In Colombia, la fase di transizione che vede l’incessante guerra civile acquietarsi verso la pace conosce una brusca frenata nel corso del 2019, dopo appena tre anni dalla firma dell’accordo bilaterale. Quali sono i nuovi ostacoli che si stanno frapponendo alla pace tra il governo e il gruppo armato rivoluzionario FARC – EP?
Per rispondere alla domanda dobbiamo fare un passo indietro.
La Colombia si è affacciata al nuovo millennio in una situazione di grande instabilità. I gruppi di guerriglia che si sono ribellati allo Stato, considerato inesistente in ampie zone rurali del Paese, avevano raggiunto l’apice della loro potenza. Il principale tra questi gruppi armati erano le FARC-EP (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo). Con la presidenza di Álvaro Uribe Vélez (non a caso soprannominato “il signore della guerra”), la situazione si è rapidamente capovolta. Le sue discusse strategie di controffensiva, nel corso dei suoi due mandati, hanno portato notevoli risultati tra cui l’inizio del declino delle FARC.
Dalla sua elezione alla presidenza nel 2010, Juan Manuel Santos ha iniziato a discostarsi dalle idee politiche del suo predecessore promuovendo il dialogo con le forze rivoluzionare, fino al raggiungimento di un accordo di pace. Il trattato bilaterale affronta numerose questioni considerate le cause fondamentali di più di 50 anni di conflitto interno. Il documento elenca le varie misure che, in comune accordo, devono essere prese da entrambe le parti per stabilire la pace tra il governo il gruppo FARC. Tuttavia, pochi mesi dopo, la fine del mandato di Santos mette in discussione tutti gli sforzi effettuati fino ad allora. L’elezione di Iván Duque Márquez, stretto alleato di Uribe, e la sua manifesta intenzione di modificare l’accordo, mettono in guardia gli ex-combattenti delle FARC. Inoltre, gli avvenimenti che dal 2019 rendono la situazione in Colombia ancor più tesa, lasciano trapelare una concreta minaccia di ritorno alla guerra.
Le FARC: da lotta armata a lotta politica e viceversa
Innanzitutto, il disarmo della guerriglia, supervisionato da una commissione dell’ONU creata ad hoc, viene portato a termine dalla maggioranza dei membri delle FARC, ma non dalla totalità di essi. Alcune migliaia di combattenti, infatti, si sono rifiutati di scendere a patti con il governo. Gli smobilitati non sono mai usciti dalla giungla e non hanno mai abbandonato la lotta armata. Le loro azioni si sono ridimensionate, parallelamente al numero dei loro membri, ma la loro esistenza resiste al processo di pace.
Le più recenti informazioni a riguardo sostengono che questi gruppi abbiano cercato riparo in Venezuela, mentre c’è chi ipotizza che possano affiliarsi ad altri gruppi di guerriglia come l’Ejército de Liberación Nacional (ELN). Ciò che è certo è che, a causa delle circostanze attuali di politica colombiana, il gruppo degli smobilitati si sta rafforzando con coloro che, dopo aver abbracciato la vita civile, hanno deciso di tornare a vivere nella selva come combattenti clandestini.
Le criticità del processo di pace
Se implementato, il trattato potrebbe andare incontro alle richieste dei gruppi rivoluzionari ed evitare altre vittime. Tuttavia, l’implementazione dello stesso sta incontrando numerosi ostacoli, come già accaduto in passato nella storia del conflitto colombiano. Prima tra tutti, la partecipazione politica degli ex-membri delle FARC non è stata assicurata nelle scorse elezioni. Il nuovo partito politico ha avuto uno scarsissimo rilievo, forse per la cattiva fama che il gruppo si è guadagnato attraverso i decenni. Ma soprattutto, dal momento in cui hanno abbracciato la vita civile, molti pentiti hanno visto la morte per mano di sicari. Pratica ormai molto diffusa in Colombia, gli omicidi sistematici dell’opposizione politica hanno causato la morte a circa 200 membri delle FARC e a più di 600 tra leader sociali, membri di tribù indigene e attivisti per i diritti umani, dalla firma del trattato ad oggi.
