Il Brasile è il quinto Paese al mondo per estensione territoriale e fa parte dei BRICS, quei Paesi che stanno rapidamente aumentando il loro grado di rilevanza economica a livello internazionale. Dei 210 milioni di abitanti, molti fanno parte di tribù native o sono afroamericani, e più della metà sono donne.
Il boom economico degli ultimi decenni deriva dalla dittatura militare che ha governato il Paese per ben vent’anni, fino al 1989. Il regime ha significato l’apertura del mercato finanziario del Brasile verso l’economia internazionale, favorendo la logica del profitto a discapito del rispetto per i diritti umani di minoranze e popolazioni native.
La costituzione del 1988 ha restituito i diritti civili alle popolazioni brasiliane, e ha disciplinato le funzioni legislative, esecutive e giudiziarie della nuova politica. Da allora, le elezioni – democraticamente svolte – hanno portato ad un susseguirsi di presidenti di centro-sinistra che tuttavia non hanno saputo fronteggiare l’inflazione e la crisi economica che hanno colpito il paese quando crollò la dittatura.
A seguito dello scandalo per corruzione che investì il partito opponente, e che portò all’impeachment della prima ed unica presidentessa donna Dilma Rousseff, Jair Bolsonaro fu eletto presidente del Brasile nel 2018. Questi è il primo presidente di estrema destra che sale al potere dalla caduta del regime di dittatura militare.
Bolsonaro si presentò alla popolazione come colui che risolleverà l’economia stagnante degli ultimi anni a discapito, nuovamente, dei diritti civili dei cittadini. La sua retorica fortemente misogina rischia di annullare completamente i progressi in materia di diritti delle donne brasiliane – già di per sé piccoli – raggiunti dopo decenni di lotte femministe. Vediamo nel dettaglio come.
Il femminismo brasiliano: poche conquiste non mettono a tacere le rivendicazioni
Nonostante le enormi difficoltà e resistenze a loro opposte dalla società civile, i movimenti femministi brasiliani hanno vinto diverse battaglie importanti. Oltre alla grande capacità di mobilitazione delle masse, le attiviste per i diritti delle donne sono state in grado di unire le lotte contro il razzismo e, più recentemente, l’omofobia, per acquisire potenza e legittimità, e creando così un femminismo intersezionale in grado di ottenere risposte.
I maggiori risultati ottenuti dai movimenti per i diritti delle donne in Brasile si riassumono nelle seguenti date:
- 1919 – Bertha Lutz fonda la Federazione Brasiliana per il progresso delle donne;
- 1939 – le donne ottengono il diritto di voto;
- Anni ’70 – molte donne partecipano attivamente alla lotta contro la dittatura militare;
- 1984 – nasce il Consiglio nazionale per la condizione della donna, che promuove una campagna di successo per includere i diritti delle donne nella Carta costituzionale;
- 2006 – emanazione della Legge Maria da Penha contro la violenza domestica.
Nel 2015 scoppiano nuovi moti di protesta in risposta al disegno di legge 5.069/2013. La proposta rappresentava una minaccia per i diritti conquistati dalle donne poiché, se approvata definitivamente, avrebbe limitato loro l’accesso all’aborto, alla pillola del giorno dopo, alla giustizia in caso di stupro. Le mobilitazioni che seguirono furono capitanate dalle donne, e la proposta finì per essere accantonata.
Oggi, la disuguaglianza di genere in Brasile si concretizza in una bassa partecipazione politica delle donne ai processi decisionali, in un vasto divario salariale ed in una scarsa garanzia dei diritti quali l’aborto, l’affidamento dei figli in caso di divorzio, l’emancipazione economica. Inoltre, la violenza contro le donne è un fenomeno molto diffuso in Brasile, basti pensare agli 1.2 milioni di casi di violenza domestica registrati nel 2017.
Le parole di Marielle Franco, tratte da un discorso che avrebbe dovuto pronunciare pochi giorni dopo il suo misterioso assassinio nel 2018, mettono in luce la condizione della donna brasiliana:
“Parlare di uguaglianza tra donne e uomini, ragazze e ragazzi, è parlare della vita di chi è ancora incapace di difendersi dalla violenza. E questo è molto di più dei 50.377 casi registrati nel 2016, qui, a Rio. Diversamente da quanto si parla o, purtroppo, da quanto siamo abituati a vedere nelle aule legislative, non siamo la minoranza. Siamo la maggioranza della popolazione, anche se siamo sottorappresentati in politica. Anche se possiamo guadagnare stipendi più bassi, essere relegate a posizioni inferiori, lavorare tre giorni lavorativi, essere giudicate per i nostri vestiti, essere soggette a violenza sessuale, fisica, psicologica, uccise quotidianamente dai nostri partner, non saremo messe a tacere: le nostre vite contano!”
