Dal 1995 i suicidi dei contadini in India sono stati molto più di 300.000. In base alle statistiche del National Crime Records Bureau of India, si suicida un contadino ogni mezz’ora.
Gli Stati Indiani, che da soli contano l’87,5% dei suicidi dei contadini sono Maharashtra, Karnataka, Telangana, Madhya Pradesh, Chhattisgarh, Andhra Pradesh e Tamil Nadu.
Come dichiarato da Raju Das – professore di studi sullo sviluppo alla York University – “La questione dei suicidi tra i contadini non è solo un problema dei contadini, o un problema delle campagne, o dei villaggi – è un problema molto più grande, politico-economico”
Prima di trattare tutte le tematiche connesse a questo macabro fenomeno, è opportuno fare una fotografia della situazione attuale dei contadini indiani, così da poter rendersi conto dell’effettiva portata dello stesso:
- il 58% della popolazione dipende dall’agricoltura, ossia il suo lavoro è connesso in qualche modo con questo settore. Stando ai dati dell’ultimo censo, effettuato nel 2011, 120 milioni di indiani sono contadini. Per dare un’idea della vastezza di questa classe, i dottori in India sono 1 milione. Questo vuol dire che per ogni dottore, ci sono 12 contadini – ammesso che la popolazione contadina non sia cresciuta dal 2011 ad oggi;
- l’entrata annuale di un contadino indiano è l’equivalente di circa $272; quella mensile di circa $23; quella giornaliera di circa $0,76;
- il 52% dei contadini indiani versa in una forte situazione debitoria. La media annua del debito contratto dalle famiglie contadine è di circa $640 e, con un reddito annuo pari a circa $272 è impossibile pensare che le stesse possano far fronte alle spese vive quotidiane (bollette, cibo) e contemporaneamente ripagare il loro debito. Questo fa sì che lo stesso cresca esponenzialmente e “strozzi” i contadini.
Questa del debito pendente sulla classe contadina non è una tematica nuova, così come non lo è quella dei suicidi.
Sin dall’inizio del dominio britannico in India infatti, gli agricoltori erano costretti a pagare delle tasse altissime per l’utilizzo del terreno e spesso i redditi che ne ricavavano erano troppo bassi per coprire le spese. Questo sistema ha portato migliaia di contadini e le loro famiglie sul lastrico e molti di loro, disperati, compivano un gesto così estremo perché era visto come l’unico modo per liberarsi dai debiti. Il fenomeno dei suicidi dei contadini divenne così diffuso che nell’ ‘800 il governo inglese fu costretto ad emanare una serie di provvedimenti che limitassero l’altissimo tasso di indebitamento dei contadini.
Nonostante questa prima consapevolezza, nel 1894 il governo dell’India indipendente ha emanato il Land Acquisition Act che diede l’avvio ad uno dei primi fenomeni di Land Grabbing. L’India poi è un caso particolare perché è lo stesso governo ad autorizzarlo sul proprio territorio.
Gli effetti dell’applicazione di questa legge sulla popolazione indiana sono stati duplici a seconda che si fosse proprietari terrieri o contadini, ma comunque devastanti:
- i proprietari terrieri a cui è stata espropriata la terra non hanno ricevuto compenso o lo stesso è stato minimale;
- i contadini – che non erano proprietari della terra che lavoravano ma dipendevano da essa per ricavarne i mezzi necessari per la sopravvivenza propria e del proprio nucleo famigliare – sono rimasti senza alcun terreno da lavorare e quindi senza modi per sopravvivere.
Negli anni il Governo indiano ha emanato delle leggi a garanzia e protezione di questa fascia vulnerabile ma si è sempre trattato di palliativi che di fatto non solo non hanno risolto il problema, in molti casi l’hanno addirittura peggiorato.
