La condizione delle donne in Perù sta migliorando grazie alle riforme

In Perù, come in gran parte dei Paesi dell’America Latina, la parità di genere all’interno della società è impedita dalla presenza del fenomeno del machismo. Nonostante le donne possano godere dei diritti di base, come quello di voto e di proprietà, nella struttura stessa delle comunità è presente un fattore culturale e sociologico che ostacola l’emancipazione delle donne in tutti gli ambiti della società: il machismo, appunto. Questo fenomeno, largamente diffuso in tutto il continente (ma anche nel resto del mondo), è identificabile nel tasso di alfabetizzazione, nella difficoltà di accesso alla professione ed alla sanità e nella scarsa partecipazione politica delle donne peruviane, ed è maggiormente presente nelle zone rurali del Paese.

Nelle zone più remote, dove le differenze sociali tra i due generi raggiungono il loro picco, gli stereotipi machisti fanno breccia nella coscienza comunitaria molto più che nelle grandi città. È qui che la maggior parte della popolazione associa la donna alla sfera domestica, assegnandole, forse inconsciamente, il ruolo di madre e moglie, e togliendole così il diritto di scegliere il proprio destino. Fin dalla tenera età, le bambine peruviane perdono l’aspirazione ad uno stile di vita diverso da quello tradizionale, ed il loro rendimento scolastico ne risente. Nei centri abitati più piccoli è estremamente difficile incontrare una donna in posizioni di potere, sia nella professione che nella politica. La carenza di esempi da imitare rafforza la convinzione che la donna debba rinchiudersi nel focolare domestico, lasciando ai soli uomini la possibilità di intraprendere una carriera professionale.

Secondo le stime di Statista, nel 2021, il Perù si è classificato 17° nell’indice di divario di genere (Gender Gap Index), su 26 Paesi dell’America Latina. Procederemo ora ad analizzare la possibilità di accesso della donna peruviana ai vari ambiti della società, evidenziando quelli in cui il machismo è preponderante nell’impedire la parità di genere.

Istruzione, professione e politica: analisi del divario di genere

Nel 2020 un’inchiesta di the World Bank ha registrato in Perù una differenza di 5 punti percentuali tra l’alfabetizzazione maschile (97% circa), e quella femminile (92%) nella popolazione superiore ai 15 anni di età. Entrambi le percentuali, sebbene si mantengano in crescita, hanno conosciuto un rallentamento nell’ultimo anno di pandemia da COVID-19, in cui la popolazione si è vista costretta a rinunciare all’istruzione per far fronte alla crisi che ne deriva. Il divario di genere è maggiore nelle zone rurali ed all’interno delle comunità indigene che parlano le lingue native; tuttavia anche qui si assiste ad un miglioramento grazie alle riforme delle leggi consuetudinarie degli ultimi decenni, che stanno aprendo il mondo professionale alle nuove generazioni di donne, spronandole quindi a proseguire gli studi. Dopo la promulgazione di queste riforme anche la percentuale di partecipazione delle donne alla forza lavoro è migliorata, raggiungendo il 70.6% dello scorso anno, secondo le stime dell’International Labour Organization.

Il Perù illustra come le riforme legali – soprattutto se accompagnate da un calo della fertilità – possano effettivamente guidare un aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro e dell’inclusione finanziaria, portando benefici anche al PIL del Paese. Tuttavia, i vincoli economici e culturali continuano a limitare le opportunità professionali delle donne. Nonostante il Paese vanti uno dei divari di genere più esigui dell’America Latina per quanto riguarda l’accesso all’impiego, le donne peruviane tendono ad essere relegate allo svolgimento dei lavori meno pagati come l’infermieristica e l’insegnamento. Per di più, le responsabilità domestiche e le necessità di cura dei famigliari limitano ulteriormente le loro opzioni di lavoro. Nel 2015 le donne hanno guadagnato circa il 19% in meno degli uomini per reddito orario; divario che aumenta ulteriormente se consideriamo le donne indigene. Nelle comunità povere, rurali ed indigene infatti, prevalgono i lavori tipici dell’economia informale, formata da piccole e medie imprese a conduzione familiare (solamente il 30% di queste imprese sono formali). Questo significa che gran parte delle donne si affacciano in una posizione di estrema vulnerabilità nei confronti dei rischi del mercato. Queste donne infatti, restano escluse dalle politiche governative per promuovere e proteggere l’impiego femminile, e dall’alfabetizzazione finanziaria – necessaria per sviluppare concretamente le loro attività e/o farle rientrare nell’economia formale. I dati del governo mostrano che il 60% di tutte le lavoratrici del Paese continuano a lavorare nell’economia informale, e solo il 15% ha una copertura sanitaria, mentre solo il 4% gode di benefici pensionistici. Il Paese vanta una politica di congedo di maternità di novantotto giorni e altri programmi per sostenere le madri lavoratrici, tuttavia le donne che lavorano nel settore informale non ne beneficiano.

