Somalia
Somalia
(A cura di Rainer Maria Baratti)
La Somalia confina con Gibuti, Etiopia, Kenya e ha una posizione strategica poiché affaccia sul Golfo di Aden, dove passano le rotte commerciali marittime “Round the World”. Nel tardo XIX secolo venne colonizzata da Britannici (Nord) e Italiani (Centro e Sud) che si insediarono inizialmente sulla costa e che crearono dei protettorati. Nel 1936 la Somalia Italiana fu fatta confluire amministrativamente nell’Africa Orientale Italiana e rimase tale fino al 1941 quando passò sotto il controllo militare britannico. Dopo la seconda guerra mondiale il Nord rimase protettorato britannico e la parte restante venne messa sotto amministrazione fiduciaria italiana. L’amministrazione fiduciaria italiana è stato il tentativo neocoloniale di costruire ed esercitare un ruolo d’indirizzo sulla giovane repubblica somala. L’Italia ha investito in dieci anni ingenti risorse umane e materiali per dotare la futura amministrazione somala degli interessi necessari a gestire l’indipendenza ma il modello politico e istituzionale trasferito ai somali ha rappresentato una forzatura rispetto alla fisonomia sociale del paese. Ciò ha causato l’interminabile sequenza di conflitti politici e violenze che durano fino ad oggi. L’intento era quello di creare un sistema politico compatibile con quello occidentale e con un rapporto privilegiato con l’Italia attraverso la formazione di una classe dirigente organizzata secondo schemi lontani dalla realtà locale impostata sulla dinamica dei Clan. L’Italia non seppe cogliere i segnali di crisi e non riuscì ad arginare la corruzione che dilagava in ambito istituzionale. Finì per essere percepita come fattore destabilizzante. Nel 1969, il maggiore Mohammed Siad Barre portò a termine un colpo di Stato e si insediò come presidente-dittatore (l’Italia stabilì da subito un rapporto amichevole e cooperativo), rimanendo in carica fino allo scoppio della guerra civile (26 gennaio 1991). Il dittatore divenne funzionale agli interessi geopolitici ed economici dell’Italia, in una spirale sempre più torbida che non tardò a sfociare nell’illecito degli affari gestiti dalla criminalità organizzata, nella corruzione politica e nel crescente appetito di imprenditori tanto rapaci quanto criminali. Gli affari dell’Italia nel ventennio di potere di Siad Barre si concentrarono nella produzione agricola (soprattutto banane), nell’allevamento e nella pesca, con una sporadica e improduttiva fase d’interesse per il settore minerario e degli idrocarburi. Nel periodo 1981-90, oltre l’80% dei 1.400 miliardi di lire investiti nel programma di cooperazione bilaterale fu destinato alla realizzazione di grandi infrastrutture e a produzioni intensive nei suddetti ambiti, mentre il 13% veniva destinato a settori immateriali come la cooperazione interuniversitaria. Nel 1986 comincia il collasso del governo di Siad Barre che portò lentamente alla guerra civile ancora oggi in atto. Il conflitto tre fasi distinte: 1) dal 1986 al 1991, comprendente la fase della rivolta contro il regime di Siad Barre; 2) dal 1991 al 2000, vede fronteggiarsi i signori della guerra locali che, nella fase più cruenta del conflitto (1991-1996), ha come principali antagonisti il presidente ad interim Ali Mahdi e il generale Aidid (il successivo periodo di transizione, che ha condotto prima ad un governo nazionale di transizione e poi ad un governo federale di transizione, si è concluso nel 2012 con l'istituzione di un nuovo governo federale); 3) dal 2008, che vede opposti al governo internazionalmente riconosciuto prima i ribelli dell'Unione delle corti islamiche e poi i gruppi di Al-Shabaab, legati al terrorismo islamista. Nel 1992 le nazioni unite hanno proceduto con interventi armati nella regione con le missioni UNITAF, UNOSOM I e UNOSOM II ma non si raggiunse l'obiettivo di riappacificare il paese. La partecipazione italiana alla missione umanitaria a guida ONU fu problematica. Il rientro in Somalia dopo la fine del regime di Siad Barre fu possibile solo per l’insistenza del governo italiano nel voler partecipare a un’operazione ritenuta strategica per i propri interessi. Gli Stati Uniti e buona parte dei paesi europei, tuttavia, non vedevano di buon occhio un ritorno dell’Italia nella Somalia, ritenendo il nostro paese profondamente compromesso con tutte