L’Azerbaijan: uno degli stati europei che ancora non accetta la libertà di espressione

I paesi dell’ex Unione Sovietica sono molto belli da un punto di vista paesaggistico, ma la maggior parte di questi sono accomunati principalmente dalla mancanza di libertà di espressione e tra questi non è esente la Repubblica dell’Azerbaijan. Da quando il paese è sotto la presidenza della famiglia Aliev, nel 1993, il paese è costantemente tenuto sotto scacco da un regime autoritario di stampo quasi monarchico. Questa situazione ha creato una forte repressione sia dal punto di vista giornalistico che politico.

In questo articolo infatti analizziamo insieme alcuni casi di repressione della libertà di espressione, mettendo in risalto le reazioni dell’Unione Europea.

1992: prime elezioni in Azerbaijan

La nostra analisi inizia nel 1992, anno delle prime elezioni democratiche del paese ex URSS. Le elezioni furono vinte dal Partito del Fronte Popolare dell’Azerbaijan, guidato da Abulfaz Elchibey. Questo partito era sorto negli anni Ottanta e riuniva varie formazioni politiche che cercavano di ottenere l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Dopo le elezioni, avvennero una serie di cambiamenti tra cui: l’inserimento di leggi che regolavano la costituzione dei nuovi partiti politici; l’affermazione della libertà di stampa; la riforma dell’istruzione – che diede l’avvio ad una serie di riforme dirette a modellare una società civile. Questa aria completamente nuova e democratica determinò l’abbandono dei territori da parte dell’esercito russo sin dal 1993, rendendo così l’Azerbaijan il primo paese ex URSS ad ottenere il pieno ed incondizionato ritiro delle truppe russe.

Questa apertura alla modernità da parte dell’Azerbaijan però, non era ben vista da Russia ed Iran – che avevano tutto l’interesse ad imporre ancora il proprio potere sul paese. Fu in questo momento che gli ex leader comunisti azeri, guidati dall’ex KGB Heydar Aliyev, conquistarono il potere con la forza dando il via alla prima vera repressione politica della storia della moderna repubblica caucasica. Vennero arrestati migliaia di sostenitori del Partito del Fronte Popolare dell’Azerbaijan e l’ex presidente fu espulso dalla capitale. Ma questa fu semplicemente la punta dell’iceberg.

In quello stesso periodo infatti, scoppiò la guerra in Nagorno Karabakh che costrinse l’Azerbaijan  cambiare nuovamente regime, trasformandosi così in uno stato governato da un regime autoritario e militare con a capo Heydar Aliyev.

Anni 2000: la libertà di espressione inizia ad essere un caso

Alla morte del generale Heydar Aliyev gli succede il figlio Ilham Aliyev e la situazione in Azerbaijan rimane immutata, tanto da non essere oggetto di dibattito internazionale fino a quando viene colpito direttamente il giornalismo. Nella Costituzione azera infatti, esistono due leggi capaci di condizionare la libertà di espressione, ovvero gli articoli 147 e 148 del codice penale che proibiscono rispettivamente la diffamazione e la calunnia. Questi due articoli sono spesso usati per direzionare la stampa azera in qualsiasi modo. Per il reato di diffamazione sono previsti almeno 2 anni di reclusione mentre per quello di calunnia minimo 3 anni.

Tra i più bersagliati dell’inizio del 2000 c’è Eynulla Fatullayev, giornalista e fondatore del settimanale indipendente in lingua russa Realny Azerbaijan e del giornale in lingua azerbaigiana Gündəlik Azərbaycan. Fatullayev è stato vittima prima di minacce, intimidazioni e violenze nel tentativo di influenzare le pubblicazioni dei suoi giornali – è stato minacciato di morte, percosso, perseguito legalmente e i suoi parenti sono stati rapiti in Azerbaijan.

L’apice della persecuzione arriva nel 2007, quando il giornalista azero viene arrestato per 8 anni e mezzo con l’accusa di terrorismo, incitazione all’odio etnico e, primo tra tutti, il reato civile e penale di diffamazione. Tutte queste accuse vennero mosse a causa di un articolo in cui Fatullayev parlava del massacro di Khojaly: secondo il giornalista azero, di quel massacro sarebbe responsabile l’esercito azero e non quello armeno come vorrebbe la narrativa di Stato.

A queste accuse ne vennero aggiunte altre durante la sua detenzione, la più assurda delle quali venne presentata il 30 dicembre 2009. L’accusa aggiungeva altri 2 anni e mezzo di prigionia a causa di un rinvenimento di 0,22 grammi di eroina nella cella del giornalista.

La causa Fatullayev venne appoggiata da diverse ONG, prime tra tutte Human Rights Watch ed Amnesty International, che riuscirono a portare il caso del giornalista azero anche davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Infatti, la Corte Europea chiese all’Azerbaijan di rilasciare il giornalista e di ricompensarlo per danni morali con 25 mila euro. Grazie all’intervento della Corte Europea Fatullayev venne liberato e risarcito il 26 maggio del 2011.