Per quanto riguarda la situazione politica, le donne hanno guadagnato il diritto di voto in Perù nel 1955, uno degli ultimi Paesi della regione Latino-americana. Nonostante ciò, il Paese sta avanzando concretamente sulla strada della rappresentanza politica paritaria attraverso la promulgazione di riforme che hanno reso obbligatori i criteri di parità e di alternanza dalle elezioni generali del 2021. È a partire dall’approvazione della legge n. 31030 che le liste presidenziali devono avere almeno una donna o un uomo nella loro composizione, posti in modo alternato, con l’obiettivo di raggiungere un sistema di pari rappresentanza nella composizione e nell’agenda politica entro il 2031.

Attualmente ci sono diverse strategie impiegate per monitorare l’implementazione della legge e la partecipazione femminile. Uno degli strumenti creati a questo proposito è la Línea de Investigación de la Dirección Nacional de Educación y Formación Cívica Ciudadana (DNEF), che analizza le informazioni sui processi elettorali al fine di migliorarne la diffusione tra i cittadini e i media, con l’obiettivo di influenzare il rafforzamento del sistema politico e della democrazia.

Secondo un’inchiesta realizzata lo scorso marzo dalla DNEF, le scorse elezioni parlamentari hanno visto la presenza di 3 donne su 16 posizioni nel Congresso andino. La proporzione ha conosciuto un miglioramento negli ultimi anni grazie alle quote elettorali. Tuttavia occorre evidenziare che le posizioni ricoperte da donne nelle liste elettorali si mantengono di basso livello.

Sicurezza e sanità per le donne: le note dolenti del Gender Gap in Perù

La violenza contro le donne è un fenomeno preoccupante in tutti i Paesi dell’America Latina. Un numero crescente di omicidi violenti di donne commessi da uomini negli ultimi due decenni ha costretto i Paesi latinoamericani ad adottare misure specifiche per limitare questo fenomeno, soprattutto dopo la Convenzione di Belém do Pará: tra questi l’inclusione del “femminicidio” come un crimine aggravato specifico nelle varie legislazioni nazionali. Nonostante le difficoltà nel misurare e comparare l’incidenza di questo tipo di crimini nei vari Paesi, legate alla mancanza di capacità ed alla carenza di denunce, la regione sembra avere uno dei più alti tassi di femminicidio nel mondo.

Human Rights Watch, in merito alla sicurezza delle donne, riporta che la violenza di genere è un problema significativo anche in Perù, nonostante nel Paese la situazione risulti essere migliore rispetto alla media del continente.

Il Ministero delle Donne ha riportato 166 femminicidi – definiti come l’uccisione di una donna in determinati contesti, compresa la violenza domestica – nel 2019, e 111 da gennaio a ottobre 2020. Durante il blocco Covid-19 (marzo-giugno), sono stati riportati 28 femmicidi, 32 tentati femmicidi e 226 casi di abusi sessuali contro le ragazze.

Le istituzioni non forniscono un sostegno efficace alle vittime femminili.

A livello statale, i centri di emergenza ed i rifugi per le donne sono cronicamente sottofinanziati. Secondo un recente studio qualitativo, varie istituzioni non sono riuscite ad aiutare in particolare le donne povere ad allontanarsi da chi perpetrava su di loro gli abusi – o perché le autorità sono indifferenti agli stessi (polizia, procuratori) oppure risultano inaccessibili alle vittime (agenzie governative) od ancora perché hanno risorse inadeguate per fornire assistenza (rifugi).

Gli ostacoli personali includono gli atteggiamenti dei membri della famiglia che fanno pressione su queste donne a rimanere nelle loro relazioni, e gli ideali culturali di ciò che significa essere una “buona” moglie e madre. Infatti, dei casi di femminicidio registrati negli ultimi quattro anni, meno di un quarto si è concluso con una sentenza di condanna; nella metà di questi casi la sentenza è stata inferiore ai15 anni di prigione.

Il Codice penale del 1991 considera l’aborto come un crimine contro la vita, il corpo e la salute ed è permesso in Perù solo per motivi terapeutici fino a 22 settimane. Nel 2015 si tentò di depenalizzare l’aborto per i casi di stupro e gravidanza forzata ma senza successo: il Disegno di Legge è stato respinto in Parlamento ma, quantomeno, ha sollevato un controverso dibattito pubblico sulla questione che tiene divisa la società civile peruviana.

Molte donne e ragazze affrontano barriere per accedere all’aborto legale. Nell’ottobre 2020, Camila, una ragazza indigena, ha presentato una petizione davanti al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, sostenendo che le autorità le hanno negato un aborto anche se è stata violentata e la gravidanza ha messo a rischio la sua vita.

