Il Delta del Niger è uno dei 5 ecosistemi più inquinati del mondo a causa degli sversamenti di petrolio che colpiscono ancora oggi sia l’ambiente che le popolazioni locali, come nel caso degli Ikebiri e degli Ogoni. L’industria del petrolio, storica in un paese come la Nigeria, rappresenta la causa principale di conflitti violenti, disastri ambientali e disastri sanitari che sono ormai strutturali. Tale tematica, inoltre, interessa anche l’Italia dal momento che nel 2018 ha avuto inizio presso il Tribunale di Milano il processo civile che vede coinvolte l’ENI, con la sua controllata nigeriana, e il popolo degli Ikebiri.
La situazione ambientale del Delta del Niger e i danni alla salute subiti dalla popolazione nigeriana
Il Delta del Niger è una regione ricca di petrolio nel sud-est della Nigeria, qui le attività delle multinazionali del petrolio (come Shell, Exxon Mobil, Chevron Texaco, Total Fina Elf, Eni/Agip) hanno procurato gravi danni ambientali, sociali ed economici. Nello specifico l’inquinamento viene causato dalle perdite di greggio che fuoriescono dalle tubature vecchie degli oleodotti che si estendono per centinaia di chilometri all’interno del territorio.
Oltre agli sversamenti di petrolio che si riversano nell’acqua del fiume e lungo le sue sponde, un altro grande problema che affligge questo territorio è il fenomeno del Gas flaring, la combustione del gas in eccesso estratto insieme al petrolio. Questo gas potrebbe essere reimmesso nel sottosuolo oppure utilizzato per i fabbisogni energetici della Nigeria. Invece viene bruciato dalle multinazionali perché ciò rende l’estrazione del petrolio molto più veloce, abbassando così i costi di gestione e di produzione.
Di conseguenza le persone che abitano in queste zone respirano aria inquinata, mangiano pesce contaminato (quel poco che è rimasto nell’area) e bevono acqua mista a petrolio. Secondo il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, i livelli di tossicità sono 900 volte superiori a quelli consentiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Conseguentemente è aumentata anche la diffusione di malattie: problemi respiratori, malattie della pelle e degli occhi, disturbi gastrointestinali, leucemie e cancro. Infine occorre notare che l’attività di estrazione, inquinando il bacino idrico ed i terreni, ha distrutto le coltivazioni di sussistenza. A ciò si aggiunge l’espropriazione dei terreni della popolazione nigeriana ad opera del governo, in virtù di trattati siglati con le multinazionali negli anni ‘60 del secolo scorso e da allora rimasti invariati.
L’industria del petrolio in Nigeria
Il petrolio da solo costituisce il 95% delle esportazioni e il 65% del bilancio nazionale della Nigeria, per questo motivo il tema dei violenti conflitti per la gestione di questa risorsa è ricorrente nella storia coloniale e post coloniale del paese. L’industria del petrolio nel Delta del Niger vede coinvolti sia il governo della Nigeria che le società controllate da grandi compagnie multinazionali, come Shell, Exxon Mobil, Chevron Texaco, Total Fina Elf ed Eni/Agip, oltre ad alcune società nigeriane. A tal proposito l’esplorazione e la produzione del petrolio sono realizzate dalle “joint venture” (associazioni temporanee di imprese) di cui fanno parte la Nigerian National Petroleum Corporation (NNPC), controllata dal governo, e una o più compagnie petrolifere estere che hanno siglato contratti di associazione e partecipazione con la NNPC. In questo modo la NNPC detiene la quota di maggioranza, lasciando alle multinazionali il ruolo operativo sul campo. Di fatto le compagnie gestiscono vastissime porzioni di territorio, si pensi al fatto che la sola Shell Petroleum Development Company of Nigeria (SPDC) gestisce un’area di oltre 31.000 chilometri quadrati, costruendo buona parte delle infrastrutture petrolifere vicino alle abitazioni, alle coltivazioni e alle fonti d’acqua delle comunità.
Le comunità che vivono sul Delta del Niger però non traggono benefici dalla ricchezza del petrolio e, nonostante la presenza di 606 pozzi petroliferi, la Nigeria resta uno tra i paesi africani più poveri. Gli unici ad arricchirsi con il petrolio sono quindi le multinazionali e le élite locali, situazione che ha però suscitato da una parte proteste e mobilitazioni, dall’altra repressioni violente da parte dello Stato e dagli agenti della sicurezza privata assunti dalle compagnie. Occorre inoltre notare che il 60% della popolazione del Delta del Niger sopravvive grazie ad attività direttamente collegate all’ecosistema. In altre parole quando le coltivazioni e le zone di pesca vengono danneggiate, gli abitanti non hanno la possibilità di trovare fonti di reddito alternative rispetto a quelle perdute sprofondando ancor più nella povertà. In questo ecosistema quindi non si può vivere secondo il motto della Nigeria “Unità e fede, pace e progresso” poiché davanti alle persone sempre più spesso si presentano due alternative: la lotta o la migrazione.