le parti in conflitto. Ciononostante, Roma riuscì a imporre la sua linea e dispiegò a Mogadiscio un grosso contingente militare, ben presto impegnato in operazioni di combattimento con le milizie che si dividevano il territorio. La crisi somala ebbe il suo culmine, e il suo epilogo, quando le forze statunitensi ingaggiarono una lotta senza quartiere contro Faraḥ Aidid, ritenuto il vero artefice dell’instabilità locale, sospettando gli italiani di collusione con il suo clan e con le sue milizie. Il bilancio dell’operazione in Somalia, conclusasi con 11 caduti, fu tragico sotto ogni punto di vista. L’Italia aveva dimostrato di non poter fornire alcun apporto alla pacificazione della sua ex colonia; anzi, aveva palesato l’evidente quanto controversa natura del suo rapporto con le differenti milizie in lotta tra loro. Dopo queste vicende la Somalia venne abbandonata dalla comunità internazionale fino al 2006, quando vi fu l’ascesa al potere delle Corti islamiche e la conseguente operazione militare dell’Etiopia, contrastata da Al-Shabaab. La Somalia restò isolata dal resto del mondo per quasi un decennio, governata dai «signori della guerra» prima e dalle milizie islamiste poi. La comunità internazionale restò a guardare fino alla fine del decennio scorso, per poi essere costretta a intervenire di fronte al fenomeno della pirateria nell’Oceano Indiano e al rischio terroristico. Dati gli interessi globali e commerciali nell’area minacciati dagli attacchi della pirateria somala, la NATO intervenne attraverso l’operazione ocean shield congiunta a EUNAVFOR. L’Ocean Shield costituisce il contributo della NATO agli sforzi internazionali di contrasto al fenomeno della pirateria marittima nell’area antistante al corno d’Africa. Le operazioni aeronavali sono cominciate il 17 agosto 2009 dopo che il Consiglio del Nord Atlantico ha approvato la missione. L'Operazione Ocean Shield e basata sull'esperienza acquisita durante la precedente operazione denominata Allied Protector svolta con scopi pressoché identici. Mentre le operazioni militari continuano in mare, la Nato ha adottato un nuovo approccio al fenomeno che prevede la possibilità di intervenire a livello regionale a fianco degli Stati che richiedono di poter cooperare al fine di sviluppare la propria capacita di contrasto alla pirateria. Si ritiene che le motivazione dei Pirati sono collegate alla volontà di partecipare al benessere globale che è a loro proibito dai pescherecci di molte potenze dell’area che sfruttano indisturbate le risorse ittiche somale. Nessuna autorità o fazione tuttora è riuscita a imporre il proprio controllo su tutto il paese. La Somalia vive di pluralità di poteri più o meno autonomi che esercitano ciascuna un diverso grado di controllo del territorio. Questo è uno dei motivi dell’instabilità di potere che lo porta ad essere riconosciuto internazionalmente come uno “Stato fallito”.
Politica e Società
Malgrado il nuovo e promettente clima politico, negli ultimi tre anni la Somalia è caduta di nuovo nell’instabilità, a causa della corruzione e della violenza da parte delle forze che si contendono il territorio, compreso
Al-Shabaab. Inoltre molto poco è stato fatto sul piano internazionale per consolidare le istituzioni somale. Ad oggi il rapporto con la Somalia dell’Italia è incentrato solo sugli aiuti umanitari e sull’addestramento del personale militare. Nel paese si registra un attivismo crescente della Turchia e delle monarchie del golfo. La Turchia ha avviato un ingente programma di cooperazione militare ed economica, mentre vi è un dualismo tra Arabia Saudita e Qatar che riflette la crisi diplomatica in essere tra i due poteri e desta timore per la sicurezza. Il parlamento somalo, rappresentativo di tutte le regioni della Somalia, compreso il Somaliland e il Puntland, a febbraio 2017 ha eletto alla carica di presidente Mohamed Abdullahi Mohamed. A sua volta il presidente ha nominato come primo ministro Hassan Ali Khayre. Alcuni candidati presidenziali sono stati accusati di aver usato milioni di dollari Usa dei finanziamenti per la campagna elettorale per comprare il voto dei parlamentari. I membri del parlamento erano eletti secondo un sistema che attribuiva agli anziani dei quattro clan principali un voto ciascuno, mentre agli anziani dei clan di minoranza concedeva solo mezzo voto. In