Ci sono stati miglioramenti nei diritti alla salute riproduttiva, soprattutto per le donne che non hanno i mezzi finanziari per comprare i farmaci di tasca propria. Per esempio, nell’agosto 2016, la Prima Corte costituzionale di Lima ha ordinato con una misura cautelare che il contraccettivo orale di emergenza (la “pillola del giorno dopo”) sia reso effettivo in tutti i centri sanitari pubblici del Paese gratuitamente. Questo ha ribaltato una sentenza del 2009 del Tribunale Costituzionale che proibiva la distribuzione gratuita del farmaco, anche se permetteva la distribuzione a pagamento nel settore privato. In seguito a questa nuova sentenza, il Ministero della Salute ha iniziato a offrire gratuitamente la contraccezione d’emergenza.

In conclusione, negli ultimi anni il Perù ha fatto progressi sostanziali nel garantire alle donne l’accesso ai servizi di salute riproduttiva, così come la parità di accesso ai servizi educativi. Il Paese ha anche posto un adeguato quadro giuridico ed istituzionale per la parità di genere. Inoltre, i tassi di partecipazione femminile alla forza lavoro sono alti per gli standard regionali, in connessione con tassi di fertilità più bassi ed una fase più avanzata della transizione demografica rispetto ad altri Paesi andini. Tuttavia, la qualità dell’occupazione femminile rimane una sfida, e le donne rimangono la maggioranza dei lavoratori informali.

Inoltre, la violenza contro le donne è un problema sociale persistente che colpisce oltre il 70% delle donne con un partner. Le istituzioni sembrano mancare della adeguata capacità di fornire supporto alle donne vittime, e le norme sociali le portano il più delle volte a rimanere con i loro abusatori. Infatti le norme patriarcali riguardanti il ruolo delle donne rispetto a quello degli uomini sono persistenti e, in alcuni casi, si sono rafforzate negli ultimi anni.

Gli indicatori di salute materna e sessuale sono più poveri tra le donne indigene rurali, così come i risultati scolastici. Anche i tassi di gravidanza adolescenziale rimangono alti.

Tuttavia la transizione verso la parità di genere fa ben sperare per il futuro del Paese, dove le donne non mancano di battersi per i fondamentali diritti alla libertà ed alla dignità. Rimandiamo a tal proposito al nostro approfondimento su Maxima Acuña Chaupe, rappresentante delle lotte femministe peruviane per i diritti umani delle donne indigene.

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Màxima Acuña per la difesa dell’ambiente

