Makoko, Nigeria: il più grande slum galleggiante del mondo

Makoko, conosciuta anche come Venezia nera o Venezia d’Africa, si trova nella periferia di Lagos, in Nigeria, ed è tra i 10 slum più grandi del mondo, posizionandosi al nono posto con 110 mila abitanti stimati. Venne fondata nel 19° secolo come villaggio di pescatori da immigrati del gruppo etnico Egun ma quando la popolazione aumentò, con il conseguente esaurimento della terra, questi si trasferirono sull’acqua costruendo case poggianti su palafitte e collegate da passarelle. Per questo motivo è conosciuto anche come lo slum galleggiante più grande del mondo. Ad oggi ospita persone provenienti da varie comunità fluviali lungo la costa della Nigeria. 

Makoko è un incredibile angolo di mondo costituito da stretti canali solcati da miriadi di canoe e sovente si possono vedere i bambini a galla dentro grandi bacinelle colorate.  

La stragrande maggioranza degli abitati vive in stato di povertà ed è costretta ad ingegnarsi in molteplici attività per poter sfamare la famiglia: pescatori, “gondolieri”, riparatori di canoe, affumicatori o venditori di pesce. La voglia di vivere però è più forte di tutto, cosi come la voglia di divertirsi in compagnia e fare feste. Solitamente in piccoli gruppi, poiché la terra è poca, gli abitati di questo dinamico slum si riuniscono in uno dei pochi spazi all’asciutto dove c’è la sabbia o nella chiesa sulla terraferma per concludere la giornata. 

Uno slum composito diviso tra terra e acqua 

L’area conosciuta come Makoko è in realtà composta da 6 distinti villaggi: quattro comunità sono sull’acqua e sono Oko Agbon, Adogbo, Migbewhe, Yanshiwe, mentre Sogunro e Apollo si trovano sulla terra. Tutte le comunità sono però unite dall’acqua, da cui dipendono per il sostentamento, e dalla lingua Yoruba, la quale vien usata come lingua franca per un insediamento dove si parlano più lingue come ad esempio il Francese, l’Inglese e l’Egun. A presiedere il lungomare vi sono i capi locali, conosciuti come Baales. Uno dei più importanti è quello della comunità di Adogbo in quanto il suo territorio contiene le uniche due scuole primarie di Makoko: la Whanyinna Nursery and Primary School, fondata nel 2008, e la scuola galleggiante. Quest’ultima è stata costruita usando la manodopera locale con il sostegno finanziario dell’UNDP, diventando l’edificio più famoso e popolare dello slum ed un simbolo per una comunità che vuole vivere sull’acqua. 

La resistenza della Comunità di Makoko 

Makoko viene visto come un incubo dal governo statale. Questo infatti vorrebbe restituire un’immagine di una Lagos all’avanguardia e simbolo dello sviluppo africano e di fatto il governo preferirebbe nascondere questo slum alla vista di tutti coloro che volano in città per fare affari. Makoko si trova sotto il terzo ponte principale che collega l’isola di Lagos alla terraferma (si tratta della via più veloce che collega il centro all’aeroporto) e l’amministrazione è sempre pronta a perseguire soluzioni apparentemente “facili” ed irrispettose della vita di chi abita nello slum

Nel 2012, quattro giorni dopo che il Ministero per lo sviluppo delle infrastrutture aveva emesso un avviso di sfratto entro le 72 ore per i residenti dello slum, una banda di uomini armati di machete hanno messo sotto assedio Makoko. Secondo il Social and Economic Action Rights Centre (SERAC), il giorno seguente sono arrivati i demolitori che hanno dato fuoco alle strutture prese di mira mentre, al contempo, veniva schierata la polizia armata. Quest’ultima avrebbe sparato indiscriminatamente sulla folla causando la morte di un residente e la conseguente sospensione delle operazioni di demolizione da parte degli operai. Era oramai troppo tardi: 30 mila persone erano già rimaste senza casa. Purtroppo non si è trattato di un caso isolato e, negli ultimi anni, ad essere uno degli obiettivi più colpiti è stata Badia, un insediamento paludoso ai margini del porto Apapa. 

Dopo gli eventi del 2012 vi è stata una forte reazione e due mesi dopo la Urban Space Innovation, partner del SERAC, ha iniziato a lavorare su un piano di rigenerazione per Makoko volto ad offrire un modello di sviluppo guidato dalla comunità e centrato sulle persone. Tale piano è stato presentato nel gennaio del 2014 al Ministero della pianificazione urbana dello Stato di Lagos ed ha ottenuto due importanti vittorie: la sospensione – per lo meno temporanea – degli sgomberi forzati ed il delineamento di strategie utili alla riqualificazione di Makoko in una comunità vivibile e sostenibile. Ciò però non vuol dire che Makoko sia fuori pericolo. Lo slum rischia di condividere lo stesso destino che il governo nigeriano ha riservato a Badia Est – rasa al suolo per la costruzione di grattacieli – o di Bar Beach – oggetto di un progetto di bonifica che vuole trasformare 9 km quadrati di Oceano Atlantico in una mini-città residenziale e commerciale chiamata Eko Atlantic. Come molte altre città nel mondo, Lagos è “affamata di terra” ed oggetto di speculazioni immobiliari. In altre parole, Makoko rischia di essere demolita – ed i suoi abitanti sfrattati – per far posto a condomini e ville con prezzi alla portata solamente della ricca borghesia di Lagos. 

