Secondo il report “Missing migrants” dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM), il Mediterraneo centrale è sempre più mortale a causa dell’assenza delle navi ONG e di navi di ricerca e soccorso dei governi europei. Attualmente, le operazioni di soccorso sono spesso svolte dalle autorità libiche e tunisine e il report evidenzia come, per il secondo anno consecutivo, vi sia un aumento dell’attività dei Paesi nordafricani: sono 23.117 le persone recuperate nei primi sei mesi del 2020, mentre sono 31.500 le persone recuperate nei primi sei mesi del 2021. Chi viene recuperato dalle autorità nordafricane rischia di subire tortura, trattamenti inumani e degradanti od il rimpatrio verso il Paese di origine, dove possono incorrere in ulteriori violazioni.
La rotta del Mediterraneo Centrale
Secondo l’Agenzia Europea per il controllo delle Frontiere Esterne (FRONTEX), sono otto le principali rotte che rifugiati e migranti percorrono nel tentativo di raggiungere l’Unione Europea: 1) la rotta orientale; 2) la rotta balcanica; 3) la rotta circolare; 4) la rotta atlantica; 5) la rotta del Mar Nero; 6) la rotta del Mediterraneo occidentale; 7) la rotta del Mediterraneo orientale; 8) e la rotta del Mediterraneo centrale.
La rotta del Mediterraneo centrale coinvolge le frontiere marittime di Libia, Tunisia, Malta e Italia, costituendo uno spazio di 400 km circa. Il Mediterraneo centrale però costituisce solamente la parte finale di un lungo viaggio che spesso dura tra i 2 ed i 5 anni. Prima di arrivare in Libia o in Tunisia, chi migra ha intrapreso una delle 5 rotte migratorie terrestri che dall’Africa Subsahariana portano all’Italia. Ognuna di queste rotte attraversa il deserto del Sahara e passa o nella cittadina di Agadez, in Niger, per chi parte dal Sahel occidentale o per Khartoum, la capitale del Sudan, per chi parte dal Sahel orientale.
Il protagonismo del Mediterraneo Centrale nelle migrazioni del XXI secolo
La rotta del Mediterraneo Centrale ha iniziato ad assumere un ruolo rilevante a seguito della caduta del Muro di Berlino. Fino a quel momento, la maggior parte dei flussi migratori verso l’Europa proveniva dalla frontiera orientale, ovvero dai Paesi dell’Ex-Unione Sovietica.
La cosiddetta epoca del bipolarismo ha avuto effetti anche nel continente africano, dove i due blocchi combattevano guerre per procura e finanziavano le élite locali. Di conseguenza, le pressioni politiche ed economiche, le forniture di armi, i mercenari e talvolta interventi militari diretti sono stati fattori che hanno contribuito al sorgere di nuovi conflitti od all’inasprimento di quelli storici.
Al termine di questa epoca – e di conseguenza dei finanziamenti da parte degli Stati Uniti o dell’Unione Sovietica – si aprirono nuovi teatri di crisi a causa di una nuova instabilità politica a cui si susseguirono crisi umanitarie, conflitti e fenomeni di persecuzione verso le minoranze e gli oppositori politici. Questo cambiamento dello scenario geopolitico ha portato, da una parte, a nuovi flussi migratori e, dall’altra, a ripensare le politiche d’immigrazione nei Paesi del Nord del mondo.
É bene notare però che la gran parte dei flussi migratori africani si svolgono, prima più di oggi, all’interno del continente e, nella maggior parte dei casi, l’Europa non è la destinazione finale programmata all’inizio del viaggio.
Fino ai primi anni 2000 vi erano importanti sistemi regionali di migrazioni che nei decenni si sono costruiti attorno a centri economici africani in crescita, come nel caso della Libia. Questo Paese ha infatti storicamente rappresentato un’importante destinazione dei flussi migratori africani e, fino al 2011, non era affatto una meta di transito. Ciò era dovuto, almeno fino alla seconda metà degli anni ‘90, alla politica promossa dal Colonnello Gheddafi volta a favorire i cosiddetti migranti economici provenienti dall’Africa subsahariana al fine di impiegarli nel comparto petrolifero ed edilizio. Dal 2000 però, gli africani subsahariani hanno cominciato sempre più ad essere vittime della xenofobia e delle violente rivolte anti-immigrazione che dilagavano nel Paese. Si assistette ad una escalation di violenze nei confronti dei subsahariani che sfociarono in espulsioni, detenzioni arbitrarie e tortura. Ciò spinse a nuovi fenomeni migratori verso altri Stati del Nord Africa o l’Europa. Nonostante ciò, la Libia ha continuato ad essere un’importante destinazione fino al 2011.