pratica, secondo questo sistema, i giovani, le donne e gli uomini appartenenti ai clan di minoranza non godevano degli stessi diritti di voto. Comunque il sistema di quote elettorali riserva alle donne il 30 per cento dei seggi. Questo comporta un miglioramento del livello di rappresentanza femminile rispetto al passato. Poco dopo il suo insediamento, il presidente Mohamed ha dichiarato che la riforma delle forze di sicurezza e la sconfitta di al-Shabaab (che nell’ultimo anno ha intensificato gli attacchi contro i civili) sarebbero state le sue priorità. La situazione generale della sicurezza in Somalia è determinata da diversi fattori. Il primo di questi fattori è il conflitto armato in corso da anni tra l’esercito nazionale somalo, appoggiato dalla missione dell’Unione africana in Somalia (AMISOM), ed elementi antigovernativi o insorti, il più importante dei quali è, appunto, Al-Shabaab. Gli altri fattori sono la violenza tra clan e all’interno dei clan, le milizie private e la criminalità. Questi fattori sono spesso interconnessi e difficili da distinguere. Le truppe di Al-Shabaab sono descritte come «abbastanza professionali, bene organizzate ed equipaggiate». I combattenti ricevono un addestramento più intenso rispetto a un soldato medio dell’esercito nazionale somalo. Il gruppo ha un’ampia rete di simpatizzanti, informatori/spie e altri collaboratori in tutta la Somalia» e si ritiene che sia dappertutto nella Somalia centro-meridionale. Inoltre si confondono nella popolazione e qualche volta, i combattenti indossano uniformi dell’AMISOM per camuffarsi durante gli attacchi. In alcune zone controllate da Al-Shabaab vige una sorta di Stato di diritto, basato su due principi: la paura e la prevedibilità. Chi paga le tasse sa che cosa ottiene in cambio. Non appena l’AMISOM o l’esercito nazionale abbandona una città o un villaggio, Al-Shabaab istituisce immediatamente una propria amministrazione. Il gruppo ha istituito posti di blocco intorno alle principali città e gli attentati compiuti sulle principali vie di rifornimento che collegano Mogadiscio a Baidoa e Belet Uen sono così frequenti da indurre l’AMISOM e l’esercito somalo a trasportare ancora le loro truppe e parte dei rifornimenti per via aerea. Il gruppo raramente ingaggia scontri militari diretti ma compie raid e uccisioni ovunque, anche a Mogadiscio. Il gruppo commette uccisioni mirate di funzionari pubblici, dell’AMISOM e di sicurezza, operatori economici, anziani dei clan, dipendenti di ONG e organizzazioni internazionali e collaboratori, tutti considerati apostati. Sia i dipendenti stranieri di organizzazioni internazionali che i dipendenti locali vengono minacciati e, in qualche caso eccezionale, sono stati uccisi. Chiunque sia identificato come persona alle dipendenze dell’ONU, ossia chiunque percorra regolarmente la strada che porta all’aeroporto di Mogadiscio, e quindi si presume vi lavori, può essere un bersaglio; al contrario, i lavoratori giornalieri nelle sedi delle amministrazioni e dell’ONU non sono considerati bersagli. Inoltre, anche giornalisti, attivisti per i diritti umani e dipendenti delle ONG possono essere presi di mira: dipende dalle attività e delle critiche più o meno esplicite che rivolgono ad Al-Shabaab. È stato osservato che le organizzazioni internazionali vengono minacciate non soltanto da Al-Shabaab, ma anche da altri attori quali i clan locali e la criminalità organizzata. Qualche volta i dipendenti vengono uccisi semplicemente perché ricevono regolarmente uno stipendio e con la loro morte qualcun altro può prendere il loro posto. Le persone che vivono nelle zone controllate dal gruppo devono conformarsi al «modo di vivere di Al-Shabaab se non vogliono correre rischi». I civili che non obbediscono alle regole e all’ideologia di Al-Shabaab possono subire sanzioni pesanti. Ad esempio, chi non si veste o non si comporta secondo le regole di Al-Shabaab rischia l’arresto e punizioni corporali. Oltre alla violenza perpetrata da gruppi di insorti come AS, alcune parti della Somalia sono anche esposte alla violenza derivante da conflitti tra clan, che sfocia in esecuzioni sommarie, estorsioni, arresti arbitrari e stupri. L’ACLED ha segnalato che nel settembre 2017: «Di fatto, i nuovi conflitti in Somalia negli ultimi anni vedono protagoniste le milizie claniche, attive in