Anni 2010: la situazione rimane invariata, se non peggiore

Sulla scia delle Primavere Arabe, tra marzo ed aprile 2011 anche in Azerbaijan il popolo inizia a manifestare in maniera del tutto pacifica. Queste proteste civili fanno sorgere un movimento di opposizione al presidente azero, che viene subito sedato arrestando centinaia di persone – sia durante le manifestazioni sia per le proprie opinioni espresse tramite i social network. Nemmeno in occasione dell’Eurovision, che si è tenuto in Azerbaijan nel 2012, il governo sospese questa continua censura nei confronti dei suoi cittadini. Proprio in occasione di una manifestazione avvenuta due mesi prima della manifestazione canora infatti, i manifestanti sono stati pestati a sangue ed arrestati. Inoltre due musicisti, Jamal Ali e Natig Kamilov, sono stati arrestati per il semplice fatto di aver parlato male della defunta madre di Aliyev. Al di là della deprecabilità del gesto, questo non può comunque rappresentare un degno pretesto per arrestare due persone.

La manifestazione in questione era stata regolarmente autorizzata ed era stata indetta per protestare contro la corruzione governativa e per chiedere la liberazione dei prigionieri politici.

Come se non bastasse, le sorti dei giornalisti erano sempre più in bilico. Per restituire la pericolosità di quel periodo basti pensare che nella manciata di giorni che va dal 26 marzo al 3 aprile 2011, si sono registrati 3 episodi di violenza contro esponenti del giornale Azadliq e giornalisti. Il 26 marzo è stato rapito e pestato da sei aggressori mascherati Seymur Haziyev, reo di aver scritto articoli critici su Azadliq nei confronti del Presidente; il 2 aprile invece diversi giornalisti sono stati arrestati dalle forze di polizia perché non potevano fotografare la manifestazione ed intervistare i partecipanti; infine il 3 aprile Ramin Deko, altro giornalista di Azadliq, è stato anch’esso rapito e pestato per aver scritto pezzi critici nei confronti del Presidente.

La repressione fu tale che vennero presi di mira non solo i giornalisti, ma anche gli stessi organi di tutela della libertà di espressione. Nell’agosto 2014 infatti, sia l’istituto per la libertà e la sicurezza dei giornalisti (IRFS) ed il Media Rights Institute furono costretti a lasciare il paese dopo settimane di intimidazioni. Tutto ciò avvenne mentre la IRFS trasmetteva sulla propria rete il programma Obyektiv che parlava di storie di libertà di espressione e diritti umani.

Con l’aumento dell’uso dei blog e dei social network, la popolazione ha cominciato ad utilizzare questi strumenti per esprimere pareri ed opinioni contro il regime militare. Il governo di tutta risposta quindi, ha iniziato ad intensificare i controlli anche su queste nuove piattaforme ed a monitorare le conversazioni mail dei giornalisti e soprattutto dei blogger. Fu proprio a seguito di questi controlli mail che il 3 marzo del 2017 viene arrestato per due anni un noto blogger e attivista azero, Mehman Huseynov, con l’accusa di diffamazione dal momeno che aveva pubblicato sui suoi canali social delle foto di proprietà di lusso che secondo lui erano di proprietà di funzionari governativi. La scarcerazione e la risoluzione di questa situazione venne richiesta anche questa volta dal Parlamento Europeo 

Ma la censura non è solo verso chi scredita il governo e le sue azioni, ma anche verso chi lavora con chi non è alleato del governo. L’esempio calzante di ciò è Arzu Greybulla, giornalista azera che è stata costretta a vivere fuori dal suo paese solo per aver parlato di mancanza di libertà di espressione su una rivista turco-armena. La giornalista venne tacciata di tradimento verso l’Azerbaijan e iniziò a ricevere minacce di morte e ad essere insultata anche sui social media.

Inoltre Greybulla era stata sempre molto critica rispetto alle fonti di energia non rinnovabili che hanno sempre caratterizzato l’economia del paese. Secondo la giornalista questo tipo di economia non arricchisce il popolo, ma le sole classi sociali più alte. La giornalista azera si occupa anche dell’impatto ambientale di alcune opere pubbliche. Secondo lei infatti, anche il grande progetto del Corridoio Meridionale del Gas non è affatto ecosostenibile tanto è vero che la stessa denuncia che gli Stati UE che sostengono il progetto sono quelli che non stanno dando troppo peso alla questione ambientale, Italia in primis, in favore di meri interessi economici.

Anni 2020: l’arrivo del Covid e la condizione attuale

L’arrivo del Covid-19 ha di fatto peggiorato la possibilità di esercitare la libertà di espressione all’interno del paese. Per di più, il presidente Aliyev ha approfittato della situazione confusionaria conseguente alla pandemia, aggravata dall’inizio della guerra in Nagorno Karabakh, per continuare a reprimere le forze dell’opposizione, in particolar modo quelle del Musavat. Al centro delle mire del governo, c’è una persona in particolare, ossia Tofig Yagublu, leader del partito Musavat. Yagublu è stato arrestato il 22 marzo 2020 con l’accusa di teppismo: secondo la Costituzione azera nell’articolo 221.3 per teppismo si intende usare armi o oggetti per ledere con violenza le proprietà di altre persone.