Le sfide sanitarie e il pericolo COVID nello slum di Makoko 

Nonostante Makoko si trovi su una laguna le più grandi sfide sanitarie non sono rappresentate da malattie come il colera. Gli abitanti dello slum infatti, ancora prima della pandemia, fronteggiavano i rischi legati alla malaria, alle malattie respiratorie, alla malnutrizione e, in assenza di cure prenatali, al parto.  

I più grandi rischi sono legati però all’assenza di ospedali. Solamente nel gennaio 2011 Medici Senza Frontiere ha aperto una clinica galleggiante che è rimasta aperta meno di un anno. Ad oggi lo slum di Makoko è servito da una rete di cliniche informali e non registrate, che si occupano di problemi sanitari di base, nonché da un certo numero di assistenti al parto tradizionale che, facendo nascere i bambini di Makoko seguendo delle regole tribali, hanno aumentato ancor di più i livelli di mortalità materna. 

A prima vista, la popolazione di Makoko potrebbe essere considerata ad estremo rischio di COVID 19 poiché l’igiene ed il distanziamento sociale rappresentano una seria sfida in questo agglomerato. Il Nigerian Centre for Disease Control (NCDC) a dicembre 2021 afferma che in tutto lo Stato del Lagos ci sono stati 92,718 di casi confermati dai laboratori, 11,895 di casi confermati in ospedale e 760 morti legati al COVID. A ciò si aggiunge la notizia del dicembre 2021 secondo cui la Nigeria ha distrutto più di un milione di dosi di vaccini Astrazeneca scaduti. Questi erano stati donati al Paese quando erano già in scadenza ed il governo, non riuscendo ad usarli in tempo, ha dichiarato che non accetterà più vaccini con una breve durata di conservazione. La situazione risulta non essere semplicissima in Nigeria, oltre alla probabile scarsità di dati e le difficoltà di mappatura dei casi sul territorio nazionale, occorre rilevare che meno del 4% degli adulti (su una popolazione di oltre 200 milioni di abitanti) è stato completamente vaccinato.  

Nonostante ciò, le principali preoccupazioni di pescatori e venditori di pesce sono: la fame e la minaccia sempre incombente di sfratto. 

Con l’ulteriore riduzione dei salari percepiti dai cittadini nigeriani a causa della pandemia infatti, in tutto il Paese ora preoccupa la sicurezza alimentare di milioni di persone.  

Il governo sta tentando di correre ai ripari aumentando il sostegno di alcuni dei gruppi più vulnerabili del Paese. Ad esempio, il Ministero degli affari umanitari, della gestione dei disastri e dello sviluppo sociale sta cercando di fornire razioni di cibo agli studenti con il supporto tecnico del World Food Programme ad Abuja ed a Lagos.  

A Makoko le sfide sono sempre più alte e gli abitati devono mantenere più fonti di reddito per sopravvivere. A mero titolo di esempio, una delle sarte dello slum deve aiutare la madre a vendere prodotti alimentari non deperibili ed affumicare il pesce da vendere per poter guadagnare il minimo indispensabile alla sopravvivenza.  

Dato il tipo di economia che si è instaurato nello slum, il mercato del pesce di Makoko rappresenta il cuore pulsante della comunità dove le famiglie comprano il cibo di cui hanno bisogno per mangiare o dove si guadagnano da vivere.  

Durante il lockdown duro a seguito della prima ondata di COVID 19, anche la vita degli abitanti di Makoko si è fermata a causa della chiusura dei mercati facendo diventare il razionamento dei pasti è diventata la nuova normalità.  

Ad interessare la comunità di Makoko sono soprattutto gli effetti della contrazione economica. Ad esempio, alla mancanza di reddito causata dalla chiusura si è aggiunta l’impossibilità, per le famiglie che non hanno una canoa, di pagare le tariffe ai canoisti per mandare i figli a scuola. In altre parole la pandemia ha ridotto quel lavoro informale che sosteneva la vita nello slum di Makoko, diminuendo i redditi e mettendo ancora più a rischio la sicurezza alimentare di migliaia di persone. 

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Fonti e approfondimenti 

T. Ogunlesi, Inside Makoko: danger and ingenuity in the world’s biggest floating slum, in The Guardian, 23 febbraio 2016. 

K. Okporua, Lagos, Nigeria: Coronavirus is the least of concerns in the ‘Venice of Africa’, in World Food Programme, 9 giugno 2020. 

A. Salza, Nigeria: Makoko, lo slum liquido, in Africa Rivista, 15 maggio 2018. 

The Map Report, Nigeria: galleggiando nei canali di Makoko, 8 luglio 2020. 

J.L. Baker, Climate Change, Disaster Risk, and the Urban Poor : Cities Building Resilience for a Changing World. Urban Development, Banca Mondiale, 2012. 