Misure messe in campo da Governo
Negli anni le uniche misure a cui ha fatto ricorso il Governo in maniera alternata sono:
- Concedere ulteriori prestiti ai contadini. Come si è visto, il debito medio annuale delle famiglie di contadini è più del doppio delle loro entrate annue il che rende già impossibile agli agricoltori poter ripagare i prestiti concessi. Garantirne di nuovi concederà loro liquidità immediata – che comunque spesso è utilizzata per coprire parte del debito, non per sopperire ai reali bisogni famigliari, per paura che la banca si appropri del terreno – ma li imbriglia ancor di più nella trappola del debito, generando una spirale senza fine da cui i contadini non riescono più ad uscire;
- Aver adottato il Minimum Support Price (MSP) policy: secondo questa politica, il Governo ogni anno acquista 26 coltivazioni di contadini ad un prezzo calmierato (indipendentemente da quale sia il prezzo stabilito dal libero mercato). Questa avrebbe potuto essere una buona strategia per aiutare le famiglie contadine ad uscire dalla trappola della povertà se non fosse però, che l’attuale MSP – e tutti quelli adottati prima – non copre nemmeno i costi di produzione che gli agricoltori devono sostenere ogni anno.
Questa non corrispondenza con il dato reale deriva dal fatto che il Governo, nel calcolare il MSP, non ha mai applicato la formula che era stata individuata dagli esperti.
In un suo report del 2004 infatti, la Swaminathan Commission (la Commissione Nazionale degli Agricoltori indiana) ha stabilito che, per poter calcolare equamente il MSP, si sarebbe dovuto tener conto di 3 variabili di costo:
- Semi, agenti chimici e lavoro individuale;
- Lavoro di tutti i componenti della famiglia;
- Affitto od interessi che i contadini ogni anno devono pagare per il proprio terreno o le proprie attrezzature – il che ci dimostra quanto poco sia cambiato dall’epoca della colonizzazione britannica
Il Ministero delle Finanze invece, applica una formula che tiene conto solo delle prime due variabili di costo per nulla prendendo in considerazione i costi di affitto di terreno e/o materiali che spesso sono la vera causa di indebitamento delle famiglie contadine.
Nel disperato tentativo di far sentire le proprie voci, nel 2018 i contadini indiani hanno condotto due proteste pacifiche che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale per un breve periodo.
A Maharasthra, più di 500.000 contadini hanno marciato con le loro famiglie per 160 km per presentare al Governo le loro richieste. Questa protesta è stata a dir poco singolare perché i contadini hanno marciato di notte, così da non ostacolare gli studenti che l’indomani mattina si sarebbero dovuti recare a scuola per sostenere gli esami.
Nel luglio dello stesso anno poi, i contadini di Tamil Nadu hanno protestato per 40 giorni consecutivi e, nel tentativo di attirare l’attenzione delle autorità locali, hanno compiuto gesti eclatanti che bene hanno rappresentato il livello della loro disperazione (come il bere la propria urina).
Purtroppo però nessuna di queste proteste ha ottenuto l’effetto desiderato. Questo perché le concause che entrano in gioco nel trattare questa tematica sono complesse e gli interessi economici dietro alcune di queste fanno sì che il Governo risulti sordo alle richieste di quella che di fatto rappresenta la maggioranza della popolazione.
Fattori che concorrono alla crisi
Uno dei principali problemi al quale è connessa la crisi del settore agricolo indiano è il crollo del prezzo dei prodotti agricoli dovuto al libero mercato, introdotto ed imposto nel paese dalle politiche del WTO.
Nei soli primi 10 anni di effettiva applicazione di dette politiche (1995-2001) infatti: (i) il prezzo del grano è passato da $216 a tonnellata a $133 a tonnellata; (ii) il prezzo del cotone da $98,2 a $49,1; (iii) quello della soia da $273 a &178.
Questa enorme contrazione si basa sull’erogazione di sussidi che i paesi occidentali forniscono annualmente agli agricoltori per tenere bassi i prezzi dei prodotti (ad esempio, negli USA questi sussidi ammontano a 4 bilioni di dollari annui complessivi).
Per di più, le politiche del WTO hanno permesso la creazione di monopoli di mercato controllati da una manciata di corporazioni – la più famosa tra tutte per aver prodotto gli effetti più devastanti sia sull’economia che sulla salute dell’India è la Monsanto. Questi monopoli si adoperano per far sì che il Governo adotti politiche a loro favorevoli, aumentando le importazioni di prodotti a discapito della produzione interna. E’ infatti un principio base in economia quello secondo il quale maggiore è l’offerta rispetto alla domanda, minore sarà il prezzo di vendita.
A differenza dei loro colleghi occidentali però, i contadini indiani non percepiscono alcun tipo di sussidio e quindi sono completamente in balia del crollo dei prezzi imposto dall’andamento del mercato globale – di fatto quindi, imposto da una manciata di multinazionali.
