Petare, Venezuela: lo slum più violento del mondo

Dulce Nombre de Jesús de Petare è il nome completo del sobborgo ad est di Caracas in Venezuela, conosciuto come uno degli slum più popolati al mondo. Precisamente, con i suoi 369 000 abitanti, Petare occupa il settimo posto nella classifica mondiale, secondo solo a Neza-Chalco-Itza, (Messico) in tutta l’America Latina.

Petare, come molti altri slum del mondo, è composto da un conglomerato abitativo informale e precario, situato ai margini di una metropoli (in questo caso Caracas, capitale del Venezuela, con i suoi 6 milioni di abitanti), che molto raramente beneficia delle politiche pubbliche locali e nazionali. Qui, le gang criminali hanno dunque occupato il vuoto politico prendendo in gestione le economie locali per affari illeciti.

La città si presenta come un ammasso di edifici in mattoni rossi esposti o coperti con intonaco colorato, retti da strutture in cemento per pareggiare il dislivello causato dalle pendici delle montagne che circondano la capitale venezuelana, sulle quali si erge lo slum. I tetti, in lamiera ed altri materiali di fortuna, lasciano intendere una certa precarietà e povertà del settore urbano.

Le origini dello slum

L’area dove si trova Petare venne popolata per la prima volta nel XVI secolo, a seguito di una concessione di terra ad uno dei primi conquistatori. I diversi latifondisti spagnoli che abitavano la zona fondarono la cittadina nel 1621 con il nome di San Jose de Guanarito. Il nome Dulce Nombre de Jesús de Petare deriva dall’omonima chiesa del XVIII secolo che costituiva un nucleo dell’insediamento coloniale, e dove si insediò un frate francescano per assistere i lavoratori indiani. L’area era infatti molto fertile e fu dedita alla produzione di caffè, cacao e canna da zucchero.

La cittadina è stata rapidamente assorbita dall’area metropolitana di Caracas, che ha conosciuto negli anni una grande crescita di popolazione che dalle campagne si riversava nella città per migliorare le proprie condizioni economiche. Lo slum ha tuttavia conservato il suo nucleo commerciale. È inoltre sede di due università: Universidad Santa María e Universidad Metropolitana.

La più recente storia politica del Venezuela ha visto milioni di cittadini privi di diritti civili riconoscere la rivoluzione bolivariana di Chávez come la possibilità di inclusione sociale, economica e razziale in una società profondamente sbilanciata. Ma ora, con le loro vite sconvolte dal disastro economico e sociale conseguente l’applicazione delle politiche di Maduro, molti di questi cittadini si stanno rivoltando contro il presidente. Il declino economico del Venezuela ha infatti causato l’aumento esponenziale degli abitanti dei settori urbani informali (slum) come Petare, dovuto al crollo sotto la soglia della povertà di una grande fetta della popolazione.

Lo slum più violento

Petare è da considerarsi una città all’interno della periferia di Caracas in Venezuela, perché risulta divisa a sua volta in centinaia di quartieri. Le strette strade senza nome non lasciano spazio ai visitatori, rendendola una roccaforte inespugnabile. Poiché la città si trova a quasi mille metri d’altezza, una delle poche vie di accesso è il Metrocable: una funivia che parte dal centro di Caracas, ubicato nella parte più bassa della vallata, e conduce i pedoni nei punti più alti della montagna. Questa tipologia di trasporto è integrata nel sistema di trasporto pubblico della municipalità di Caracas, ed è molto diffusa nelle grandi metropoli di montagna dell’America Latina.

La sopravvivenza è la sfida quotidiana degli abitanti dello slum: essi vivono in condizioni di estrema povertà in un Paese che non è più in grado di fornire in maniera affidabile acqua o elettricità. Alcuni settori dello slum di Petare restano senza acqua per periodi lunghi giorni interi, e i blackout imperversano a livello nazionale, lasciando l’intero Venezuela senza corrente elettrica.

La sua particolare conformazione urbana permette al crimine organizzato di proliferare. Lo slum di Petare è una delle aree più povere del Venezuela, e il tasso di rapine a mano armata, di omicidi e di rapimenti raggiunge qui una cifra altissima facendo di questa zona la più corrotta di Caracas.

Secondo il report di Business Insider, la capitale venezuelana si è guadagnata nel 2015 il titolo di città più violenta al mondo. Sebbene questo numero sia stato dibattuto, il tasso di omicidi ammonta a 119,87 ogni 100.000 abitanti. Lo scioccante livello di violenza che il Paese ha subito è direttamente correlato alla sua disfunzione sociale, economica e politica, concausata dalla crisi politico-economica in cui versa il Venezuela dal 2013.

Petare è la “casa” delle gang criminali organizzate e in costante lotta tra di loro, è dove il regno della criminalità si accentua senza restrizioni. I veri settori che compongono lo slum sono oggetto di disputa territoriale per il controllo delle attività illecite.

La mega banda di Wilexis

Wilexis Alexander Acevedo Monasterios, alias “il Wilexis”, dal 2014 circa ha cominciato ad essere frequentemente citato tra gli abitanti di Petare per le sue attività illecite, scalando le liste dei più ricercati dalla polizia municipale e statale, dalla polizia nazionale e dal Cuerpo de Investigaciones Científicas Penales y Criminalísticas (CICPC).