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Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment

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Cos'è Boko Haram - Large Movements

Cos’è… Boko Haram? Storia dell’organizzazione terroristica e della crisi climatica nel Lago Ciad

Boko Haram è una delle organizzazioni terroristiche più violente al mondo e la più violenta in Africa, le sue azioni hanno causato più di 30.000 vittime e 2 milioni di sfollati tra Nigeria, Camerun, Niger e Ciad. Tra gli attentati più noti ai media internazionali vi sono l’attacco al palazzo delle Nazioni Unite ad Abuja nel 2011, il rapimento delle 276 studentesse di Chibok nel 2014 e il Massacro di Baga, dove nel 2015 hanno perso la vita 2.000 civili. Secondo il Global Terrorism Index report dell’Institute for Economics & Peace del 2018 il più alto numero di vittime per il terrorismo in Nigeria è stato raggiunto nel 2014, anno in cui sono morte 6.612 persone. Circa il 70% degli attentanti erano ad opera di Boko Haram e, per questi motivi, è l’organizzazione più efferata per quanto riguarda il terrorismo in Nigeria e in Africa. Le origini di Boko Haram Le origini di Boko Haram risalgono al 2002, anno in cui nasce nella città di Maiduguri, capitale dello Stato federato nigeriano del Borno. Le origini sono da ricercare in un gruppo di giovani islamisti radicali che praticavano il proprio culto nella moschea di Alhaji Muhammadu Ndimi  agli inizi degli anni 2000. Una frangia di questo gruppo, non ancora conosciuto col nome di Boko Haram, accusava la città e l’establishment islamico di essere intollerabilmente corrotti e irrecuperabili. Per questi motivi si ritirarono nella cittadina di Kanama, nello Stato federato di Yobe, al confine col Niger. Qui il gruppo si scontrò violentemente, nel 2003, con la polizia a seguito di una disputa sui diritti di pesca in uno stagno locale. Da questo episodio scaturì un feroce assedio da parte dell’esercito alla moschea in cui si erano rifugiati i membri del gruppo: la maggior parte di questi morirono. I sopravvissuti fecero ritorno a Maiduguri e, sotto la guida di Ustaz Moahmmed Yusuf, intrapresero il processo di istituzione della moschea del gruppo. Fu in quest’occasione che compare per la prima volta il termine “Boko Haram”, con il quale ci si riferiva agli abitanti e che spesso viene tradotto con “l’educazione occidentale è proibita”, mentre qualcuno preferisce tradurre il nome con “l’educazione occidentale è peccato”. Il processo di istituzione porta il gruppo a mutare in organizzazione e la struttura della moschea ad ospitare una sorta di “Stato nello Stato”. Boko Haram si fornì di un complesso dotato di una grande fattoria, una scuola, un consiglio decisionale ed una propria polizia religiosa. Al suo interno venivano accolti i rifugiati delle guerre dei paesi limitrofi ed i giovani nigeriani disoccupati o “senza speranza” ed a tutti venivano offerti riparo, cibo e istruzione. Proprio il tema dell’educazione e dell’istruzione è fondamentale nel pensiero di Boko Haram. L’organizzazione tutt’oggi ritiene che l’occidentalizzazione, i “falsi” musulmani e i non-musulmani siano i colpevoli della corruzione, del mal governo nigeriano e delle disuguaglianze economiche nel paese. Nel 2007 Yusuf commissionò l’omicidio dello sceicco e predicatore Ja’afar, esponente politico