Secondo la Research Foundation for Science, Technology and Ecology, i contadini indiani perdono all’anno 26 bilioni di dollari, profitto che rientra nelle casse di corporazioni come la Monsanto.
Spesso le produzioni agricole locali indiane valgono così poco che i contadini preferiscono:
- distruggere il loro raccolto;
- lasciare i prodotti in mezzo alle strade del mercato;
- darlo in regalo.
Un altro motivo per il quale il reddito prodotto dai contadini è sempre più ridotto è la continua introduzione di nuove figure di intermediari nella filiera produttiva. Dal momento che il prezzo finale è “imposto” dalle multinazionali – e quindi è fisso – più persone si frappongono tra il produttore ed il consumatore, meno guadagno ci sarà per il primo anello della catena (il contadino appunto).
Altra grande catastrofe che si è abbattuta sull’agricoltura indiana a causa dell’arrivo delle multinazionali – e la Monsanto in questa è da sempre stata in prima fila –, è l’agricoltura OGM.
La prima volta che in India si iniziò a parlare di questo sistema “innovativo” di agricoltura è stato nel 1951 con l’avvio del Piano Quinquennale di sviluppo programmato – sotto l’egida della Russia sovietica. Seguendo questo piano, negli anni Sessanta venne distribuito tra gli agricoltori un kit gratuito contenente semi ibridi, fertilizzanti e pesticidi. Ovviamente, i raccolti degli anni successivi aumentarono esponenzialmente ed i contadini, non essendo affatto consci di cosa l’utilizzo di questi prodotti facesse alla terra ed al cibo, smisero di utilizzare i semi naturali divenendo totalmente dipendenti dai semi ibridi.
Dal momento che le piante OGM non producono semi naturalmente, gli agricoltori erano costretti ad acquistarli ogni anno a prezzi sempre più elevati indebitandosi sempre di più.
Il vero dramma legato all’utilizzo degli OGM però si è verificato a partire dal 1998. In quell’anno la World Bank impose all’India di aprire la propria economia agricola alle corporazioni globali (Cargill, Monsanto e Sygenta in prima fila).
In un sorprendentemente breve periodo, queste hanno completamente distrutto una tradizione agricola millenaria, trovando la strada già “spianata” dagli effetti dell’utilizzo del kit gratuito.
La Monsanto ed il resto delle corporazioni hanno imposto l’utilizzo dei loro semi – che per crescere hanno bisogno di fertilizzanti e pesticidi e che non possono essere conservati – distruggendo le riserve dei semi naturali che i contadini erano abituati a conservare per utilizzarli negli anni successivi, permettendo loro di risparmiare e di ridurre i costi del lavoro.
Per di più, questi semi OGM e gli agenti chimici necessari per farli crescere sono veramente costosi. I contadini sono stati quindi costretti ad utilizzare le risorse necessarie per sopperire ai propri bisogni quotidiani pur di poterli acquistare. Questo ha aumentato ancor di più la gravità del loro indebitamento.
Altro grande problema che influisce sulla produzione agricola è la pioggia:
- se ne cade troppo poca, non si produce abbastanza da poter ricavare almeno il necessario per non morire di fame. Per di più la scarsità di grano colpisce anche l’allevamento producendo un effetto domino sul resto delle economie locali;
- se ne cade troppa (come durante la stagione dei monsoni), la produzione aumenta ma conseguentemente diminuiscono ancora di più i prezzi perché l’offerta sul mercato aumenta.
Possibili soluzioni
Per quanto la strada sia incerta e tortuosa, soprattutto per la grande influenza che le corporazioni hanno sul continente indiano – influenza che rischia di affermarsi ancor di più a causa della grave crisi economica e sociale che si sta delineando come conseguenza della pandemia – qualcosa può essere fatto, in concreto, per migliorare le condizioni di vita dei contadini e prevenirne i suicidi.