varie zone e che l’espansione di Al-Shabaab in nuove aree ha degli effetti sul numero di milizie claniche attive in quegli stessi luoghi, il che fa presupporre che ci sia un rapporto tra le milizie claniche e Al-Shabaab, nel senso che Al-Shabaab potrebbe essere in realtà una “insegna” sotto la quale combattono numerose milizie claniche». Lo stato è diviso tra più entità semi-statali tra cui spiccano il Puntland (regione nord-orientale) e il Somaliland (l’ex protettorato inglese) ma a prevalere è un legame di tipo clanico. Il paese di è frammentato in clan e sotto clan tra i quali vi sono: Darod, Hawiya, Ishaak, Rahanwein, Dir e Digil. Questa frammentazione comporta diversi centri di potere territoriale e, nel vuoto politico, molti sotto clan somali sposano la causa del terrorismo per opportunismo politico (soldi e potere). Per comprendere il fallimento come stato, occorre comprendere la complessa dinamica clanica del paese. Il paese è terribilmente disallineato tra strutture statali e tra strutture e tradizioni indigene che mettono in crisi la stabilità politica dell’intero stato poiché il popolo somalo è diviso in affiliazioni di clan (componente importante dell’identità somala). La popolazione viene solitamente divisa in quattro grandi clan e altri gruppi di minoranza. Ognuno dei clan a sua volta è diviso in sotto clan e reti familiari estese che si uniscono o si dividono in un fluido processo di “scomposizione e ricomposizione”. I clan usano la legge consuetudinaria per governare le proprie comunità in completa indipendenza dalle strutture statali. Sebbene questo sistema sia piuttosto indebolito nel sud da processi quali l’urbanizzazione, la violenza o i tentativi di uno stato centralizzato, questo istituto tradizionale continua ad avere grande importanza sulla società. Per esempio le parti ad aver raggiunto il massimo della stabilità sono quelle basate su questi clan. Per esempio Il raggruppamento degli Haarti (sottoinsieme dei Daarood) ha creato una regione semiautonoma nel nord-est del paese chiamata Puntland. Mentre il Somaliland è si è dichiarato indipendente ed è entrata in possesso di una serie di elezioni liberi. Ciò però è avvenuto con il mancato appoggio da parte della comunità internazionale e la regione è stata in grado di dotarsi di un sistema di governo robusto e radicato nei concetti tradizionali somali. A questo proposito il Regno Unito promuove con periodiche conferenze a Londra strumenti per aggregare gli interessi somali presenti in Nord Europa a quelli dei Britannici, da sempre promotori di una forte federalizzazione o della separazione del Somaliland dal resto del paese. Gli ambigui movimenti degli inglesi hanno provocato una stasi operativa nella gestione degli aiuti internazionali.
Diritti
Sotto il profilo dei
diritti di rifugiati e migranti il 9 febbraio 2017 l’Alta corte del Kenya ha stabilito incostituzionale e che violava gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e interno una direttiva del governo kenyano del 2016. Questa aveva stabilito la chiusura del campo per rifugiati di Dadaab. La maggior parte dei rifugiati era proveniente dalla Somalia e, secondo i dati dell’UNHCR, da gennaio a novembre 2017 più di 30 mila rifugiati erano stati rimpatriati volontariamente dal Kenya alla Somalia secondo un accordo trilaterale tra i due paesi e l’UNHCR. A fine anno, il campo di Dadaab ospitava 229.592 somali registrati ufficialmente come rifugiati. Tuttavia, il Kenya ha continuato a non registrare più i nuovi arrivati provenienti dalla Somalia.
Per quanto riguarda il
diritto di libertà di espressione i giornalisti sono vittima di repressione sia dal gruppo Al-Shabaab che dal governo. Al-Shabaab ha proibito ai giornalisti di operare nelle aree sotto il suo controllo detenendoli, minacciandoli e vessandoli. Nel frattempo il consiglio di gabinetto somalo ha istituito un organismo governativo di controllo i cui componenti sono nominati dal ministro dell’informazione con mandato di vigilare sul contenuto della stampa e delle trasmissioni radiotelevisive. Il testo della legge era formulato in maniera vaga e comprendeva generiche restrizioni al lavoro dei giornalisti; inoltre conferiva alle autorità ampi poteri discrezionali di agire penalmente. Su queste basi sono stati arrestati molti giornalisti per le critiche rivolte al governo.
