli amici italiani, che non c’entrano nulla con questa festa, le hanno fatto un sorpresa e hanno mangiato con lei il pranzo. In Olanda non c’è tutto questo: si, ti danno I soldi; si, ti danno la casa; si, ti danno l’istruzione; però non fanno la vita con i rifugiati. Qui la vita è difficile, il governo non ti aiuta, molte persone ti fissano per il velo e senti tanti occhi addosso ma ci sono tante fantastiche persone.

Nada non è solo la ragazza dello Yemen. Nada è una ragazza forte che come tutti noi ricorda il cibo del suo paese e la sua bontà. Ricorda il caos dei propri autobus dove tutti parlano insieme e dove prendono migliaia di diverse scene quotidiane. Ricorda la generosità del proprio popolo disposto in ogni caso ad ospitarti in casa e a darti cibo in segno di rispetto, anche se in condizioni economiche peggiori. Ricorda il suo popolo che con pochi soldi cerca di vivere al meglio, senza pensare all’accumulo ma pensando solo a vivere con gli altri. Ricorda il Ramadan e il suo piatto che gira di casa in casa con il cibo che cambia di volta in volta, di vicino in vicino, di famiglia in famiglia formando un unica grande famiglia. Ricorda le vie polverose e la bellezza del mercato di Sana’a. Ricorda i suoi amici e i suoi cari. Nada è una ragazza dallo Yemen che vive e lavora accanto a noi contro le difficoltà che può avere una mussulmana in Italia ma, nonostante questo, è sempre li pronta ad adattarsi e a donarti un sorriso.

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Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment

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03-Spose-Bambina-Yemen-Large-Movements