Il Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni e Il movimento per l’emancipazione del Delta del Niger
Le comunità locali, appoggiate principalmente dal Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger e dal Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, si oppongono alle politiche di sfruttamento portate avanti dalle multinazionali e chiedono la bonifica dei corsi d’acqua e dei terreni oltre che una più equa distribuzione dei proventi del petrolio come risarcimento del debito ecologico.
Il Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, popolazione principale della regione del Delta del Niger, conduce dal 1990 una campagna non violenta contro il degrado ambientale. Gli Ogoni sono un popolo indigeno colpito dallo sfruttamento intenso delle risorse petrolifere concesso dalla giunta militare alla multinazionale Shell negli anni ‘80. Secondo l’accordo stipulato tra le parti, pur se formalmente le terre sono rimaste nelle mani della popolazione, la Shell poteva sfruttare le risorse presenti ed era obbligata a destinare solo l’1,5% delle royalties derivanti dai guadagni alla popolazione locale. Dopo numerose battaglie condotte dal Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni, si è raggiunto un accordo in virtù del quale la Shell deve destinare alla popolazione più del 15% delle royalties. Oltre a questo, un importante risultato conseguito dal leader del Movimento Ken Sawro-Wiwa è stato quello di essere riuscito ad attirare l’attenzione internazionale ricorrendo a concetti forti e di impatto per descrivere il problema. Uno degli esempi più lampanti è il concetto di “Guerra ecologica”.
Nel 1995 però Ken Sawro-Wiwa, e otto attivisti furono arrestati e condannati a morte dal governo con l’accusa di essere i mandanti dell’omicidio di quattro leader tradizionali e filo-governativi nonostante la Commissione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli avesse chiesto la sospensione dell’esecuzione per “non equo processo”. La Nigeria è stata in seguito condannata nel 2001 per il non equo processo e per non aver rispettato l’ordinanza della Commissione. A ciò si aggiunge la condanna per aver violato i diritti collettivi del popolo degli Ogoni e in particolare il diritto collettivo ad un ambiente sano e soddisfacente e all’autodeterminazione economica, entrambi diritti contenuti nella Carta africana dei diritti umani e dei popoli. Ad oggi il movimento: reclama il riconoscimento di una Carta dei diritti fondamentali del Popolo Ogoni; organizza eventi di sensibilizzazione e partecipa alle attività internazionali attraverso reti di comunità Ogoni residenti all’estero.
A riprova del livello di esasperazione raggiunto dalla popolazione nigeriana costretta a lottare sempre più strenuamente per proteggere le proprie risorse, nel 2005 debutta il Movimento di Emancipazione del Delta del Niger. Questo Movimento dichiara di essere impegnato in una lotta armata contro la degradazione e lo sfruttamento dell’ambiente naturale da parte di corporazioni e multinazionali straniere coinvolte nell’estrazione del petrolio. Secondo i guerriglieri lo scopo è quello di portare all’attenzione della comunità internazionale la situazione che vive il popolo nigeriano. Secondo i componenti del Movimento, il metodo più efficace per raggiungere detto scopo è quello di ricorrere ai rapimenti. Il gruppo però non ha mai accettato riscatti e le persone sequestrate sono sempre state rilasciate in buono stato psico-fisico. Il manifesto di rivendicazione del Movimento di Emancipazione del Delta del Niger chiede la fine del saccheggio operato dalle multinazionali del petrolio, una più equa ripartizione delle ricchezze petrolifere, il risarcimento del debito ecologico e la demilitarizzazione del territorio.
Il caso Ikebiri e il coinvolgimento dell’ENI
Il 9 gennaio 2018 si è aperto presso il Tribunale di Milano il processo civile che vede coinvolte da una parte la multinazionale petrolifera ENI e la sua controllata nigeriana Nigerian Agip Oil Company Limited (NAOC), e dall’altra la comunità nigeriana Ikebiri, composta da diversi villaggi situati nella regione del delta del Niger. Oggetto della causa è la richiesta di risarcimento avanzata dalla comunità indigena contro ENI per il forte danno ambientale verificatosi sul loro territorio a causa delle attività estrattive operate dalla controllata locale NOAC.
Il 5 aprile del 2010 l’oleodotto della NAOC esplose a 250 metri dal fiume situato nell’area nord del territorio della popolazione Ikebiri. L’inquinamento ha così messo a rischio la sopravvivenza della popolazione locale, la cui sussistenza dipende dall’agricoltura e dalla pesca. Vi fu una prima richiesta di risarcimento avanzata all’ENI, la quale in risposta offrì 22 mila euro. Tale controfferta venne rifiutata dal Re della comunità. Di fronte alla difficoltà di ottenere giustizia presso le corti nigeriane, la comunità ha avviato, con il sostegno della ONG internazionale Friends of the Earth, l’iter per la citazione in giudizio nel paese di provenienza della multinazionale, ovvero l’Italia.