Le cosiddette Primavere Arabe hanno riconfigurato ulteriormente i flussi migratori contemporanei facendo registrare un aumento esponenziale dei numeri sulle rotte marittime migratorie del Mediterraneo. Le proteste hanno infatti portato alla caduta di regimi ultra-decennali (come ad esempio Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia e Gheddafi in Libia) che a loro volta hanno portato ad una instabilità politica che ha contribuito ad aumentare i movimenti di popolazione tra le due sponde del Mediterraneo.
Nel caso libico, il violento conflitto tra le milizie di Gheddafi ed i ribelli ha causato il ritorno in massa dei lavoratori migranti verso paesi sub-sahariani, come il Niger, il Mali e il Ciad. Ciò ha avuto effetti sulla stabilità di altri Paesi, ad esempio il ritorno dei Tuareg dalla Libia al Mali sembrerebbe aver incoraggiato la ribellione Tuareg nel nord del Mali.
Dopo la caduta del regime di Gheddafi, la Libia è caduta in una crisi senza fine e si è trasformata, ancora più di prima, in un porto franco per trafficanti di esseri umani, per la criminalità organizzata e per le milizie che si scontrano per prendere il potere.
A pagare questo vuoto politico sono nuovamente le migliaia di persone provenienti dall’Africa sub-sahariana che per anni hanno lavorato in Libia. Queste all’indomani della morte del Colonnello si sono ritrovati in un vero e proprio limbo subendo violazioni dei diritti e violenze.
A ciò si aggiunge che la debolezza politica della Libia e la possibilità dei trafficanti di infiltrarsi nelle istituzioni, come ad esempio nel caso del noto trafficante di esseri umani Al-Bija accolto in Italia come esponente della Guardia costiera libica, hanno reso la rotta del Mediterraneo centrale più appetibile per la criminalità organizzata.
Qui infatti, i trafficanti possono agire indisturbati e sfruttare o ricattare coloro che decidono di intraprendere il viaggio. Ciò accade in misura minore nella rotta del Mediterraneo Occidentale, dove il governo Spagnolo finanzia il governo del Marocco, e nella rotta del Mediterraneo Orientale, dove vigono gli accordi tra Unione Europea e Turchia. I due Paesi disincentivano la criminalità organizzata, anche se è comunque presente. E’ bene evidenziare però, che ciò non sta a significare che non vi siano numerose violazioni di diritti umani o l’assenza di rischi per le persone che intraprendono la tratta.
A ciò si aggiunge che, come fu con la Libia di Gheddafi, Marocco e Turchia spesso sfruttano i flussi migratori come arma diplomatica e di ricatto verso i paesi dell’Unione.
La politica estera italiana sulla rotta del Mediterraneo centrale
L’Italia, in virtù della sua posizione geografica, è un ponte naturale tra l’Europa e il continente africano. Per questo motivo la penisola è maggiormente influenzata rispetto ai Paesi nord europei da ciò che accade nella sponda Sud del Mediterraneo. Di conseguenza, la politica estera italiana in tema di migrazioni è stata molta attiva nell’ultimo ventennio, attirando su di sé numerose critiche da parte dei difensori dei diritti umani.
La normalizzazione dei rapporti tra Italia e Libia è storia recente ed ha impegnato il periodo che intercorre tra la fine degli anni ‘90 e il 2008, anno in cui venne firmato a Bengasi, dall’allora Governo Berlusconi, il trattato Italia-Libia di amicizia, partenariato e cooperazione. Il Trattato segna la conclusione di un lungo processo negoziale e, in breve, la Libia riesce ad ottenere una “condanna” del colonialismo italiano.
Il Trattato affermava uno scambio: risarcimenti per il passato coloniale (fissati a 5 miliardi di dollari ed in una non precisata collaborazione militare) in cambio di una cooperazione che investe molteplici settori tra cui riveste particolare importanza il settore della “lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina”.