Le spose bambina e la guerra in Yemen

La guerra la subiscono per primi i più vulnerabili. Questa è la cruda realtà che si trascina da anni nello Yemen e che ha negato l’infanzia di moltissimi bambini. I combattimenti e i bombardamenti hanno reso sempre più tetro il futuro con la distruzione di 1600 scuole e portando le famiglie alla fame e ai debiti. Per poter sopravvivere molte famiglie hanno spinto le proprie bambine, anche sotto i 10 anni, verso matrimoni precoci. Nel governatorato di Amran, nel nord del paese, le famiglie stremate hanno dato in sposa bambine anche piccolissime, in un caso anche di tre anni, per poter comprare cibo e salvare il resto della famiglia. La pratica dei Matrimoni precoci in Yemen Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) nel 2016 rilevava un aumento del matrimonio infantile dopo lo scoppio della guerra, avvenuto nel 2015, con un età prevalente di 15 anni. Secondo la ricerca, nel nord dello Yemen il 72% degli intervistati si è sposato tra i 13 e i 15 anni (sia maschi che femmine) e il 17% si è sposato tra gli 8 e i 12 anni. Mentre nel sud il 62% si è sposato prima dei 16 anni. Dopo quasi quattro anni di guerra l’Oxfam denunciava l’aumento esponenziale dei prezzi dei beni alimentari che ebbe la conseguenza di ridurre sull’orlo della carestia dieci milioni di yemeniti e costringendo le famiglie a usare le spose bambina come merce di scambio. Occorre specificare, però, che per lungo tempo la pratica dei matrimoni precoci è stata abituale nello Yemen ma durante il proseguimento della guerra ha raggiunto proporzioni e modalità scioccanti. Solitamente le ragazze yemenite non venivano date in sposa prima degli 11 anni, seppur venivano costrette a svolgere lavori domestici in casa del futuro marito. La guerra ha ridotto la popolazione allo stremo e per far fronte alla carestia le prime a pagare sono le future donne yemenite. I conflitti hanno sfollato molte famiglie, costringendole a fuggire in aree isolate e prive di tutto. Si tratta di posti senza servizi essenziali, scuole o presidi sanitari. La vita di queste famiglie e donne nello Yemen scorre in piccole tende o case di fango che non riparano dal sole, dalla pioggia o dal freddo dell’inverno. Le famiglie, che possono contare fino a 15 persone, comprese persone anziane e bisognose di cure, vivono senza reddito e senza possibilità di lavorare o procurarsi cibo a sufficienza. In queste condizioni gli adulti si privano di cibo per darlo ai figli o si riducono il numero di pasti quotidiano. Spesso per poter comprare acqua, cibo e medicine le famiglie sono costrette a chiedere prestiti. Tutto ciò ha aumentato la povertà e la pressione socio-economica sulle famiglia e ha portato a un aumento della pratica del matrimonio precoce, già in uso nelle comunità rurali. In particolar modo “l’uso” delle spose bambina è stato visto come un meccanismo capace di sostentare la famiglia e affidare le bambine ad un’altra famiglia. Questo è dovuto anche al crollo della sicurezza e delle istituzioni giudiziarie e sociali che hanno aumentato il numero di minacce percepite alla sicurezza e al benessere familiare delle bambine yemenite.  