Sotto il profilo dei
diritti delle donne sono rimasti dilaganti e sotto denunciati gli episodi di violenza sessuale e di genere. A causa della siccità e delle alluvioni, sempre più spesso le donne vengono separate dalle loro famiglie, rimanendo così ancora più esposte al rischio di subire violenza sessuale e di genere. Questo avviene perché vengono percepite come prive di “protezione maschile”.
Tutte le parti coinvolte nel conflitto praticano il rapimento e il reclutamento di bambini soldato. Tra il 2010 e il 2016, sono stati identificati 6 163 bambini soldato, soprattutto in Al-Shabaab (4 313 ossia il 70 % del numero totale di bambini soldato tra il 2010 e il 2016, con un picco nel 2012), seguito dall’esercito nazionale somalo (920), da ASWJ (346), dalle forze di sicurezza degli Stati regionali (193) e da soggetti non precisati. L’ONU osserva un aumento generale del numero di casi di reclutamento e uso di bambini soldato verificati dalle Nazioni Unite, in particolare da parte di Al-Shabaab nel Basso e Medio Giuba, nel Basso Scebeli e nel Bacol. Questo fenomeno riguarda spesso bambini e ragazzi molto giovani, fra gli 8 e i 15 anni di età.
Infine l’alternarsi di siccità e alluvioni ha messo i
diritti economici, sociali e culturali in crisi. È aumentato significativamente il numero di persone sfollate internamente e oltre tre milioni di persone affrontano un’insicurezza alimentare a livelli altissimi. La malnutrizione ha raggiunto livelli critici nelle regioni meridionali e centrali del paese, principalmente tra le popolazioni sfollate ma anche tra coloro che erano direttamente colpiti dal protrarsi del conflitto. Ad agosto, l’OCHA ha calcolato che 388.000 bambini erano affetti da malnutrizione e che 87.000 necessitavano di aiuti umanitari salvavita.
Economia e Risorse
L’economia è in maggior parte di allevamento e agricoltura in gran parte di sussistenza e di cui si occupa oltre i 2/3 della popolazione. Il governo ha dedicato particolare attenzione al potenziamento del settore agricolo nel suo complesso, incoraggiando tra l'altro le forme di conduzione collettivistiche, ma il Paese rimane lontano dall'autosufficienza alimentare. L'agricoltura commerciale è ancora limitata a poche aree lungo il Juba e l'Uebi Scebeli (aree che possono disporre di un'irrigazione permanente) ed è gestita dallo Stato in vaste piantagioni che producono banane, canna da zucchero e, in minor misura, cotone. Il governo poi ha destinato in passato cospicui investimenti al settore zootecnico; tale settore, che può contare su vasti spazi (oltre il 67% del territorio) a prato e a pascolo permanente, è tuttora l'unica fonte di sussistenza della stragrande maggioranza della popolazione, costretta però, per la scarsità d'acqua, a un'estenuante transumanza. Occorre ricordare che però tutto il settore agricolo e dell’allevamento sono messi in crisi dalle siccità e dalle alluvioni.
Le prospezioni geologiche hanno rivelato la presenza di alcuni giacimenti di manganese, uranio, rame, zinco, stagno ecc., mentre per il petrolio le ricerche iniziate nel 1975 hanno sinora dato risultati negativi. Sotto questo punto di vista è da sottolineare l’interesse di Eni all’esplorazione del tratto di mare a cavallo del confine marittimo meridionale del paese che è oggetto di un’accesa controversia con il Kenya (paese dove ENI è operativa) per la definizione del confine internazionale.
I commerci interni hanno scarso rilievo, data la prevalente struttura produttiva di autosussistenza; contenuti sono anche quelli internazionali in quanto i programmi governati vi mirano al conseguimento dell'autosufficienza economica. Le esportazioni somale sono rappresentate per l'assoluta maggioranza da bestiame vivo, seguito a grande distanza da banane, cuoio e pelli, mirra, pesce; il Paese importa prevalentemente petrolio, macchinari e mezzi di trasporto, generi alimentari. Gli scambi si svolgono soprattutto con l'Arabia Saudita e lo Yemen per quanto riguarda le esportazioni, con il Kenya, Gibuti e l'Italia per le importazioni.