Il giovane latitante si è rapidamente distinto dalle altre gang malavitose di Petare per le sue azioni per il controllo sul territorio. Istituendo, ufficiosamente, vari settori dello slum come “Zonas de Paz” infatti, si è affermato nel mondo criminale, diventando il leader indiscusso della gang più grande dello slum. Come dichiarato da un informatore anonimo, le Zone di Pace hanno consacrato il potere di Wilexis, il quale ha iniziato a dotare sempre più persone di armi per poi affiliarle alla sua gang e si atteggia “come se fosse il re di tutti”. Queste zone si caratterizzano per l’assenza di controlli: l’accesso all’interno dello slum infatti è informalmente vietato ai corpi di polizia e, nelle rare occasioni in cui questi provino ad entrare all’interno della zona di controllo di Wilexis, si trovano puntualmente costretti ad ingaggiare scontri violenti con i membri della sua gang.

Più di 200 criminali fanno parte della gang “Wilexis”. I suoi membri vanno dai 13 ai 28 anni ed i crimini di cui si macchiano più frequentemente sono: assassinii su commissione, traffico di droga ed estorsione. La popolazione dello slum accetta la presenza di questa gang e tollera i crimini commessi ogni giorno dalla stessa perché, in cambio della loro non interferenza nei propri affari, offre protezione ai cittadini facendo le veci degli organi di polizia venezuelani e difendendoli ogni qualvolta si verifica uno scontro tra gang rivali o con le forze dell’ordine.

L’emergenza sanitaria negli slum

Neanche la minaccia della diffusione del nuovo coronavirus è servita a placare queste dispute; una delle più recenti notizie di lotta tra bande (in questo caso tra la banda del Wilexis e la banda dei 2 de La Bombilla) è stata registrata il 20 marzo per il controllo del settore José Félix Ribas de Petare.

Robert Muggah, esperto in sicurezza e sviluppo, ha dichiarato che: “In tutto il mondo, gli insediamenti informali rischiano di diventare super-untori di malattie infettive. Oltre 1,2 miliardi di persone vive in uno slum e questa cifra salirà a oltre 2 miliardi entro il 2030”, ricorda. “Di norma, l’ambiente urbano è altamente favorevole alla diffusione di virus. Questi rischi sono aggravati in aree sovraffollate e densamente popolate, in particolare in quelle prive di alloggi sicuri con adeguata ventilazione, infrastrutture sanitarie e servizi di base come acqua e servizi igienico-sanitari” elenca Muggah. “Inoltre, le misure di prevenzione di base come l’isolamento e il lavaggio regolare delle mani sono impossibili nella maggior parte degli insediamenti informali. Questo non è solo a causa della mancanza di case con più stanze, acqua corrente o servizi igienici privati, ma perché le persone non hanno risparmi e non possono letteralmente permettersi di stare in casa e smettere di lavorare”.

In questo scenario, un’azione volta a creare un impatto reale ed effettivo nel lungo termine è da ritenersi fondamentale. A Petare, come in altri quartieri sottosviluppati dell’America Latina, le gang criminali hanno esteso il loro controllo sul territorio perché si sono dimostrate le uniche in grado di fronteggiare la crisi sanitaria e di far attuare le misure di sicurezza e di confinamento. In una situazione socio-economica disastrosa come quella del Venezuela, è fondamentale che lo Stato intervenga in salvaguardia dei suoi cittadini. Quando non lo fa, come a Caracas e nelle altre grandi città, la malavita reagisce, facendo le veci di un governo indolente.

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Donne venezuelane alla ricerca della salute che non c’è