e religioso della regione, molto critico verso l’integralismo di Boko Haram. L’omicidio decreta il distaccamento ufficiale dall’establishment musulmano della Nigeria settentrionale e dimostra come nello Stato non sia presente un’idea di Islam omogenea. Da qui in poi vi fu un crescente attrito tra l’autorità statale e Boko Haram fino a sfociare in un conflitto aperto a partire dal luglio 2009. L’organizzazione quindi ha cominciato a portare avanti la lotta armata per imporre una forma rigorosa di Shari’a al fine di sconfiggere la cultura occidentale e l’occidentalizzazione. Da questo momento Boko Haram diventa un’organizzazione terroristica che segue la corrente ğihādista dei salafiti e “giustifica” l’uso delle violenza e delle armi per perseguire l’obiettivo di rovesciare i sovrani apostati. La critica di Boko Haram non si limita ai “non-musulmani” ma è rivolta anche contro i Salafiti “puristi” (coloro che si impegnano principalmente a preservare la purezza dell’Islam) e tutti coloro che non seguono il messaggio dell’organizzazione. Questi infatti vengono accusati di non opporsi alle ingiustizie che i musulmani subiscono e, pertanto, di non seguire il proprio credo fino in fondo. La leadership di Abubakar Shekau e il giuramento di Boko Haram all’Islamic State Nel 2009, attraverso “l’operazione Flush”, la polizia arresta dei membri di Boko Haram, dando inizio a scontri cruenti e ad un’escalation di attentati. Nel luglio dello stesso anno Yusuf viene arrestato e muore in prigione, le autorità hanno dichiarato che la morte è avvenuta durante un tentativo di fuga. Per un breve periodo, la polizia riesce a sopraffare momentaneamente l’organizzazione, che si ritira così dalla scena nigeriana. Secondo l’intelligence ci sono diverse ipotesi riguardo al ritiro dell’organizzazione terroristica. Alcuni membri di Boko Haram sembrerebbero aver trovato riparo e sostegno presso altri gruppi ğihādisti stabiliti nel Sahel, mentre altri nei campi di addestramento dei ribelli in Algeria. Secondo il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, invece,  i membri di Boko Haram si sono rifugiati e addestrati in un campo ribelle di Tuareg nel Mali. Fonti più certe si hanno però sugli spostamenti di Abubakar Shekau. Shekau era l’ex braccio destro di Yusuf e prese il comando di Boko Haram in seguito alla morte di quest’ultimo. Durante il periodo di “letargo”, il leader dei terroristi si è rifugiato dapprima nella foresta di Sambisa, poi sui monti Mandara al confine tra Nigeria e Camerun. Nel frattempo però, le diverse cellule terroristiche diffuse in gran parte dell’Africa si sono mantenute in contatto e si spostavano a piedi in gruppi di 5, 10 o massimo 20 persone per non dare nell’occhio. Durante questo periodo si sospetta che esponenti locali, appartenenti al mondo della politica e dell’economia, abbiano visto in Boko Haram un’opportunità per far valere i propri interessi ed abbiano iniziato a finanziare l’organizzazione. Ciò ha permesso un ritorno ancora più violento di Boko Haram. Nei primi mesi del 2011 l’organizzazione torna sulla scena nigeriana attraverso operazioni sanguinose e rapine a banche, convogli di denaro e ad attività commerciali in tutta la regione del bacino del lago Ciad. A partire dall’agosto dello stesso anno poi, ci sono stati attacchi quasi settimanali da parte dei miliziani che hanno