La coltivazione delle terre e la gestione delle proprietà è stata la questione principale che ha causato lo scoppio e il prolungamento del conflitto nei decenni. La Riforma Rurale Integrale e la riconversione delle terre precedentemente impiegate per le coltivazioni della cocaina sono quindi il nocciolo centrale del trattato di pace. Ciononostante, l’esecuzione ed il finanziamento della stessa stanno andando a rilento, ed i contadini non si trovano affatto avvantaggiati dalle nuove condizioni.
I difetti dei tribunali della Verità
La questione delle vittime del conflitto non viene affrontata in maniera soddisfacente. Le spaventose cifre restano azzardate e si ipotizza che i numeri effettivi siano molto più alti. La Commissione per la Verità, non avendo carattere imperativo con le sue sanzioni, fatica a svolgere i suoi doveri. E così le vittime restano senza giustizia, i colpevoli impuniti e i cadaveri senza nome. Ma non solo, il maggior difetto del Sistema Integrale di Giustizia che si viene a costituire dalla firma dell’accordo, si identifica nel non garantire nessun tipo di protezione a coloro che vogliono testimoniare per la verità, e la triste tradizione di omicidi in Colombia fa sembrare questo sistema una trappola per chi vuole contribuire alla pace e alla giustizia.
Le circostanze fin qui elencate fanno sembrare il periodo di dialogo e di concessioni reciproche che ha caratterizzato il doppio mandato del ex presidente Santos uno strappo alla violenta regola colombiana. Invece di rafforzare le basi della pace, il successore e attuale presidente Duque le mina direttamente, indirizzando la sua propaganda politica contro l’accordo con le FARC e finanziando la stessa con il Fondo per la Pace, facendo quindi uso dei fondi internazionali per fini elettorali e personali. La minaccia di un ritorno alla guerra civile in Colombia si fa dunque sempre più concreto nell’arco del 2019.
Alcuni segni incoraggianti
Ciononostante, non può essere ignorato l’appoggio della sfera internazionale che ha ricevuto l’accordo di pace con le FARC. Oltre all’ONU e al suo Consiglio di Sicurezza, anche singoli Stati si sono fatti promotori della pace in Colombia, impegnandosi nel cessate il fuoco bilaterale e come membri della Commissione per la Verità.
Inoltre, ci sono i cittadini che dimostrano di essersi stancati della violenza, dell’assassinio sistematico dell’opposizione politica, che porta inevitabilmente alla morte della democrazia. Questa parte della popolazione con un forte e fresco senso civico è quella che scende nelle piazze della Colombia dal novembre del 2019 per farsi sentire da uno Stato indolente, manifestando il suo dissenso alla guerra possibilmente “sin violencia”: in maniera pacifica e dignitosa. Comportamento che viene messo alla prova dall’offensiva delle forze dell’ordine e dei corpi speciali dell’esercito, i quali rispondono sparando sulla folla con proiettili di gomma e gas lacrimogeni, con l’imposizione del coprifuoco e con detenzioni arbitrarie dei manifestanti.
La situazione odierna non permette alcun tipo di previsione futura sul destino del conflitto colombiano. L’emergenza sanitaria in corso sembrava aver aperto una possibilità di dialogo con l’altro maggiore gruppo armato: l’ELN. Questo ha infatti accolto l’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite ad abbassare temporaneamente le armi. Tuttavia, dal 30 aprile la guerriglia è tornata a combattere, mentre l’implementazione dell’accordo di pace con le FARC si è ulteriormente ridimensionata con l’imposizione della quarantena in tutto il Paese. In tale situazione la speranza è che, superata la crisi sanitaria, il governo si dimostrerà in grado di comprendere le necessità dei suoi cittadini per affrontare l’onda d’urto sull’economia del Paese, portando avanti di pari passo il dibattito politico verso la pace.
Fonti e approfondimenti
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