Una serie di autorevoli esperti – tra cui Devinder Sharma, Siraj Hussain, Ashok Gulati – sostengono che il Governo indiano debba abbandonare la politica del MSP perché:
- non ci sono abbastanza fondi nelle casse dello Stato per poter permettere al Governo di acquistare 26 piantagioni all’anno;
- membri importanti del WTO – primi tra tutti Stati Uniti, Canada ed Australia – hanno sollevato dubbi sulla sostenibilità finanziaria del fondo stesso ed il WTO ha cominciato ad attenzionare da vicino i vari movimenti
La soluzione proposta dagli esperti è quella di sviluppare una serie di politiche a sostegno del reddito dei contadini piuttosto che del prezzo della merce, andando quindi ad intervenire direttamente sul problema reale e non proteggendo l’economia di mercato a discapito delle fasce più deboli della popolazione.
Sempre in un’ottica di nuove politiche da adottare per affrontare il problema in tutte le sue svariate sfaccettature, una delle misure più urgenti da applicare è quella di progettare programmi di sviluppo che vadano ad incentivare un ritorno all’agricoltura tradizionale – vista l’entità dei danni sociali, economici ed ambientali che derivano dall’utilizzo di prodotti OGM.
Come abbiamo visto infatti, le multinazionali occidentali hanno imposto il ricorso a semi ibridi e pesticidi il che ha gradualmente intossicato il terreno. Dato il marcato utilizzo degli stessi, a causa del monopolio della Monsanto sull’industria dell’agricoltura OGM, i livelli di avvelenamento del cibo e del terreno sono aumentati esponenzialmente in brevissimo tempo e ad oggi non accennano a diminuire.
A riprova di questo, i dati confermano che. negli ultimi venti anni, le morti per avvelenamento da cibo causato dal ricorso ai pesticidi, sono circa 40 volte superiori rispetto a quello degli USA – la patria dell’industria OGM.
Data la massiccia influenza economica che la Monsanto e le restanti corporazioni esercitano sul Governo indiano però, questa strada è ancora tutta in salita e sarà costellata da enormi ostacoli lungo la via.
Un’altra soluzione proposta è quella di aumentare il numero dei Farmers’ Markets, ossia i mercati nei quali i contadini portano a vendere i loro prodotti.
Attualmente in India ve ne sono all’incirca 7.000 sparsi su tutto il territorio, ma dato il numero elevato della popolazione che lavora nel settore e data l’elevata domanda interna, è stato stimato che ne servirebbero almeno 20.000.
L’utilità di questi Farmers’ Markets è duplice:
- una presenza più capillare di questi mercati sul territorio ridurrebbe i costi che i contadini sono costretti ad affrontare per il trasporto e lo stoccaggio delle merci;
- il numero degli intermediari nella filiera produttiva sarebbe ridotto così da aumentare le entrate dei contadini – che avranno meno persone con cui dover dividere il profitto derivante dal prezzo finale di vendita
In ultimo, il Governo potrebbe adottare anche altre due ulteriori misure che impatterebbero il settore della logistica legata all’agricoltura:
- migliorare ed implementare i siti di stoccaggio merce – indipendentemente dal numero di Farmers’ Markets – perché sempre più spesso i contadini non possono permettersi uno stabile privato in cui depositare il proprio raccolto in vista della vendita e/o le proprie eccedenze. Questo eviterebbe che molti raccolti vadano distrutti per mano degli stessi contadini;
- innovare il sistema di assicurazione delle piantagioni, il quale non ricomprende molte cause che attualmente si verificano con sempre più incidenza e che distruggono i raccolti. Questo fa sì che queste assicurazioni sono sempre più spesso inutili poiché non indennizzano quasi più alcun danno di quelli che nell’era moderna possono affliggere un raccolto.
Tutte le suddette misure richiedono una procedura lunga e complessa, soprattutto da un punto di vista negoziale ma, qualora implementate, potrebbero davvero migliorare le condizioni di vita della maggior parte della popolazione indiana.
Esperti ed attivisti hanno pronti da anni dei piani di sviluppo puntuali e dettagliati in ogni fase, quello che manca è solo una ferma volontà del Governo indiano di affrancarsi dall’ultradipendenza dallo strapotere monetario delle multinazionali.
Le stesse, a loro volta, tengono sotto scacco l’establishment da decenni in difesa dei propri interessi economici che nulla hanno a che vedere con l’effettiva vita della popolazione di quell’area. L’unica a pagare il prezzo di politiche figlie dell’era post-coloniale è, come spesso accade, la fascia più povera ed indifesa della popolazione.
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