Le testimonianze delle spose bambina dello Yemen Queste bambine portano con sè storie e testimonianze come quella di Hanan, bambina di 9 anni. Hanan da quando è sposata ha dovuto smettere di andare a scuola e veniva picchiata dalla suocera. Ogni volta che questa bambina scappava per poter tornare dai propri genitori, veniva picchiata dagli stessi familiari. La stessa famiglia ha dato in sposa la sorella di tre anni. La famiglia di queste spose bambina sono consce di come sia profondamente sbagliato ma allo stesso tempo hanno sentito di non aver scelta. La dote ricevuta in cambio ha mantenuto in vita il resto della famiglia. Un’altra testimonianza e storia è quella di Zainab. La vita di questa bambina yemenita è diventata un inferno da quando, a 12 anni, ha perso entrambi i genitori. Insieme alla sorella maggiore Ayan è stata affidata ad una zia ed entrambe hanno patito violenze e vessazioni. Alla fine entrambe sono state cedute in sposa e a loro volta si sono aggiunte al destino delle migliaia di spose bambina. La nuova denuncia di Human Rights Watch e i rischi per i diritti delle donne e dell’infanzia Nel febbraio 2020 Human Rights Watch ha invitato il Comitato per l’eliminazione di Discriminazione contro le donne ad esaminare la situazione dello Yemen e a garantire il rispetto della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Human Rights Watch ha segnalato che l’instabilità economica e la povertà nello Yemen sono tra i motivi prevalenti che spingono i bambini al matrimonio. Le ragazze dello Yemen che si sposano in giovane età corrono, inoltre, maggiori rischi durante la gravidanza, comprese complicazioni durante il parto che possono portare alla morte. Qui la violazione dei diritti dell’infanzia e dei diritti delle donne si intrecciano in quanto, oltre a vedersi preclusa l’istruzione, le ragazze yemenite possono essere esposte a violenza domestica. La legislazione Yemenita attualmente non ha un’età minima per il matrimonio e già nel 2010 Tawakkul Karman aveva provato a difendere i diritti delle donne dello Yemen. Successivamente in Parlamento si è tentato di innalzare l’età minima per il matrimonio a 18 anni attraverso la Conferenza nazionale di dialogo (2013-2014) che ha progettato una nuova costituzione che includeva il divieto per i matrimoni precoci. Nell’aprile del 2014 era stata presentato un progetto sui diritti dei minori e delle donne che stabiliva a 18 anni l’età minima per il matrimonio nello Yemen. Doveva esserci l’adozione e la revisione in Parlamento ma il suo status è attualmente “scaduto” poiché il mandato di 6 anni è terminato lasciando, inoltre, il potere diviso tra il governo yemenita riconosciuto a livello internazionale e gli Houthi. In generale le cause dei matrimoni tra i bambini sono la povertà, il prezzo della sposa, la dote, le tradizioni culturali, le leggi che permettono i matrimoni tra bambini, le pressioni religiose e sociali, le usanze regionali, l’analfabetismo e la percezione dell’incapacità delle donne di