La causa è stata rappresentata in Italia dall’avvocato Luca Saltalamacchia ed è una causa storica poiché è la prima volta in cui una comunità di un altro paese decide di citare in giudizio una impresa italiana. In aggiunta è la prima volta in cui compare il “soggetto comunitario” in una causa legale. La causa Ikebiri contro ENI segna un precedente della massima importanza per l’accertamento delle responsabilità delle imprese italiane all’estero. Il processo di Milano è infatti il primo giudizio instaurato in Italia da un ricorrente straniero contro una multinazionale italiana per una condotta commessa all’estero. Attraverso l’azione legale è stato richiesto un risarcimento pari a 2 milioni di euro, cifra calcolata tenendo conto degli standard giuridici applicati dai giudici nigeriani e degli otto anni trascorsi dall’incidente senza che sia stata avviata alcuna procedura di bonifica, oltre alla richiesta all’impresa di bonificare il territorio contaminato. A causa dello sversamento di petrolio la comunità Ikebiri del Delta del Niger ha visto compromesse la pesca, l’agricoltura di sussistenza, la coltivazione di olio di palma, l’attività di costruzione di imbarcazioni tradizionali per la navigazione del fiume nonché ha visto distrutte le piante medicinali che gli Ikebiri utilizzano per curarsi.
In merito al procedimento di accertamento dei danni dovuti agli sversamenti di petrolio, la normativa nigeriana prevede che le compagnie petrolifere vengano accompagnate da rappresentanti del governo e delle comunità che vivono in prossimità dei luoghi coinvolti. L’autorità governativa preposta è la National Oil Spill Detection and Response Agency che, insieme alle parti coinvolte, ha raccolto le informazioni ed ha redatto lla Joint Investigation Visit. A partire dal 2011 questi report sono stati resi pubblici dalle diverse multinazionali. Da quanto dichiarato dall’ENI tra il 2014 e il 2018 (l’ENI opera in Nigeria dal 1962) sono stati accidentalmente sversati 26.286 barili di petrolio, circa 4.1 milioni di litri. Negli Joint Investigation Visit vengono indicati come cause di incidente il malfunzionamento degli oleodotti, la scarsa manutenzione degli stessi e le “interferenze da parti terze”. Con questa espressione ci si riferisce alle azioni di sabotaggio o al furto di carburante da parte delle comunità locali destinato al commercio illegale. Spesso le multinazionali utilizzano l’argomentazione delle “interferenze da parti terze” per sottrarsi dalla responsabilità delle fuoriuscite di petrolio.
Dopo l’incidente, la comunità ha riportato di aver assistito all’incendio dell’area da parte del personale della compagnia che avrebbe dovuto provvedere alla bonifica. La ragione di questa azione è da ritrovare nel fatto che incendiare le aree inquinate è una pratica molto diffusa nel Delta del Niger in quanto rende irriconoscibile ad occhio nudo l’inquinamento da idrocarburi sulla superficie del terreno. Dopo questi fatti nel 2015 i delegati della NAOC sono tornati nell’area per un ulteriore sopralluogo ed hanno dichiarato che l’area non risultava più contaminata poiché riscontrarono la mancanza di tracce visibili di petrolio e la presenza di vegetazione. Risultanze del tutto opposte emersero dalla perizia della Frank Greenfields Ltd., l’azienda di consulenza ambientale incaricata dalla comunità per effettuare nuove analisi circa l’inquinamento di suolo e sottosuolo.
Il Caso degli Ikebiri, come abbiamo visto, purtroppo non è l’unico e rappresenta una situazione strutturale che vede una dipendenza tra un sud del mondo ricco di risorse e un nord del mondo in grado di sfruttarle con la complicità delle autorità locali a discapito dell’ambiente e di chi vi vive. Tale situazione di conseguenza non permette alle comunità locali e alla popolazione civile il godimento di diritti umani fondamentali e, sempre di più, le persone coinvolte sono costrette alla migrazione in quanto non vi ci sono più le condizioni per una sussistenza dignitosa.
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Fonti e approfondimenti
SPECIALE IKEBIRI: La comunità nigeriana e il processo in Italia contro ENI ( a cura di Associazione A Sud e CDCA)
NIGERIA: Petrolio, inquinamento e povertà nel Delta del Niger (a cura di Amnesty International)
THE NIGER DELTA: No democratic dividend (Report di Humans Rights Watch)
Vice-presidente Large Movements APS | Climate Change e Migration Specialist | Dottore in Relazioni Internazionali | Blogger in Geopolitica, Geoeconomia e tematiche Migratorie | Referente LM Environment
Una risposta
complimenti per le vostre iniziative e attività.
Abbiamo progettato una soluzione per smaltire i fanghi e scarti dalla perforazione petrolifera recuperando energia, tutti i minerali e tramite elettrolizzazione produciamo H2 e O2.
Secondo lo studio geologico siamo in grado di stabilire il rientro dell’investimento tramite il recupero dei minerali e la produzione di gas nobili con il processo di idrogenazione.
Cordiali saluti
Ezio Tedoldi