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Cos'è Boko Haram - Large Movements

Boko Haram: Bambini Kamikaze e diritti violati

In Nigeria le violazioni da parte di Boko Haram contro i bambini sono numerose e tra queste vi sono l’uccisione, la mutilazione, il reclutamento forzato, il rapimento, la violenza sessuale e gli attacchi contro scuole ed ospedali. Le Nazioni Unite hanno riscontrato oltre 3.000 violazioni da parte di Boko Haram contro i bambini nel nord-est del paese tra gennaio 2017 e dicembre 2019, tra cui oltre 1.000 bambini uccisi e l’uso di oltre 200 bambini per attacchi suicidi. L’efferatezza del terrorismo rappresenta un grave rischio per i diritti dei minori in Africa e nel Sahel. “L’Assalto all’educazione occidentale” e la violazione dei diritti dei minori in Nigeria Boko Haram ha gravemente violato la salute e i diritti dei bambini in Nigeria. Tra il 2009 e il 2015 l’organizzazione terroristica ha attaccato e distrutto più di 900 scuole e portato alla chiusura di più di 1.500 istituti per l’istruzione in quello che è stato definito come un vero e proprio “assalto contro l’educazione occidentale”. Solo tra il 20 febbraio e il primo marzo 2012 Boko Haram ha dato alle fiamme 12 scuole elementari, spesso attraverso attacchi coordinati contro più scuole. A seguito di questi attacchi si stima che 5.000 studenti non sono più potuti andare a scuola. In seguito a quegli attacchi un presunto portavoce di Boko Haram, Abul Qaqa, ha affermato che gli attacchi erano una risposta a quelli subiti dalle scuole coraniche ed all’arresto di insegnati islamici da parte delle forze di sicurezza. A tal proposito, si rileva che i funzionari nigeriani hanno a lungo accusato alcuni insegnati islamici del Nord-Est della Nigeria di utilizzare le scuole coraniche come luogo di reclutamento e formazione dei nuovi membri di Boko Haram. Occorre evidenziare che gli attacchi alle scuole ostacolano l’accesso all’istruzione di migliaia di bambini in Nigeria. I bambini da una parte rischiano la vita, dall’altra potrebbero vedere le scuole chiuse e abbandonare del tutto il percorso scolastico. Anche quando le classi riprendono dopo un attacco, la qualità dell’istruzione ne risente poiché gli studenti e gli insegnanti hanno paura e il materiale didattico viene danneggiato. Infine le minacce degli attacchi possono anche costringere le scuole vicine a chiudere o i genitori a tenere i figli a casa. A ciò si aggiunge che, a partire dal 2014, Boko Haram ha iniziato a rapire bambini e bambine da queste scuole per affiliarli all’organizzazione terroristica e costringerli ad affiancare i militanti, spesso per compiere attentanti suicidi. Un ulteriore pericolo per i diritti dei bambini è stato rappresentato dalla Civilian Joint Task Force (CJTF), gruppo locale formatosi nel 2013 per sostenere le forze di sicurezza nigeriane e contrastare le azioni di Boko Haram. Il gruppo è stato accusato di abusi come l’uccisione di uomini accanto ad una fossa comune, la deviazione di cibo destinato a famiglie affamate, il pestaggio di uomini e violenze sessuali sistematiche contro le donne. A ciò si aggiunge che la Civilian Joint Task Force nel 2016 è stata elencata negli allegati del Rapporto annuale del Segretariato generale per i bambini e i conflitti armati per il reclutamento e l’utilizzo dei bambini. Nel 2017 il gruppoha siglato, insieme ad UNICEF, un Piano d’Azione in cui si è impegnato a mettere in atto una serie di misure per porre fine e prevenire il reclutamento e l’utilizzo di bambini attraverso l’identificazione e la liberazione di tutti i bambini all’interno delle file del gruppo e l’istruzione dei suoi membri di non reclutare o ricorrere in alcun modo a bambini in futuro. Recentemente la Civilian Joint Task Force è stata elogiata dal gruppo di lavoro del Consiglio di sicurezza sui bambini ed i conflitti armati in quanto avrebbe facilitato il disimpegno di 2.203 ragazzi dalle sue fila. A ciò si aggiungerebbe il fatto che le Nazioni Unite non hanno riscontrato nuovi casi di reclutamento da parte del gruppo. L’educazione secondo Boko Haram Come già è evidente dal nome per Boko Haram – solitamente tradotto con “l’educazione occidentale è proibita” – il tema dell’educazione è fondamentale: l’organizzazione terroristica disapprova totalmente l’istruzione occidentale e impone lo studio secondo i precetti della Shari’a. L’educazione secondo Boko Haram può essere unicamente religiosa e riservata solo al genere maschile e per questo motivo attacca gli istituti femminili o gli istituti di cui non riesce a controllare il percorso di studio o che usano i libri di testo occidentali. Ciò farebbe parte della strategia di Boko Haram per imporre una forma molto rigorosa di Shari’a in Nigeria così da porre fine alla corruzione del governo ed alla diseguaglianza economica. Entrambe causate, secondo l’organizzazione, dalla cultura occidentale e dall’occidentalizzazione della Nigeria. L’educazione, inoltre, è importante perché i minori nei gruppi terroristici, a differenza dei bambini soldato, vengono sottoposti ad un intenso indottrinamento ideologico. I minori che finiscono nelle mani di Boko Haram infatti, imparano a desiderare di voler essere parte dell’organizzazione terroristica ed imparano ad odiare tutto ciò che viene considerato di origine occidentale, tramite la coercizione e l’esposizione prolungata alla “cultura del martirio”. Ai bambini viene quindi insegnato a resistere, lottare e soffrire per la vittoria finale e che il martirio non è un mezzo o una tattica di guerra, bensì un fine e un’impresa comunitaria. Boko Haram sottopone i bambini ad un intenso addestramento spirituale in cui vengono celebrati i dettagli della Jihad e si ricordano le ricompense che i martiri avranno nell’Al di là insieme alla propria famiglia, quest’ultima al contempo godrà di benefici durante la vita. Infine i bambini vengono addestrati all’uso delle armi e vengono iniziati al massacro, dapprima come testimoni poi come esecutori diretti. Il fenomeno dei bambini Kamikaze nella regione del lago Ciad Nell’ultimo decennio si è tristemente assistito all’allarmante crescita del fenomeno dei bambini kamikaze nella regione del lago Ciad, al confine tra Ciad, Camerun, Niger e Nigeria. Nel 2018 l’UNICEF ha dichiarato che Boko Haram utilizza i prigionieri civili per effettuare gli attentati suicidi e che un crescente numero di questi sono bambini: nel 2017 la percentuale di minori impiegati negli attentati è quadruplicata rispetto l’anno precedente. Altro dato tragico relativo in