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04-Diritti-Donne-Yemen-Large-Movements

I diritti delle donne nello Yemen in guerra

Prima dello scoppio della guerra in Yemen, le donne hanno dovuto affrontare gravi discriminazioni nei diritti, nella legge e nella pratica. Il conflitto ha aggravato la situazione aggravando la discriminazione e la violenza contro donne e ragazze yemenite.  Gli effetti della guerra sulla popolazione e i diritti delle donne in Yemen Il conflitto ha ridotto allo stremo e alla fame la popolazione. Le famiglie Yemenite hanno utilizzato le spose bambina come merce di scambio per poter ripianare i debiti e procurarsi cibo. La pratica dei matrimoni precoci rappresenta una grave violazione dei diritti dell’infanzia e delle donne. L’OXFAM riporta una situazione di crescente penuria di cibo che ha lasciato più di un milione di donne incinte che allattano in stato di malnutrizione. Anche con l’assistenza umanitaria, le donne mangiano per ultime, dando priorità ai bambini e ad altri membri della famiglia, o utilizzano il denaro per altre esigenze domestiche. La guerra in Yemen ha causato molti spostamenti di popolazione che hanno avuto l’effetto di creare insicurezza personale, instabilità familiare e mancanza di garanzia dei diritti per le donne. Le donne e le ragazze dello Yemen sono le più vulnerabili e le più esposte ai rischi e alle violenze di genere che avvengono sia all’interno che all’esterno dei campi per gli sfollati. Un’indagine sulla protezione degli sfollati interni e delle comunità ospitanti è stata effettuata nel Novembre del 2018 dalla Wajood Foundation for Human Security. L’indagine ha scoperto che le donne hanno sperimentato i livelli più alti di tutte le forme di violenza: psicologica, fisica e sessuale. A queste si aggiunge l’aumento delle detenzioni arbitrarie. Una volta detenuti, sia donne che uomini, hanno subito violenze sessuali. La situazione si complica poiché le vittime di violenza nello Yemen sono altamente stigmatizzate causando uno scarso numero di denunce. Tutto ciò rende difficile garantire i diritti delle donne dello Yemen. Secondo le Nazioni Unite la violenza contro le donne è aumentata del 63% dall’inizio del conflitto. La violenza da parte delle istituzioni Secondo il “Report of the Group of Eminent International and Regional Experts as submitted to the United Nations High Commissioner for Human Rights” nel 2018 e nel 2019 sono proliferate nuove norme di genere oppressive e le donne yemenite sono ulteriormente emarginate sotto il controllo e la coercizione delle parti in conflitto. Il sostegno limitato contro le violenze di genere sono peggiorate a causa del crollo del sistema di giustizia penale nel 2019. La discriminazione femminile veniva in ogni caso perpetuata dagli attori che dovevano applicare la legge, risultando una minaccia diretta e non una tutela per le donne dello Yemen. Le parti coinvolte nel conflitto, inoltre, hanno spesso accusato le donne yemenite di prostituzione, promiscuità e immoralità. Ciò ha aumentato i rischi di violenza domestica e dissuaso donne e ragazze ad uscire di casa, inibendo la loro partecipazione alla sfera economica e politica. Le violenze da parte delle forze di sicurezza degli Emirati Arabi Uniti e delle milizie Houthi Oltre alle accuse pubbliche, le forze coinvolte nel conflitto si sono macchiate direttamente di violenza sulle donne nello Yemen. I membri delle forze di sicurezza sostenute dagli Emirati Arabi Uniti hanno continuato a commettere violenze sessuali: i membri della 35esima Brigata corazzata hanno violentato e aggredito sessualmente donne e uomini, portando avanti un modello più ampio di violenza sessuale che prendeva di mira le persone vulnerabili provenienti da comunità migranti, rifugiati e muhamasheen (conosciuti anche come “afro-yemeniti”). Dal 2017 al 2019 i membri della Brigata hanno rapito gli individui e li hanno sottoposti a stupro, compreso stupro di gruppo e altre forme di violenza sessuale, anche come mezzo per umiliare e soggiogare i membri di queste comunità. Anche le milizie Houthi nel 2018 e nel 2019 hanno rapito e detenuto donne e ragazze per periodi lunghi, fino agli 8 mesi, per ricattare i parenti. Spesso queste donne vengono accusate di muoversi senza un tutore maschio. Il rapimento pone le donne e le ragazze a rischio di violenza sessuale, attirando lo stigma e ponendole ad ulteriori rischi. Tutto questo compromette i diritti delle donne nel paese e la loro sicurezza. Questi sono solo alcuni dei diritti umani violati dalle parti in conflitto. L’importanza delle donne Yemenite Vivere sotto il conflitto, per anni, è difficile. Per le donne yemenite è ancora più difficile. Le donne sopportano il peso della guerra e stanno guidando gli sforzi per aumentare la resistenza delle proprie comunità. Lo Yemen ha aderito alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) per tutelare i diritti delle donne e garantire le libertà politiche ed economiche. Occorre evidenziare che le donne yemenite sono di fondamentale importanza per il Peacebuilding a livello locale. Oltre alla situazione generale della guerra in Yemen, sul territorio si sono sviluppati una serie di conflitti locali per l’acqua e la terra. Spesso le donne si fanno carico della risoluzione di questi conflitti facendo da mediatrici tra le tribù e per trattare il rilascio di eventuali detenuti. Anche se le norme dello Yemen sono altamente conservatrici, rilevando criticità per quanto riguarda i diritti delle donne, queste sono importanti per le comunità rurali e la creazione della pace. La complessità del conflitto, però, non permette la partecipazione delle donne alle sedute formali dei processi di pace. Ciò esclude importanti risorse e voci che potrebbero contribuire a una maggiore pace sostenibile creata da giovani e, soprattutto,  da giovani donne della società civile. Se ti è piaciuto l’articolo Condividici!