In ottemperanza a questi accordi l’Italia è stata condannata nel 2012 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la violazione degli artt. 3 (proibizione della tortura) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della CEDU e l’art. 4, prot. 4 (Divieto di espulsioni collettive di stranieri) della CEDU in occasione del Caso Hirsi jamaa e altri c. Italia.
Il 3 ottobre 2013 la morte di 368 persone a bordo di un peschereccio naufragato nei pressi dell’isola di Lampedusa ha cambiato la storia dell’immigrazione nel Mediterraneo.
A seguito della strage di Lampedusa, il 14 ottobre 2013 l’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta lanciò l’operazione umanitaria e militare Mare nostrum, che con un dispiegamento di oltre 1.500 uomini dell’Esercito e della Marina Militare aveva la missione di salvare il maggior numero possibile di persone che rimettevano la propria sorte alle onde del Mediterraneo.
Alla fine dell’agosto 2014 però, a causa dell’aumento dei flussi migratori, qualcosa cominciava a cambiare. FRONTEX in quel periodo si impegnò a sostenere l’operazione italiana attraverso la missione Frontex Plus. Il cambiamento si concretizzò nel novembre dello stesso anno quando il Governo italiano, che nel frattempo vedeva come nuovo Presidente del Consiglio Matteo Renzi, decise di non rinnovare l’operazione Mare Nostrum e si impegnò a sostenere l’operazione dell’Unione Europea Triton sotto l’egida di FRONTEX.
L’operazione Tritonsegnò alcuni importanti cambiamenti sia dal punto di vista di approccio che dal punto di vista dei finanziamenti. La missione si basava sullo stesso carattere umanitario che aveva contraddistinto Mare Nostrum e, al contempo assumendo maggiormente i caratteri di una operazione militare, si poneva l’obiettivo di proteggere le frontiere esterne dell’Unione. A ciò si aggiunge che dal punto di vista dei finanziamenti Triton aveva dei costi molto più contenuti: con l’Operazione Mare Nostrum l’Italia in media impiegava da sola 9,5 milioni di euro al mese, mentre i 29 paesi dell’Unione impiegavano complessivamente 2,9 milioni al mese per Triton.
Questo cambiamento però avveniva durante una fase di aumento dei flussi migratori.
Il vuoto lasciato in mare fu presto occupato dall’arrivo delle navi ONG che nel 2016 vennero definite come “Gli angeli del mare”. Durante la crisi migratoria del triennio 2014-2016 vi furono i cosiddetti “anni d’oro” del soccorso civile in mare: ogni giorno davanti alla coste libiche vi era almeno una Nave ONG che sotto il coordinamento della Guardia Costiera italiana operava i soccorsi.
Dal 2017 è iniziata una progressiva esternalizzazione della gestione dei flussi migratori ed il Governo italiano intraprese un percorso volto a disincentivare l’operato delle ONG del mare.
Attraverso il memorandum di intesa con la Libia venne istituita l’area Search and Rescue (SAR) libica, legittimando i respingimenti libici legati ai trafficanti e creando in pochi giorni una Guardia Costiera attraverso l’assistenza diretta e la cooperazione italiana.
In relazione alle azioni dell’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti, molte associazioni hanno sottolineato che queste mosse hanno portato alla contrazione dei flussi migratori a fronte però dell’aumento della percentuale di morti e dispersi in mare. Di lì a poco si assistono a nuove restrizioni: se il c.d. “Codice Minniti” del 2017 fissava una serie di paletti alle ONG, il “Decreto sicurezza bis” del 2018 dell’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini sanciva l’impegno a non entrare nelle acque territoriali libiche ed a non ostacolare l’attività SAR da parte della Guardia Costiera libica.
Il primo articolo contenuto nel testo di legge esprimeva il tristemente famoso concetto dei cosiddetti “Porti Chiusi”, attuato a titolo di esempio nel Caso Aquarius e nel Caso Sea Watch 3. Il testo di legge prevedeva disposizioni in materia di sanzioni per tutti coloro che salvavano persone in mare. Il governo giallo-verde portò così avanti una terribile campagna di criminalizzazione delle ONG del Mare (definite come “Taxi del mare) sia a livello mediatico che a livello politico. Si stima che in questo periodo solo un giorno su quattro era presente almeno una nave ONG lungo le coste libiche.