Màxima Acuña Atalaya de Chaupe è una contadina peruviana diventata famosa per la sua lotta in difesa dell’ambiente contro l’imponente progetto minerario Conga di proprietà della Newmont Mining Corporation e della compagnia mineraria Buenaventura. Per aver difeso il diritto di vivere pacificamente nella propria terra e per la difesa dell’ambiente e delle lagune presenti nella regione, nell’Aprile del 2016 Màxima Acuña Atalaya de Chaupe ha ricevuto il Goldman Environmental Prize. Per la sua lotta è conosciuta anche come la “Dama de las lagunas“, la signora delle lagune. La rottura della pace della Laguna Azul Nata nel 1970 in Perù a Sorochuco (distretto della provincia di Calendìn nella regione di Cajamarca), Màxima Acuña Atalaya de Chaupe vive una vita tranquilla nella propria regione natale fino al 2011. Fu proprio in quella regione che Màxima e suo marito, Jaime Chaupe, nel 1994 acquistarono un terreno di 24,8 ettari, nella zona alto andina di Sorochuco, in un’area conosciuta come Tragadero Grande. Lì, a 3.200 metri di altezza sul livello del mare, costruirono la propria casa di fronte alla splendida Laguna Azul. La famiglia viveva del raccolto dei prodotti della loro terra e dell’allevamento di pecore e mucche per latte e formaggio. Oltre a ciò, Màxima trascorreva le giornate tessendo e cucendo vestiti. Di tanto in tanto intraprendeva lunghi viaggi verso la città per vendere i prodotti che tesseva e che produceva nella fattoria. Questa era la vita di Màxima prima che venisse sconvolta dal progetto minerario Conga. Negli ultimi due decenni, l’industria mineraria in Perù è cresciuta a una velocità vertiginosa. Con la promessa di posti di lavoro e prosperità economica infatti, il governo peruviano ha assegnato licenze minerarie in tutto il paese ma, nonostante le promesse di prosperità e sviluppo, a pagare sono stati i contadini rurali. Questi raramente vennero consultati nello sviluppo di progetti minerari e tutt’oggi continuano in gran parte a vivere nella povertà più assoluta in quanto, a seguito di detti progetti, sono stati privati delle proprie terre. Inoltre, in molte comunità, i rifiuti minerari inquinano i corsi d’acqua locali, costringendo la popolazione locale a ricorrere a luoghi meno facilmente accessibili e più distanti per l’approvvigionamento quotidiano di acqua potabile e di acqua per irrigare i campi. Come detto in premessa, quella di MàximaAcuña Atalaya de Chaupe dunque è solo una delle vite che è stata sconvolta dall’avvento dell’industria mineraria ma abbiamo scelto la sua storia perché ne è emersa una donna straordinaria, tenace difensore dei diritti di quelle popolazioni e promotrice di cambiamento. Màxima viene per la prima volta a contatto con le mire delle multinazionali minerarie perché l’area nella quale vive ancora oggi la famiglia Chaupe era di interesse della società mineraria Yanacocha. Questa nel 2010 chiese al governo peruviano di espandere il raggio d’azione del proprio progetto Minas Conga. La società mineraria era detenuta dalla società statunitense Newmont Mining Corporation e sostenuta dalla società peruviana Minas Buenaventura e dalla Banca Mondiale. Il progetto contava sull’investimento di 5 miliardi di dollari e mirava a creare una miniera di oro e di rame in un’area che si estendeva per oltre 20 km² – area da realizzare distruggendo quattro lagune che fornivano l’acqua agli abitanti di Celedìn e Cajamarca. Nell’area concessa dal governo peruviano veniva inclusa una porzione del territorio che comprendeva la Laguna Azul e la terra della famiglia Chaupe. Nello specifico, la laguna sarebbe stata trasformata in una fossa di stoccaggio dei rifiuti, minacciando così di compromettere le sorgenti di cinque bacini idrografici e l’ecosistema di Páramo di Cajamarca. La lotta di Màxima Acuña Atalaya de Chaupe Nel 2011 Màxima si rifiutò di vendere la sua proprietà alla Yanacocha e ciò diede inizio ad una campagna di intimidazione, criminalizzazione e violenza nei suoi confronti. L’8 agosto 2011 le forze di sicurezza privata della Yanacocha e la polizia fecero irruzione nella casa della famiglia Chaupe. Distrussero l’abitazione e picchiarono tutta la famiglia, lasciando incoscienti Màxima e la figlia. Quando la famiglia decise di denunciare l’incidente alla stazione di polizia, i poliziotti si rifiutarono di mettere a verbale i fatti. Poco dopo vi fu una seconda aggressione e la famiglia cercò di riferire l’incidente all’ufficio del procuratore di Celedìn attraverso foto e video. Anche questo tentativo si rivelò un insuccesso e le prove presentate dalle vittime non vennero mai raccolte dagli inquirenti. Da quel momento la vita della famiglia è stata costellata da continue intimidazioni che hanno reso molto difficile portare avanti l’allevamento del bestiame, costringendo la famiglia ad indebitarsi sempre di più. Nel 2012 il governo Peruviano si è trovato a dover fronteggiare molteplici proteste scoppiate proprio a causa dei progetti minerari. Tre grandi progetti (il Tià Maria, il Quellaveco e il Conga) infatti, sono rimasti paralizzati a causa della forte opposizione e delle proteste della popolazione locale. In particolare, il progetto Conga è finito nel mirino dei manifestanti per i possibili danni ai promontori del bacino idrografico e perché, in passato, la società Yanacocha non aveva rispettato gli impegni ambientali. Le proteste crebbero di intensità in diverse parti della regione di Cajamarca ed il 5 luglio vennero uccisi 5 manifestanti. Il 21 ottobre Màxima Acuña Atalaya de Chaupe accolse i manifestanti nella sua proprietà ma la società mineraria aveva già presentato azioni legali contro di lei e la sua famiglia con l’accusa di “occupazione illegale ed usurpazione”. La settimana dopo, il 29 ottobre, il giudice di Celedìn dichiarò colpevole la famiglia Chaupe condannando Màxima a 3 anni di reclusione ed al pagamento di 200 soles (nel 2021 equivalgono a circa 45€) come compensazione dei danni subiti dalla società mineraria. La vittoria dei movimenti contadini Dopo gli avvenimenti del 2012, Màxima Acuña Atalaya de Chaupe si è avvalsa dell’assistenza legale di GRUFIDES – ONG ambientalista di Cajamarca che aveva già rappresentato membri della comunità locale nei processi contro le società minerarie. Con l’aiuto dell’avvocatessa Mirtha Vásquez, la famiglia Chaupe è ricorsa in appello contro la sentenza di primo grado – che, come si è visto, condannava Màxima alla reclusione ed al pagamento di un’ammenda – adducendo nuova

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