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Tawakkul Karman : una Yemenita per i diritti delle donne

Tawakkul Karman è una attivista yemenita che ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2011, insieme alle attiviste liberiane Ellen Johnson Sirleaf e Leymah Gbowee, per aver condotto campagne non violente a favore dei diritti delle donne e delle libertà democratiche. È stata la prima yemenita, la prima donna araba e la seconda donna musulmana a vincere il Nobel, e, a 32 anni, la più giovane vincitrice del Premio della pace dell’epoca. In questo articolo ripercorriamo i punti salienti della biografia di Tawakkul Karman. Tawakkul Karman e la primavera araba in Yemen Nel 2011 era in prima linea e, nell’ambito degli incontri a cui viene invitata in giro per il mondo, ha sempre dichiarato che “a fare la rivoluzione in Yemen sono stati i giovani e le donne”. In quel periodo i dati restituivano una realtà in cui ad essere imprigionati erano per lo più le donne Yemenite. La stessa Karman era stata arrestata nel gennaio 2011 per poi essere liberata in seguito alle pressioni dei suoi sostenitori. In questo modo è diventata una delle leader più carismatiche della protesta femminile contro la discriminazione e in favore dei diritti umani. Di conseguenza ha sfidato gli standard di comportamento femminile accettabile in un paese musulmano e conservatore, chiedendo la fine di un regime che credeva avesse privato i giovani della sua nazione e del suo futuro. Essendo madre di due figlie e di un figlio, voleva assicurarsi che le voci femminili giocassero un ruolo fondamentale nella rivoluzione di cui il suo Paese aveva tanto bisogno. Tawakkul, in veste di protagonista degli eventi, racconta che la primavera araba non è stata un capriccio o una cospirazione. La primavera araba è stata l’espressione di attivisti per i diritti umani ed è stato il desiderio di giustizia in risposta a repressione, fame e povertà. È stata una risposta nel segno della democrazia e dello stato di diritto. Lo scopo della primavera araba era quello di porre fine al dispotismo senza fine e porre un nuovo inizio nel nome dei diritti umani. Era la speranza per una patria e per una casa in cui ognuno potesse avere il suo posto e portare avanti i propri sogni. Era la lotta dei giovani contro la corruzione. Ma cosa è successo? I vecchi regimi hanno portato avanti una controrivoluzione con alleanze regionale e internazionali che, Tawakkul sottolinea, hanno trasformato i paesi della primavera araba in “laghi di sangue e carceri”. L’attività politica prima delle proteste del 2011 Karman è nata in una famiglia politicamente attiva a Ta’izz. Quando era giovane, la sua famiglia si è trasferita a Sanaa, dove suo padre, ʿAbd al-Salām Karmān, avvocato, ha servito come ministro degli affari legali prima di dimettersi nel 1994 per la guerra del governo contro i secessionisti nel sud dello Yemen. La stessa Tawakkul nello Yemen era una esponente del partito islamico Al Islah (aspetto della biografia che ha sollevato dubbi sulla figura di Tawakkul Karman da parte degli Stati Uniti al momento della nomina al Nobel), che rappresentava il primo gruppo di opposizione e protagonista delle primavere arabe nel paese. Sebbene Karmān fosse un membro anziano del partito, si è scontrata occasionalmente con i conservatori religiosi. Nel 2010, per esempio, ha criticato i membri del suo stesso partito per essersi opposti alla legislazione che innalzava l’età legale del matrimonio per le donne a 17 anni. Tale legislazione cercava di porre un limite alla questione delle spose bambina nello Yemen. Parallelamente portava avanti la carriera nel giornalismo scrivendo articoli, producendo film documentari e diffondendo avvisi e notizie via SMS. L’associazione Women Journalists Without Chains D’altra parte l’attività di Tawakkul iniziò nel 2005 quando fondò Women Journalists Without Chains , per difendere i diritti delle donne, i diritti civili e la libertà di espressione. L’associazione fu fondata non appena incontrò restrizioni e minacce da parte del governo Yemenita. Women Journalist Without Chains ha promosso anche l’utilizzo di diversi mezzi di comunicazione per promuovere l’istruzione, la cultura, il pensiero e lo sviluppo della comunità. In primo luogo l’associazione si è occupata dei diritti delle donne e della discriminazione femminile, dei dritti dei bambini, ha promosso i principi di buon governo e la lotta alla corruzione. Dal 2007 al 2010 Karman ha organizzato dei sit-in settimanali in piazza della Libertà nella capitale yemenita di Sana’a per chiedere una serie di riforme democratiche. La sua leadership in questi sit-in che durarono diversi mesi le valsero il soprannome di “Madre della Rivoluzione”. Ciò fu dovuto anche alla sua insistenza sul dialogo pacifico di fronte alle raffiche di gas lacrimogeni, alle incursioni della polizia e a un brutale massacro. Pertanto, anche a causa della popolarità che stava assumendo nel proprio paese, Karman ha ricevuto per telefono e per posta delle minacce. In aggiunta ha subito anche tentativi di corruzione da parte delle autorità yemenite per aver denunciato il divieto, da parte del ministero dell’Informazione, di creare un nuovo giornale e una radio. Dalla biografia di Tawakkul Karman abbiamo visto la lotta per i diritti delle donne nello Yemen ma occorre precisare che è stata costretta a lasciare il paese anche a seguito dell’aggravarsi del conflitto. Da allora partecipa a numerose iniziative internazionali, anche nell’ambito delle nazioni unite, per la promozione dei diritti delle donne nel mondo. Tawakkul Karman è una di quelle donne che hanno osato portare in primo piano la parità di genere e altre questioni in un mondo ancora troppo conservatore. Tawakkul è una donna che lotta per il superamento dell’oppressione, contro la violazione delle regole in nome della rivisitazione del mondo e di una ribellione per tutti. Se ti è piaciuto l’articolo Condividici!

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