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Sversamenti di petrolio nel Delta del Niger: disastri ambientali e sanitari in Nigeria

Il Delta del Niger è uno dei 5 ecosistemi più inquinati del mondo a causa degli sversamenti di petrolio che colpiscono ancora oggi sia l’ambiente che le popolazioni locali, come nel caso degli Ikebiri e degli Ogoni. L’industria del petrolio, storica in un paese come la Nigeria, rappresenta la causa principale di conflitti violenti, disastri ambientali e disastri sanitari che sono ormai strutturali. Tale tematica, inoltre, interessa anche l’Italia dal momento che nel 2018 ha avuto inizio presso il Tribunale di Milano il processo civile che vede coinvolte l’ENI, con la sua controllata nigeriana, e il popolo degli Ikebiri. La situazione ambientale del Delta del Niger e i danni alla salute subiti dalla popolazione nigeriana Il Delta del Niger è una regione ricca di petrolio nel sud-est della Nigeria, qui le attività delle multinazionali del petrolio (come Shell, Exxon Mobil, Chevron Texaco, Total Fina Elf, Eni/Agip) hanno procurato gravi danni ambientali, sociali ed economici. Nello specifico l’inquinamento viene causato dalle perdite di greggio che fuoriescono dalle tubature vecchie degli oleodotti che si estendono per centinaia di chilometri all’interno del territorio. Oltre agli sversamenti di petrolio che si riversano nell’acqua del fiume e lungo le sue sponde, un altro grande problema che affligge questo territorio è il fenomeno del Gas flaring, la combustione del gas in eccesso estratto insieme al petrolio. Questo gas potrebbe essere reimmesso nel sottosuolo oppure utilizzato per i fabbisogni energetici della Nigeria. Invece viene bruciato dalle multinazionali perché ciò rende l’estrazione del petrolio molto più veloce, abbassando così i costi di gestione e di produzione. Di conseguenza le persone che abitano in queste zone respirano aria inquinata, mangiano pesce contaminato (quel poco che è rimasto nell’area) e bevono acqua mista a petrolio. Secondo il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, i livelli di tossicità sono 900 volte superiori a quelli consentiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Conseguentemente è aumentata anche la diffusione di malattie: problemi respiratori, malattie della pelle e degli occhi, disturbi gastrointestinali, leucemie e cancro. Infine occorre notare che l’attività di estrazione, inquinando il bacino idrico ed i terreni, ha distrutto le coltivazioni di sussistenza. A ciò si aggiunge l’espropriazione dei terreni della popolazione nigeriana ad opera del governo, in virtù di trattati siglati con le multinazionali negli anni ‘60 del secolo scorso e da allora rimasti invariati. L’industria del petrolio in Nigeria Il petrolio da solo costituisce il 95% delle esportazioni e il 65% del bilancio nazionale della Nigeria, per questo motivo il tema dei violenti conflitti per la gestione di questa risorsa è ricorrente nella storia coloniale e post coloniale del paese.  L’industria del petrolio nel Delta del Niger vede coinvolti sia il governo della Nigeria che le società controllate da grandi compagnie multinazionali, come Shell, Exxon Mobil, Chevron Texaco, Total Fina Elf ed Eni/Agip, oltre ad alcune società nigeriane. A tal proposito l’esplorazione e la produzione del petrolio sono realizzate dalle “joint venture” (associazioni temporanee di imprese) di cui fanno parte la Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC), controllata dal governo, e una o più compagnie petrolifere estere che hanno siglato contratti di associazione e partecipazione con la NNPC. In questo modo la NNPC detiene la quota di maggioranza, lasciando alle multinazionali il ruolo operativo sul campo. Di fatto le compagnie gestiscono vastissime porzioni di territorio, si pensi al fatto che la sola Shell Petroleum Development Company of Nigeria (SPDC) gestisce un’area di oltre 31.000 chilometri quadrati, costruendo buona parte delle infrastrutture petrolifere vicino alle abitazioni, alle coltivazioni e alle fonti d’acqua delle comunità. Le comunità che vivono sul Delta del Niger però non traggono benefici dalla ricchezza del petrolio e, nonostante la presenza di 606 pozzi petroliferi, la Nigeria resta uno tra i paesi africani più poveri. Gli unici ad arricchirsi con il petrolio sono quindi le multinazionali e le élite locali, situazione che ha però suscitato da una parte proteste e mobilitazioni, dall’altra repressioni violente da parte dello Stato e dagli agenti della sicurezza privata assunti dalle compagnie. Occorre inoltre notare che il 60% della popolazione del Delta del Niger sopravvive grazie ad attività direttamente collegate all’ecosistema. In altre parole quando le coltivazioni e le zone di pesca vengono danneggiate, gli abitanti non hanno la possibilità di trovare fonti di reddito alternative rispetto a quelle perdute sprofondando ancor più nella povertà. In questo ecosistema quindi non si può vivere secondo il motto della Nigeria “Unità e fede, pace e progresso” poiché davanti alle persone sempre più spesso si presentano due alternative: la lotta o la migrazione. Il Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni e Il movimento per l’emancipazione del Delta del Niger Le comunità locali, appoggiate principalmente dal Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger e dal Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, si oppongono alle politiche di sfruttamento portate avanti dalle multinazionali e chiedono la bonifica dei corsi d’acqua e dei terreni oltre che una più equa distribuzione dei proventi del petrolio come risarcimento del debito ecologico. Il Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, popolazione principale della regione del Delta del Niger, conduce dal 1990 una campagna non violenta contro il degrado ambientale. Gli Ogoni sono un popolo indigeno colpito dallo sfruttamento intenso delle risorse petrolifere concesso dalla giunta militare alla multinazionale Shell negli anni ‘80. Secondo l’accordo stipulato tra le parti, pur se formalmente le terre sono rimaste nelle mani della popolazione, la Shell poteva sfruttare le risorse presenti ed era obbligata a destinare solo l’1,5% delle royalties derivanti dai guadagni alla popolazione locale. Dopo numerose battaglie condotte dal Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, si è raggiunto un accordo in virtù del quale la Shell deve destinare alla popolazione più del 15% delle royalties. Oltre a questo, un importante risultato conseguito dal leader del Movimento Ken Sawro-Wiwa è stato quello di essere riuscito ad attirare l’attenzione internazionale ricorrendo a concetti forti e di impatto per descrivere il problema. Uno degli esempi più lampanti è il concetto di “Guerra ecologica”. Nel 1995 però Ken Sawro-Wiwa, e otto attivisti furono arrestati e condannati a morte