Marielle Franco: simbolo della lotta per l’emancipazione
Nata e cresciuta in una favela di Rio de Janeiro, Marielle Franco si afferma sulla scena politica del Brasile grazie al suo coraggio. Come attivista ha portato avanti le battaglie per la riqualificazione degli slum, per i diritti delle donne, degli afroamericani, e delle persone LGBTQI+. Ha denunciato la brutalità della polizia, le violenze razziste, misogine ed omofobe, le violenze tutte. Ha condannato le esecuzioni extragiudiziali e si è fatta portavoce degli svantaggiati.
Il 14 marzo 2018 viene assassinata a sangue freddo insieme al suo autista, da 3 pallottole che le trapassano il cranio e il collo, mentre stava rientrando da un tavolo di consultazioni. Pochi giorni prima, attraverso un post su Twitter, aveva ribadito la sua condanna alla brutalità della polizia, con una frase emblematica: “quanti ancora devono morire per porre fine a questa guerra?”
La morte di Marielle Franco ha causato un moto di proteste e manifestazioni a favore delle minoranze, dei più vulnerabili della società brasiliana. Le investigazioni portate avanti nei mesi successivi hanno portato all’identificazione e l’arresto di due sospettati. Tuttavia, le indagini proseguono nel silenzio dell’attuale presidente Bolsonaro, che non ha rilasciato dichiarazioni in merito all’accaduto.
L’omicidio di Marielle si aggiunge alla lista di tutti quegli attivisti per i diritti umani che vengono assassinati in molti Paesi dell’America Latina a causa del loro impegno socio-politico nel denunciare soprusi ed ingiustizie che le cosiddette “minoranze” sono costrette ad affrontare su base quotidiana. La consigliera di Rio si è guadagnata il rispetto di molte di queste “minoranze”, e la sua morte non è caduta nel silenzio, nonostante le dinamiche esatte del suo omicidio restino nascoste sotto uno spesso velo di omertà.
Jair Bolsonaro: l’estrema destra torna al potere dopo quasi 30 anni
Nel 2014 viene avviata l’”Operazione Carwash”: un’estesa indagine criminale che porta alla luce numerosi casi di corruzione all’interno della politica brasiliana. Le investigazioni svelano un giro di molti milioni di dollari tra esponenti della sinistra (soprattutto del Partido dos Trabalhadores) ed i funzionari di Petróleo Brasileiro S.A. (Petrobras), la multinazionale brasiliana di proprietà statale nell’industria petrolifera. Tra i nomi degli incriminati spiccano quello dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva e la presidentessa in carica Dilma Rousseff, poi condannata per impeachment.
La vicenda scatena un diffuso malcontento pubblico ed un’ondata di indignazione populista, che sfocia in proteste grandemente partecipate nelle piazze delle città. La conseguenza ultima di queste proteste fu l’allontanamento dell’elettorato brasiliano dalla classe politica di sinistra, accusata di corruzione. Dopo circa trent’anni di vittorie politiche, la sinistra brasiliana viene quindi soppiantata dalla politica conservatrice dell’estrema destra.
Jair Bolsonaro fa il suo debutto nel quadro politico brasiliano candidandosi contro i candidati di centro-sinistra Ciro Gomes e Fernando Haddad nelle scorse elezioni del 2018. Egli si è sempre definito un nazionalista di destra ed indipendente. Questo, agli occhi dell’elettore brasiliano ancora scosso dallo scandalo del 2014, viene visto come punto a suo favore in quanto lo fa apparire come estraneo alla corruzione radicata nella politica. In quanto ex comandante dell’esercito, predilige una politica incentrata sulla sicurezza. Bolsonaro non nasconde la sua ammirazione nei confronti della dittatura militare che ha governato il Paese in passato, e promuove la liberalizzazione delle armi e la repressione della criminalità urbana e del traffico di droga.
Le sue controverse affermazioni razziste, maschiliste e contrarie alla dignità umana di determinate categorie di persone, hanno portato spesso Bolsonaro ad avere problemi con la giustizia – tutte risolte in un nulla di fatto – e ad essere fortemente criticato dalle organizzazioni internazionali e dalla società civile.
