Con 4,6 milioni di persone che hanno lasciato il Venezuela in seguito alla crisi politica ed economica degli ultimi anni, in America Latina è in corso una crisi migratoria senza precedenti. In un’epoca di ostilità, chiusura e innalzamento di muri, la vicina Colombia ha assorbito circa 1,8 milioni di migranti venezuelani, praticando finora una politica di solidarietà, ovviamente non senza contraddizioni.
La crisi venezuelana
Sono finiti gli anni del boom economico venezuelano, quando il paese caraibico rappresentava, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), una delle destinazioni preferite dai migranti interni latinoamericani. La situazione si è rovesciata, ora dalla Repubblica Bolivariana del Venezuela si parte. Lo hanno fatto circa 4,6 milioni di persone in pochi anni e l’UNHCR stima che arriveranno a 6,5 milioni entro fine 2020, quasi il 20% della popolazione venezuelana.
Le ragioni dell’esodo, secondo nel mondo solo a quello siriano, sembrano evidenti se si pensa che l’economia venezuelana si è ridotta di due terzi dal 2013 al 2019 e che il Paese è entrato da qualche anno in un periodo di profonda instabilità politica, oltre che economica. Significativo il fatto che il presidente venezuelano, Nicolás Maduro, prosecutore del c.d. socialismo bolivariano di Hugo Chávez, non sia riconosciuto dalla maggior parte della comunità internazionale e che lo scorso anno il principale leader dell’opposizione Juan Guaidó si sia autoproclamato presidente, in un tentativo fallito di prendere il potere.
Le cause dell’attuale situazione venezuelana sono complesse e molteplici: l’iperinflazione, le sanzioni dettate dagli Stati Uniti, il debito accumulato negli anni, la mancanza di democrazia nelle politiche governative, un sistema economico basato da lungo tempo quasi esclusivamente sulla produzione di petrolio, fortuna e condanna del Paese.
Le radici geopolitiche di una crisi non sono mai semplici da rintracciare in America Latina, forse il maggior terreno di scontro ideologico tra capitalismo e socialismo, storicamente dilaniata da accaparramenti, corruzione ed ingerenze esterne.
Ciò che è certo sono i fatti, la crisi politico-economica ha costretto il Venezuela a condizioni di estrema povertà e di mancanza di beni di prima necessità, come cibo e medicinali e la popolazione sta abbandonando in massa il Paese.
La migrazione in Colombia
Quasi l’80% dei migranti venezuelani si trovano in America Latina e il Paese che ne ha assorbiti di più è la vicina Colombia, al confine ovest del paese caraibico, seguita da Perù, Cile, Ecuador, Brasile e Argentina. Secondo i dati ufficiali di Migración Colombia, a dicembre 2019 erano più di 1.771.000 i venezuelani presenti nel Paese, di cui circa 220.000 minori.
A differenza di altri paesi sudamericani, la Colombia non era abituata a ricevere migranti, al contrario erano i colombiani ad emigrare in cerca di una vita migliore, lontana dalla guerra civile che ha dilaniato il Paese per decenni.
Proprio il Venezuela più di tutti ha accolto i rifugiati colombiani, attirati anche dalla sua passata prosperità economica. Nonostante un rapporto dell’UNHCR del 2019 mostri come, negli ultimi anni, i rientri in patria dei colombiani espatriati in Venezuela siano aumentati sostanzialmente, la memoria storica colombiana non ha dimenticato l’accoglienza ricevuta.
L’idea di ricambiare il favore, legata forse alla presa di coscienza dell’inevitabilità del fenomeno migratorio venezuelano, ha portato la Colombia ad adottare politiche migratorie abbastanza aperte.
Nel 2016, ad esempio, sono stati istituiti i Permessi speciali di permanenza (Pep), che permettono ai migranti venezuelani di godere di diritti fondamentali, quali l’accesso a lavoro, sanità e istruzione. Tali permessi sono risultati ancora più utili in ragione dell’impossibilità per i venezuelani di rinnovare i propri documenti, dato il congelamento dei rapporti diplomatici tra Colombia e Venezuela e la conseguente chiusura delle ambasciate.
Risale all’estate 2019 un altro provvedimento del governo colombiano elogiato dalle organizzazioni umanitarie, ovvero la concessione della cittadinanza a 24mila bambini nati in Colombia da donne venezuelane, con effetto ex-post anche sulle nascite che avverranno nei prossimi due anni.
Le cifre che la Colombia sta investendo per gestire il recente fenomeno migratorio sono alte, e difficili da sostenere per un paese che deve affrontare le conseguenze di un conflitto duro a morire.
Ciononostante a livello regionale sono stati instituiti dei meccanismi per coordinare e facilitare l’inclusione legale, sociale ed economica dei cittadini venezuelani. I governi dei paesi latinoamericani maggiormente interessati dall’arrivo dei venezuelani, hanno infatti congiuntamente lanciato il Piano di risposta regionale umanitaria per rifugiati e migranti 2020 (RMRP), uno strumento che intende coordinare e raccogliere i fondi per gestire il flusso migratorio.
Un delicato equilibrio
La popolazione colombiana ha inizialmente reagito positivamente all’accoglienza dei migranti venezuelani, ma sembra che negli ultimi mesi siano aumentati i casi di xenofobia e stigmatizzazione.
In una società come quella colombiana, fortemente provata dal conflitto armato e da una crescente stratificazione sociale, i migranti venezuelani si sono andati ad aggiungere alla fascia di popolazione più marginalizzata, quella che popola le periferie delle grandi città.
In particolare, secondo le autorità colombiane, il 90% dei venezuelani in Colombia lavora nell’economia informale. D’altronde, secondo il Dipartimento amministrativo nazionale di statistica, il 47,2% degli stessi colombiani lavora nell’informalità e nella precarietà.
La nuova situazione emergenziale creatasi con la pandemia di COVID-19 ha ulteriormente complicato la situazione dei migranti venezuelani. Il presidente colombiano Ivàn Duque il 13 marzo 2020 ha temporaneamente chiuso le frontiere per arginare il diffondersi del nuovo coronavirus, ma gli oltre duemila chilometri di confine che separano i due paesi, in parte zone isolate ed interessate dal conflitto armato, sono difficili da controllare.
Il rischio è maggiore per i migranti non legalmente registrati in Colombia, circa la metà dei quasi due milioni presenti sul territorio, secondo una stima di Migración Colombia. Questi ultimi non hanno quindi accesso alle prestazioni sanitarie, oltre ad essere costantemente a rischio di violenza, sfruttamento, lavoro minorile, reclutamento da parte dei gruppi armati e tratta.
In ultimo, una conseguenza del COVID-19, riguarda gruppi di migranti venezuelani che stanno cercando di tornare in patria nelle ultime settimane. Le misure di quarantena adottate dal governo colombiano, per il momento previste fino al 27 aprile, hanno bloccato l’economia informale e alcuni migranti, ormai senza lavoro, preferiscono tornare a casa, seppur nelle disastrose condizioni economiche in cui verte il Paese.
Fonti e approfondimenti:
https://www.internazionale.it/notizie/dylan-baddour/2019/08/22/colombia-migranti
https://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina-52029659
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/venezuela-perche-maduro-e-ancora-forte-25037
https://www.lifegate.it/persone/news/colombia-cittadinanza-bambini-rifugiati-venezuelani
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