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Essere donne in Nigeria: la violenza di Boko Haram

L’intensificarsi della violenza e delle atrocità dell’organizzazione terroristica Boko Haram in Nigeria si è abbattuta più ferocemente sulle donne del paese. I rapimenti e la conseguente schiavitù delle donne da parte di Boko Haram sono costanti e solo il rapimento di quasi 300 studentesse nella città di Chibok nel 2014 ha finalmente attirato l’attenzione dei media internazionali sull’organizzazione terroristica. #BringBackOurGirls: Boko Haram e i rapimenti di donne Nel 2014 Boko Haram controllava la maggior parte dei territori della Nigeria nordorientale. L’organizzazione terroristica ha attaccato e, in alcuni casi, ”governato” più di 130 villaggi e città, dove ha imposto la sua interpretazione della Shari’a. I miliziani di Boko Haram hanno perpetrato uccisioni, raso al suolo e saccheggiato case, imprese, scuole, chiese, mercati e strutture sanitarie negli Stati federati di Borno, Yobe e Adamawa. Dal 2009 al 2014 l’organizzazione terroristica ha distrutto almeno 211 scuole nel solo Stato di Borno e rapito più di 500 donne e ragazze, di queste almeno 100 sono fuggite. Alcune delle donne rapite hanno subito diversi abusi: violenze sessuali, matrimoni forzati e conversioni forzate.  Il 14 aprile del 2014 l’organizzazione ha messo in atto il più grande rapimento di ragazze avvenuto finora: Boko Haram ha catturato 276 studentesse di una scuola secondaria gestita dal governo a Chibok, nello Stato di Borno. La notizia del rapimento ha avuto una rapida diffusione suscitando la campagna social media #BringBackOurGirls, un grido internazionale per il rilascio delle studentesse. L’atteggiamento del governo, verso il rapimento ed il movimento, viene esemplificato dall’arresto nel maggio 2014 di due donne che avevano guidato le proteste di Abuja, la capitale nigeriana. Gli attivisti sostengono che sia accaduto per il volere della moglie dell’allora presidente Goodluck Jonathan. Patience Jonathan ha infatti accusato le donne di aver messo in cattiva luce il governo del marito. Il rapimento di Chibok ha rappresentato uno spartiacque importante: prima del rapimento i funzionari del governo del nord-est della Nigeria negavano l’esistenza dell’insurrezione di Boko Haram e dei rapimenti delle donne. Purtroppo queste non sono state né le prime, né le ultime ragazze rapite da Boko Haram. Nonostante l’indignazione internazionale seguita alla campagna #BringBackOurGirls, i rapimenti non si sono fermati. Un caso analogo a quello della scuola di Chibok è accaduto il 19 febbraio 2018: i miliziani di Boko Haram hanno rapito 110 ragazze tra gli 11 e i 19 anni in una scuola femminile di Dapchi, nei pressi del confine Nord-Est tra Nigeria e Niger. L’obiettivo dell’organizzazione, in questo caso, erano le ragazze più piccole in quanto nella scuole di Dapchi erano presenti classi inferiori rispetto alla scuola di Chibok. La ragione è da ritrovare nel fatto che Boko Haram “seleziona” ragazze molte giovani e donne anziane per usarle negli attentati terroristici, mentre le ragazze in età da concepimento, tra i 14 e i 19 anni, vengono ritenute più utili per la procreazione. Il destino delle ragazze catturate da Boko Haram può assumere due tragiche alternative: diventare delle bambine kamikaze o essere usate per la procreazione. Vivere sotto Boko Haram: le testimonianze delle donne rapite Le donne rapite da Boko Haram sono state costrette a vivere al fianco dei miliziani per giorni o mesi prima di riuscire a fuggire. Spesso alle ragazze rapite sono stati assegnati compiti domestici, come cucinare, mentre altre sono state costrette a sposarsi ed a fare sesso con i membri di Boko Haram. Si ritiene quindi che Boko Haram stia cercando di “sostituire” le famiglie che i combattenti hanno dovuto lasciare quando l’esercito nigeriano ha costretto i miliziani a lasciare i villaggi ed a rifugiarsi nella boscaglia. Le ragazze di fede cristiana, inoltre, sono state costrette a convertirsi all’Islam mentre, in alcune occasioni, le donne musulmane sono state lasciate andare. Ciò sta avendo effetti sulle tensioni storiche che vi sono in Nigeria tra le comunità cristiane e quelle musulmane in quanto le azioni di Boko Haram stanno aggravando la situazione. Una delle testimonianze delle donne rapite da Boko Haram vede protagonista una giovane donna di 19 anni che è stata rapita poco dopo gli eventi di Chibok insieme al suo bambino e ad altre 5 ragazze. La donna è stata costretta a dormire sotto un albero ma una notte venne svegliata da uno dei miliziani che l’ha condotta in un cespuglio buio. Il miliziano l’ha fatta sdraiare per terra con il suo bambino al lato. Lei ha cominciato a piangere ed a pregare di non farle del male. Lui disse: “O ti uccido o faccio a modo mio”. Poi la violentò. Il giorno dopo i miliziani la liberarono dopo che lei finse di convertirsi dal cristianesimo all’Islam. Un’altra ragazza che ha avuto il coraggio di raccontare la sua esperienza aveva 18 anni  quando è stata rapita e tenuta prigioniera per tre mesi. La ragazza ha interagito direttamente con il leader di una cellula di Boko Haram ed aveva informazioni dettagliate su come funzionava il campo, sul fatto che si trovava a Gwoza e sul rapporto con il principale campo di Boko Haram nella foresta di Sambisa. Aveva anche informazioni su come Boko Haram controllava i gruppi di sicurezza. Uno dei peggiori ricordi della ragazza è stato il momento in cui l’organizzazione terroristica l’ha usata come esca per attirare nuovi combattenti o vittime. Boko Haram le chiese di trovare uomini cristiani e di portarli nella boscaglia in modo da poterli rapire. Una volta tornati al campo hanno chiesto loro di rinunciare al cristianesimo, di accettare l’Islam e di diventare membri di Boko Haram. Quando si rifiutarono, i miliziani cominciarono a tagliare le gole spargendo sangue dappertutto. La ragazza è scappata, ma il suo calvario è tutt’altro che finito. Secondo altre ragazze sfuggite a Boko Haram, i ribelli la stanno cercando. Credono che sia incinta del figlio del loro capo e vogliono il bambino. Si sposta di casa in casa quasi ogni notte, sperando che i miliziani non la trovino. A queste testimonianze si aggiungono quelle delle ex-prigioniere che hanno riconosciuto i volti delle compagne di prigionia tra gli attentatori. Ciò ha confermato che Boko Haram ha costretto alcune

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Diritti LGBTQ+ in Nigeria: comunità ridotta al silenzio in un sistema discriminatorio