La pericolosa retorica di Bolsonaro
Tra i grandi temi da sempre osteggiati dal presidente eletto, sin dal periodo della corsa alla presidenza, vi sono:
- Diritti umani: definiti da Bolsonaro “un disservizio per il Brasile”. Per questo motivo, durante la campagna elettorale, il futuro presidente ha promesso di tagliare i fondi alle organizzazioni che se ne occupano;
- Qualsiasi tipo di soggetto vulnerabile: questo ha portato all’inserimento nel suo programma elettorale di obiettivi quali la revoca delle riforme recentemente adottate a favore dei brasiliani neri e della legge contro il femminicidio.
Questi sono solo alcuni degli esempi che hanno valso a Bolsonaro l’appellativo di razzista, misogino ed omofobo.
Emblematico e di grande impatto mediatico in tal senso, fu l’episodio verificatosi nel 2003, e poi ripetutosi nel 2014, nei confronti della parlamentare Maria do Rosário. Bolsonaro si è rivolto alla stessa dichiarando “non ti violenterei perché non te lo meriti”. Parole queste che hanno incoraggiato il verificarsi di episodi di violenza sessuale di genere, secondo l’opinione della diretta interessata. La vicenda è costata una condanna per danni morali a discapito di Do Rosário e l’attribuzione di una multa a Bolsonaro del valore di $ 3.000 che, però, il presidente non ha mai pagato.
Quanto appena riportato è l’esempio per eccellenza del linguaggio offensivo con il quale Bolsonaro si rivolge a donne, omosessuali, afrobrasiliani ed indigeni. Tutte le accuse di incitamento all’odio presentate in passato contro l’attuale presidente però, sono state archiviate perché, a detta dei giudici che lo hanno processato, le dichiarazioni di Bolsonaro non eccedevano quanto concesso dalla libertà di espressione.
Tuttavia, si teme che la retorica discriminatoria possa in qualche modo legittimare la violenza di genere, in un Paese in cui una donna è vittima di violenza fisica ogni 7,2 secondi.
Il movimento #EleNão
L’ascesa di Bolsonaro coincide con una crescente reazione femminista in Brasile, alimentandola. L’assassinio di Marielle Franco sotto gli occhi di tutti fa ben intendere il clima di tensione che si respira nel paese. Gli attivisti temono che i diritti e la protezione delle donne vittime di abusi domestici e stupri possano diminuire sotto l’amministrazione Bolsonaro.
La campagna elettorale del 2018 si distinse per il forte impegno degli attivisti, sia pro che contro Bolsonaro. Le più indignate furono certamente le donne che, sia online che nelle piazze, dimostrarono impetuosamente il loro “sdegno” nei confronti del candidato a presidente Jair Bolsonaro e delle sue parole – che promuovevano una più dura discriminazione nei confronti delle donne, soprattutto indigene ed afrodiscendenti.
Ludimilla Teixeira, nell’agosto del 2018, fondò il gruppo social “Donne unite contro Bolsonaro“, e raggiunse una notevole popolarità nell’arco di poche ore. Da qui, in seguito all’unione di altri gruppi simili, si formò il movimento #EleNão (“Non Lui”), che oggi conta più di 2,5 milioni di membri solo in Brasile, ma ha sostenitori anche in molti altri Paesi del mondo.
Nonostante funzioni in gran parte come una campagna online, #EleNão mostra le caratteristiche di un movimento sociale tradizionale, mobilitando e coordinando le proteste nelle strade. L’obiettivo principale della campagna era impedire che Bolsonaro venisse eletto, da qui l’adozione degli slogan ##EleNão (non lui), #EleNunca e #EleJamais (lui mai).
Sul suo sito ufficiale, il movimento Ele Não si descrive come segue:
“Sebbene ci siano questioni ideologiche e morali che ci dividono, crediamo in una politica priva di demagoghi ed estremisti. Il nostro impegno per la democrazia, la civiltà e il rispetto per ciò che è diverso non è negoziabile.
In un contesto di profonda crisi sociale, economica, politica, morale e educativa, si crea un terreno fertile per la comparsa di politici populisti di qualsiasi ideologia e dobbiamo essere vigili per non ripetere errori che sono già stati ampiamente catalogati nella nostra storia.
Le campagne populiste sono spesso associate al fanatismo ed ai tentativi di imporre stili e modi di vita, nonché alla negazione radicale dei valori prevalenti. L’estremismo, unito all’unilateralismo, si traduce in una chiusura completa al dialogo e alla negoziazione.