Ambiente
La situazione umanitaria è resa fragile anche dalle condizioni climatiche. Migliaia di persone sono state costrette a muoversi inizialmente a causa delle siccità e della fame e successivamente a causa delle alluvioni. Queste condizioni hanno portato a gravi tassi di malnutrizione e alla devastazione di colture, alla morte del bestiame e molti contadini lungo il fiume Juba hanno perso campi, sistemi di irrigazione e attrezzatura agricola. L’alternarsi della siccità alle alluvioni ha reso molto secco e poco permeabile il terreno della Somalia. Per cui queste piogge creano immediatamente dei grandi fiumi velocissimi che scorrono distruggendo tutto quello che incontrano. Inoltre ciò non permette al terreno di assorbire l’acqua e aiutare la crescita di vegetazione. Tutti questi fenomeni vengono causati dai cambiamenti climatici. La siccità in Africa Orientale ha messo in ginocchio paesi già colpiti da guerre, crisi politiche e scontri etnici; ciò ha generato crisi umanitarie profonde in paesi come il Sud Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea, il Burundi, il Kenya e, appunto, la Somalia. Di conseguenza in questi paesi vi sono
Insicurezza alimentare acuta (l’impossibilità di consumare cibo adeguato mette direttamente in pericolo le vite e i mezzi di sostentamento delle persone) e
Fame Cronica (una situazione nella quale una persona non è in grado di consumare cibo sufficiente a mantenere uno stile di vita normale e attivo per un periodo prolungato). Conflitti, disastri climatici e altri fattori spesso contribuiscono a crisi complesse che hanno ripercussioni devastanti e durature sui mezzi di sostentamento delle persone. Per secoli, le popolazioni dell’Africa Orientale hanno dovuto affrontare fenomeni di questo tipo con una cadenza di cinque o sei anni. Recentemente, però, si è assistito a un’accelerazione di questa periodicità a causa del surriscaldamento globale. L’aumento delle temperature ha portato a un progressivo inaridimento delle fonti idriche con un conseguente calo della produzione agricola e un impoverimento dei pascoli. Il caldo e le eccessive distanze per procurarsi l’acqua mettono a repentaglio vite umane e bestiame. Bradfield Lyon, professore associato al Climate Change Institute della University of Maine, ha detto che, nella regione dell’Africa Orientale, l’insicurezza alimentare è cronica per cui anche i cambiamenti climatici possono avere impatti enormi. In Africa la frequenza delle siccità si sta intensificando fin dagli anni Novanta. Secondo gli studi di Lyon, ciò è dovuto in parte agli effetti del ciclo di El Niño e La Niña, i periodici fenomeni di riscaldamento e raffreddamento delle acque del Pacifico. I cambiamenti climatici esasperano questi effetti, spingendo verso l’alto le temperature e causando aridità.
La Somalia è stata utilizzata da gruppi criminali come discarica di rifiuti speciali e scorie radioattive estremamente pericolosi e altrettanto costosi da smaltire legalmente. Svariati rifiuti pericolosi furono gettati in mare al largo delle coste somale e centinaia di essi, dopo lo tsunami del 2005 (anno dal quale si diffusero patologie riconducibili all'inquinamento), si arenarono sulle spiagge del paese, mentre altri furono probabilmente seppelliti nelle fondamenta delle costruzioni del programma umanitario italiano per la Somalia.
La giornalista italiana Ilaria Alpi e l'operatore di ripresa Miran Hrovatin furono probabilmente uccisi a Mogadiscio perché stavano redigendo un servizio su tali attività. Poche ore prima dell'omicidio effettuarono, a Bosaso, un'intervista ad uno dei capi del gruppo armato al comando della Shifco, azienda somala alla quale lo stato italiano aveva donato dei pescherecci i quali furono usati molto probabilmente anche per il trasporto dei rifiuti oltre che, secondo un'inchiesta del 2003 dell'Onu, per il traffico d'armi tra Monzer al-Kassar e delle milizie somale, armi che sarebbero state pagate con permessi per scaricare i rifiuti tossici.
Fonti e Approfondimenti
http://speciali.espresso.repubblica.it/pdf/traduzioneGreenpeace.pdf
https://coi.easo.europa.eu/administration/easo/PLib/Somalia_security_situation_IT.pdf
https://coi.easo.europa.eu/administration/easo/PLib/EASO-COIreport-Somalia_IT.pdf
Rapporto Annuale 2017 di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo
Marconi e P. Sellari - Spazio, luoghi e potere
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