Il collasso dell’economia in Venezuela ha determinato una serie di congiunture interne al paese causando quello che oggi è il più grande fenomeno migratorio della storia latinoamericana. Come in ogni crisi, i gruppi sociali più vulnerabili sono quelli a risentirne maggiormente. Tra questi ci sono le donne, esposte a una cultura patriarcale fatta di violenza e minori possibilità occupazionali. Il Covid-19 ha complicato inoltre l’accesso alle cure alle donne venezuelane le quali, già prima della pandemia, presentavano specifiche necessità in termini di salute sessuale e riproduttiva.   Genere e salute nelle politiche sociali venezuelane Dal 2003 sono state promosse in Venezuela una serie di politiche sociali conosciute come Misiones Bolivarianas. Le Misiones hanno obiettivi differenti: dalla lotta contro la povertà ai programmi di alfabetizzazione, dalla salute all’acceso al credito, dall’implementazione di attività culturali e politiche a quelle in sostegno della popolazione indigena e dell’ambiente. Misión Barrio Adentro e Misión Madres de Barrio sono però le due iniziative che hanno definito negli anni il ruolo della donna e del sistema sanitario venezuelano. La prima ha determinato l’edificazione di ambulatori nelle zone rurali e urbane più depresse del paese, la seconda, invece, ha come genesi una giustificazione costituzionale.   L’art. 88 della Costituzione venezuelana, infatti, sancisce il riconoscimento sociale di una leadership femminile nella gestione e nella cura del nucleo famigliare. Lo sfondo ideologico di Madres del Barrio che mira all’indipendenza femminile è stato poi tradotto in trasferimenti monetari a sostegno delle donne disoccupate. Tuttavia, se da un lato il riconoscimento del lavoro domestico può essere considerato una conquista per i diritti delle donne, dall’altro si ammette l’esistenza di una differenza fra sessi nei ruoli sociali che tralascia, così, la multidimensionalità dell’essere donna. Alcuni dati sulla salute femminile in Venezuela Più che le politiche sociali, sono i dati che aiutano a comprendere la reale situazione delle donne venezuelane alla luce e della crisi venezuelana e dell’emergenza Covid-19. Pertanto, è possibile ricostruire un quadro generale ed obiettivo sulla salute delle donne venezuelane attraverso i report della società civile e delle organizzazioni internazionali. Da anni, infatti, non vengono pubblicate a riguardo cifre ufficiali governative. Prima di tutto, è opportuno chiarire in che stato si trova oggi il sistema sanitario venezuelano. La Encuesta Nacional de Médicos y Estudiantes de Medicina del 2017 ha rivelato che il 40% degli immatricolati nelle università di medicina venezuelane ha lasciato il paese determinando un’importante diminuzione di tale capitale umano. A questo si somma: un 70% delle strutture ospedaliere con disponibilità intermittente di acqua, un 63% di ospedali senza energia elettrica e un 50% dei laboratori diagnostici non è operativo. Rispetto alla prospettiva di genere, invece, la realtà sopra descritta si complica ulteriormente in tema di salute sessuale e riproduttiva. L’UNFPA segnala che il Venezuela è oggi il terzo paese con il maggior tasso di fecondità in età adolescenziale in America Latina e Caraibi solo dopo Ecuador e Honduras. Human Rights Watch  ha riportato che la mortalità infantile in Venezuela è aumentata del 30%, quella materna del 60%. Equivalencia en Acción, una coalizione della società civile venezuelana, ha denunciato che negli ospedali e nelle farmacie nazionali si sfiora il 100% di irreperibilità di metodi contraccettivi in un paese dove l’aborto è ancora illegale. Pertanto, la possibilità di pianificazione familiare risulta essere piuttosto difficile in Venezuela. Ciò potrebbe comportare un aumento di aborti clandestini, rischiosi per la vita della donna. Inoltre, l’incremento delle gravidanze in età adolescenziale pregiudica il proseguimento degli studi e l’inserimento regolare delle donne nel mercato del lavoro. Le conseguenze sulle donne venezuelane Data la crisi umanitaria del Paese, chi è nelle condizioni economiche e fisiche adeguate, sceglie principalmente di abbandonare il Venezuela. Tuttavia, una volta arrivati nel nuovo paese, l’accesso alle cure non è un processo immediato. Per esempio, in Colombia, primo paese di destino con quasi 2 milioni di venezuelani nel territorio, la situazione è alquanto complessa. Per ottenere l’accesso al sistema sanitario è necessario che il migrante abbia uno status migratorio regolare. Nonostante hay que quitarse el sombrero per come la Colombia abbia gestito gli ingressi dei venezuelani, il sistema di acceso alle cure è ancora troppo rigido per migliaia di migranti non regolarizzati. Ad esempio, la regolarizzazione mediante il PEP, che permetterebbe l’affiliazione a un’assicurazione medica colombiana, non è possibile per il venezuelano privo di un documento d’identità o entrato i Colombia per i punti non autorizzati. In particolare, riguardo alla popolazione venezuelana negli ospedali, 7 persone su 10 sono donne. Tale dinamica si presenta in tutte le regioni colombiane i cui ospedali registrano tra le richieste principali: assistenza alla gravidanza, al parto e cure per malattie sessualmente trasmissibili. Spesso si tratta di gravidanze a rischio per mancate assistenza prenatale dovuta al collasso del sistema sanitario in Venezuela. Infine, l’emergenza Covid-19. La pandemia ha complicato ulteriormente le possibilità di accesso a qualche forma di assistenza sanitaria. A confermare ciò, è stata la Conferenza internazionale di solidarietà sulla crisi dei rifugiati e dei migranti venezuelaniorganizzata dalla Spagna e l’Unione Europea svoltasi lo scorso 26 maggio. L’Unione ha donato 9 milioni per contenere il propagarsi del virus e 918 milioni in per i gruppi vulnerabili colpiti dalla pandemia. Tra questi rientrano migliaia di donne venezuelane che dal 2014 continuano a migrare alla ricerca del loro diritto alla salute. Fonti e approfondimenti https://www.encuestanacionaldehospitales.com/2019 https://avesawordpress.files.wordpress.com/2019/05/mujeres_limite_a4web.pdf https://colombia.unfpa.org/es/news/unfpa-presenta-el-poder-de-decidir-derechos-reproductivos-y-transici%C3%B3n-demogr%C3%A1fica https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/79328/donors-conference-solidarity-venezuelan-refugees-and-migrants-countries-region-amid-covid-19_en

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