L’attuale Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, durante il governo Conte II e l’attuale governo Draghi I, ha segnato un cambio di approccio attraverso l’utilizzo di cavilli burocratici e di fermi amministrativi per bloccare le navi in porto.
Attualmente si utilizza una sorta di dissuasione amministrativa che segna il passaggio dalla dimensione politica (attraverso la discussione parlamentare) a quella istituzionale. L’effetto è quello di aggirare il diritto nazionale ed internazionale: se le navi effettuano salvataggi in mare scattano degli obblighi giuridici ma se le navi non partono allora queste non potranno operare dei salvataggi ed invocare, ad esempio, il diritto internazionale. Occorre infatti notare che il Ministero diretto dalla Lamorgese, da quando la stessa è in carica, ha sempre accordato lo sbarco ed il porto sicuro. Si tratta quindi di un’azione preventiva e dissuasiva che risulta essere sì restrittiva ma meno repressiva rispetto alla normativa attuata durante il governo Conte I: attualmente almeno un giorno su due vi è una nave ONG presente lungo le coste libiche.
Il governo Draghi, in linea con i governi precedenti, non ha però abbandonato la strada della cooperazione con la Libia e il 6 aprile 2021 ha incontrato Dbeibeh, attuale Primo Ministro della Libia. In occasione dell’incontro, Draghi ha ringraziato i libici per i salvataggi, come se la Libia fosse un paese “normale”, la sua Guardia Costiera, come se fosse una Guardia Costiera “normale”, e dichiarato che è interesse della Libia rispettare i diritti umani di rifugiati e migranti, come se la Libia fosse tra gli Stati contraenti della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati.
Il 15 luglio 2021 la Camera dei deputati ha approvato con 361 voti a favore, 34 contrari e 22 astenuti, la risoluzione per l’approvazione delle missioni all’estero, la quale include la missione bilaterale di addestramento ed assistenza nei confronti delle Istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi.
La risoluzione approva e finanzia gli accordi di cooperazione con la Libia ma impegna il governo a verificare la possibilità di trasferimento del contenuto degli stessi dal quadro bilaterale al quadro europeo, facendo specifico riferimento alla missione Irini di EUNAVFOR MED, avviata ufficialmente dall’Unione Europea il 31 marzo 2020. La missione, che fatica a partire perché ha incontrato resistenze da parte libica, ha il compito di implementare l’embargo di armi dirette e provenienti dalla Libia e, in continuità con la precedente missione Sophia, di assistere nello sviluppo della capacità e nella formazione della Guardia Costiera libica.
Il 4 agosto 2021 la risoluzione per l’approvazione del finanziamento della missione bilaterale di addestramento ed assistenza nei confronti delle Istituzioni libiche preposte al controllo dei confini marittimi ha ricevuto il via libera anche da parte del Senato.
La necessità di cambiare paradigma
Da quanto detto possiamo notare che l’Italia e l’Europa continuano a pensare la migrazione in termini di contrasto dei flussi migratori irregolari e che non vi sono tentativi volti a pensare alle politiche di salvataggio in mare ed ai sistemi di tutela dei diritti di chi decide di migrare. Continuare su questa strada renderebbe i governi europei co-responsabili delle violenze, delle torture e delle sistematiche violazione dei diritti che si svolgono nel Mediterraneo e nelle sue sponde meridionali.
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Fonti e approfondimenti
ISPI – Libia e migrazioni, accordo rinnovato
V. Nicolosi – Storie dalle frontiere, Il Mediterraneo Centrale e il soccorso in mare: puntata extra
Baratti R. M., Gli occhi bendati sul rifinanziamento degli accordi di cooperazione Italia-Libia
Baratti R.M., Coordinate per l’estate: il Caso Aquarius
Pagnini M.P., Terranova G., Geopolitica delle rotte migratorie tra criminalità e umanesimo in un mondo digitale, Aracne editrice, 2018
Castels S., De Haas H., Miller M.J., The age of migration. International Population Movements in the Modern World, 2014
Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment
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