Dei paesi africani, la Nigeria è indubbiamente uno fra i più difficili in cui vivere se si è una persona LGBTQ+. Oltre alla criminalizzazione dell’omosessualità, la Nigeria è anche uno dei paesi rimasti nei quali è prevista una pena corporale e, a seconda dei casi, anche la pena capitale per questo “reato”. A ciò si unisce un contesto sociale particolarmente avverso alle persone della comunità, costrette a vivere la loro esistenza nell’ombra, lontano da sguardi indiscreti, col rischio di essere denunciati e vedere così la propria vita rovinata per aver semplicemente espresso il proprio vero essere. Le problematiche vissute dalle minoranze sessuali nigeriane hanno origine innanzitutto nell’apparato legislativo, altamente omofobo e intollerante, e continuano nel paese reale fra la popolazione poco ricettiva delle istanze delle persone LGBTQ+ ed anzi, chiaramente avversa ad esse. Quadro Legislativo e Impatto nella Società Civile Come già anticipato sopra, la Nigeria criminalizza l’omosessualità. La condanna che la legge impone non si ferma alle condotte sessuali ma arriva a punire anche l’espressione di genere (e quindi l’identità) delle persone. E’ illegale infatti per una donna esprimersi attraverso atteggiamenti e capi maschili, viceversa per un uomo. Il forte conservatorismo della Nigeria (conseguenza anche di un radicato sentimento religioso da parte di tutta la popolazione, cristiana e mussulmana) si traduce dunque in un attacco non solo ai comportamenti sessuali delle persone, ma anche alle loro identità ed ai modi in cui queste dovrebbero esprimersi – secondo i leaders religiosi. Nel merito, la Nigeria è uno Stato federale che non presenta un solo sistema giuridico ma vede la coesistenza di più apparati legislativi che convivono ed esercitano la loro influenza all’interno dei confini nazionali. Il nord del paese (a maggioranza mussulmana) ha un proprio Codice penale Federale. Tuttavia, 12 stati settentrionali – Bauchi, Borno, Gombe, Jigawa, Kaduna, Kano, Katsina, Kebi, Niger, Sokoto, Yobe, Zamfara – hanno adottato alcune forme di Sharia (il sistema islamico di leggi e precetti di ispirazione divina), che trova applicazione non solo su tutti i mussulmani residenti in detti Stati ma anche su chiunque decida volontariamente di sottoporvisi.  Il sud della Nigeria ha una popolazione per lo più di fede cristiana e ha anch’esso un proprio Codice penale, che si applica ai soli Stati del sud. Che si tratti dunque del Codice del Nord del Paese, di quello del Sud o delle norme della Sharia, in tutti e tre i testi emergono chiaramente una certa attenzione e meticolosità nell’individuare le fattispecie che costituiscono il “reato di omosessualità” ed affini, come pure le pene da infliggere. Analizziamo dunque i punti in comune fra i sopradetti Codici e le differenze per quanto riguarda i crimini legati all’orientamento sessuale ed all’identità di genere e le conseguenti pene applicate: Il Codice penale Federale del Sud della Nigeria considera gli atti sessuali fra uomini illegali con condanna a 14 anni di reclusione. L’attività sessuale femminile, pur non essendo esplicitamente menzionata, è da intendersi configurare ugualmente lo stesso reato e quindi trova applicazione anche per le donne lesbiche la stessa pena. Il codice approfondisce la materia nel Capitolo 21 nelle sezioni 214, 215 e 217 secondo le quali: Chiunque intrattenga rapporti carnali contro l’ordine della natura o permetta a qualcun altro di farlo commette reato punibile con 14 anni di reclusione (sezione 214); Chiunque tenti di commettere le suddette condotte è punibile con 7 anni di reclusione, non senza un mandato (sezione 215). Chiunque sia uomo e commetta atti osceni, in pubblico o in privato, con un altro uomo o costringa qualcuno a commettere tali atti o anche solo provi a farlo può essere punito con 3 anni di reclusione, non in mancanza di un mandato (sezione 217). Anche il Codice Penale Federale del Nord del Paese prevede una pena fino a 14 anni di reclusione, con possibile applicazione aggiuntiva di una multa, per rapporti carnali fra persone dello stesso sesso o fra persone e animali (sezione 248). Inoltre, la sezione 405 del Codice definisce come “vagabondo” qualunque uomo si vesta con abiti femminili o che abbia fatto della sodomia il suo stile di vita o la sua professione. Le sezioni 407 e 408 prevedono, per i vagabondi, una pena di un anno di reclusione, una multa o entrambe e, nel caso di recidività dell’atto incriminato, due anni di reclusione, una multa o entrambe contemporaneamente. Nei dodici Stati settentrionali che adottano la Sharia tutte le condotte che possono costituire una “deviazione dall’ordine naturale” sono duramente punite. Sebbene ogni Stato decida come adottare la legge ed eseguire le condanne, è possibile affermare che ciascuno di essi prevede pene molto severe per il “reato” di omosessualità – che vanno dalla punizione corporale con frustate alla pena capitale, spesso praticata tramite lapidazione. Oltre a condannare ulteriori condotte riconducibili alle minoranze sessuali (rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso, relazioni romantiche fra persone dello stesso sesso, travestitismo etc.) con sanzioni pecuniarie, periodi di reclusione, punizioni corporali e/o morte, alcuni Stati che applicano la Sharia menzionano espressamente il lesbismo fra gli altri comportamenti da condannare con un sistema di punizioni del tutto affine a quello previsto per i rapporti fra uomini. L’accenno esplicito all’omosessualità femminile è una tendenza per lo più minoritaria all’interno di certa giurisprudenza, figlia della scarsa considerazione data alle donne (in Nigeria come nel resto del mondo) che le rende soggetti invisibili del diritto, interessate da quest’ultimo solo in quanto controparte passiva dell’uomo. A questo quadro si aggiunge il fatto che, sebbene la Costituzione nigeriana affermi l’uguaglianza di tutti i cittadini e promuova uguali diritti (all’assistenza sanitaria, al lavoro etc.) per tutti, le tutele costituzionali sembrano non trovare applicazione alcuna quando la persona in questione è LGBTQ+. Tutto questo è aggravato dal fatto che la Nigeria, così come l’Italia del resto, non possiede alcuna legislazione atta a proteggere dalla discriminazione basata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere. Percezione e Status Sociale Se le leggi, oltre che regolare uno Stato, ne riflettono anche la società non può stupire sapere che un apparato legislativo così intollerante nei confronti della comunità LGBTQ+ nasce in una

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