In tempi come questi, il dialogo e il rafforzamento della democrazia sono l’unica via d’uscita possibile da questa crisi. Difendiamo la costruzione di una società libera, giusta e solidale, senza pregiudizi di origine, sesso, razza, colore, età, orientamento sessuale ed ogni altra forma di discriminazione, per questo abbiamo firmato questo manifesto che respinge la candidatura di Jair Bolsonaro alla presidenza della Repubblica del Brasile.”
Le elezioni del 2018
Nonostante la massiccia mobilitazione contro la sua elezione, Jair Bolsonaro ottenne il 55% circa dei voti, guadagnandosi così la poltrona presidenziale del Brasile. Come ci dimostra il risultato delle elezioni, il movimento Ele Não non ha raggiunto l’obiettivo che si era inizialmente prefisso. Tuttavia, il lancio di una campagna che coinvolgesse ogni membro del movimento Ele Não e che aveva come obiettivo il convincere almeno una persona a votare Haddad, ha fatto scendere il sostegno a Bolsonaro dal 59 al 55%. Si tratta quindi di un importante risultato per un movimento popolare così recente in un Paese vasto come il Brasile.
Sebbene molti elettori lo abbiano votato perché convinti che ci “fosse un problema” con il Partido dos Trabalhadores al governo – accusato di corruzione, come abbiamo visto in precedenza –, la vittoria di Bolsonaro solleva molte questioni sulla sicurezza delle donne, degli indigeni, degli afrobrasiliani e della biodiversità ambientale.
Una panoramica sulla situazione attuale
La diffusione del Covid-19 ha avuto un forte impatto sulla precarietà sociopolitica attuale del Brasile. La risposta del presidente all’emergenza sanitaria è stata quantomeno fallace, portando il Paese in vetta alla classifica dei contagi a livello globale.
Inoltre, il nuovo governo ha alimentato la visione misogina e fortemente stereotipata delle donne, situazione che si è aggravata durante la crisi pandemica. A mero titolo di esempio, sono stati effettuati dei tagli ai budget destinati a programmi sociali già attivi e che erano fonte di sostentamento per numerose famiglie, andando a penalizzare le donne in primo luogo.
Per di più, il suo staff continua a promuovere e diffondere una retorica maschilista che alimenta ulteriormente l’ira delle donne e sta portando la società civile ad interrogarsi sulla sua legittimità pubblica. Questo ha portato l’Ufficio del Procuratore Federale di San Paolo (MPF-SP) a presentare un’azione civile contro il governo sulla base del fatto che le diffamazioni e la costante denigrazione della figura della donna perpetrate da Bolsonaro e dal suo staff “profanano i fondamenti e gli obiettivi fondamentali della Costituzione in quanto abusi della libertà di espressione”.
A titolo di esempio, la Procura cita una singola frase pronunciata da Bolsonaro nel 2019 in cui scredita donne, omosessuali e incoraggia lo stereotipo del Brasile come meta di turismo sessuale e minorile. Il procuratore poi, prende di mira anche e soprattutto la decisione di Bolsonaro di revocare una nota tecnica governativa che raccomandava la continuità delle azioni assistenziali durante la pandemia, come l’accesso ai metodi contraccettivi e la continuazione della pratica dell’aborto nei casi previsti dalla legge.
Tra le richieste della pubblica accusa vi è quella di riconvertire parte del budget pubblicitario del governo destinandolo alla promozione di campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla violenza di genere, realizzate da associazioni per la difesa dei diritti delle donne.
Non possiamo sapere come si concluderà la causa, né cosa succederà nei prossimi anni di governo. I dati però parlano chiaro in merito all’allarmante tasso di violenza di genere registrato in Brasile, ed è da escludersi che la manifesta misoginia di Bolsonaro possa in qualche modo contribuire a ridimensionare il problema.
Le vicende fin qui documentate fanno sorgere una riflessione sulle strategie di comunicazione scelte da politici di tutto il mondo. È grave quando queste implicano l’utilizzo delle parole per attaccare, direttamente e non, determinate categorie umane. La diffusione di odio a livello pubblico potrebbe incitare comportamenti discriminatori che rischiano di sfociare in violenza vera e propria. Sarebbe quindi opportuno che le alte cariche pubbliche tengano conto del fondamentale dovere di tutelare i diritti umani, in ogni aspetto del loro lavoro di rappresentanti della popolazione del proprio Paese.
Fonti e approfondimenti:
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- Elena Di Diohttps://migrazioniontheroad.largemovements.it/author/elena-didio/
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