Secondo il governo azero infatti, alle ore 15:00 del 22 marzo 2020 la macchina del leader del Musavat entrava in collisione con una altra macchina nella quale vi era un funzionario del governo, La ricostruzione governativa sostiene che, una volta interrotta la corsa delle auto, Tofig sarebbe sceso dall’auto ed avrebbe malmenato il conducente della vettura tamponata e la sua passeggera, causando loro diverse ferite.

Secondo le testimonianze della figlia di Yagublu invece, Nigar Hazi – scesa anche lei dall’automobile, insieme alla compagna di Yagublu – è stato il funzionario del governo ad abbattersi sull’auto parcheggiata del leader politico e ad aggredirlo. Alla base dell’impianto accusatorio del governo c’è il ruolo di oppositore di Yagublu, da sempre molto critico con il governo tanto da essere già stato arrestato in precedenza circa altre 35 volte. Inoltre, l’arresto del leader è avvenuto solo 3 giorni dopo che il presidente Aliyev aveva annunciato che il Musavat era la quinta colonna in grado di minacciare la stabilità del paese ed aveva detto che avrebbe represso ogni tentativo di sommossa.

L’intento persecutorio del governo nei confronti di Yagublu è presto confermato guardando gli arresti che hanno colpito anche i membri della sua famiglia tra cui: la figlia nel 2012 è stata condannata a 2 anni e mezzi ed il genero Seymur Hezi nel 2015 a 5 anni con l’accusa di teppismo.

Per capire l’importanza politica di questo arresto, bisogna tornare indietro nel tempo: Il Musavat è stato il partito che ha portato all’indipendenza dell’attuale repubblica e Tofig Yagublu ha partecipato alla guerra nel Nagorno-Karabah dei primi anni ’90; successivamente entrò a far parte del Musavat, partito panturco azero, e durante la breve presidenza di Elchibey divenne capo del distretto di Binagadi, nella regione della capitale Baku. Caduto il governo Elchibey, il Musavat è divenuto il secondo partito del paese, ma ad oggi conta solo 5 seggi.

A causa dell’arresto di Yagublu sono state organizzate molte manifestazioni pacifiche, sistematicamente interrotte a causa dei plurimi arresti.

Ed è rilanciando le parole di Dunja Mijatovic, Commissaria dei diritti umani del Consiglio d’Europa in visita al nel paese nel 2019, che vogliamo concludere questo articolo:

La libertà di espressione in Azerbaijan continua ad essere minacciata… la scarcerazione di tutte le persone detenute a causa delle opinioni espresse dovrebbe continuare ad essere una priorità… Le autorità dovrebbero astenersi dal ricorrere alla pratica sproporzionata di imporre divieti di viaggio in modo arbitrario e revocare immediatamente quelli che contravvengono al diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio.

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Fonti

https://www.amnesty.ch/it/news/2013/eurovisione-in-azerbaijan-amnesty-si-rivolge-ai-sinplus/azerbaijan-la-situazione-dei-diritti-umani

https://it.qaz.wiki/wiki/Media_freedom_in_Azerbaijan

https://www.coe.int/it/web/portal/-/azerbaijan-needs-more-freedom-of-speech-more-lawyers-and-more-jobs-for-refugees

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Gasdotto percorso del Corridoio Meridionale del Gas

Il gasdotto che ha unito nazioni, ma rischia di distruggere l’ambiente (e non solo)

Come abbiamo visto nella nostra scheda paese dell’Azerbaijan, l’economia di questo stato è basata sui combustibili fossili, principalmente petrolio e gas. Nell’articolo di oggi ci focalizzeremo sul gas e, nello specifico, sul gasdotto che porta questo materiale dal Mar Caspio fino a casa nostra. Il gasdotto in questione, chiamato anche Corridoio Meridionale del Gas, è stato costruito in momenti diversi e per questo motivo si compone di tre parti. La prima parte – che inizia dal giacimento di gas Shah Deniz, passa per la Georgia per arrivare fino al confine turco e quindi ad Erzurum – prende il nome di Gasdotto del Caucaso Meridionale. La seconda parte – che passa attraverso tutta la Turchia fino ad arrivare al confine a nord con la Grecia – si chiama Gasdotto Transanatolico. Infine l’ultima parte – che dalla Grecia passa per l’Albania per poi attraversare l’Adriatico e raggiungere le coste pugliesi, nello specifico la spiaggia di San Foca. Il progetto nacque allo scopo di incrementare l’importazione di gas verso l’Unione Europea cooperando con partner differenti rispetto alla Russia in quanto le riserve del Cremlino stanno iniziando ad esaurirsi. Il ruolo di questo gasdotto infatti, è stato al centro del dibattito energetico dal 2008 poiché l’obiettivo del progetto era così descritto: È necessario sviluppare un corridoio meridionale del gas per l’approvvigionamento di gas dai bacini del Caspio e del Medio Oriente… questa è una delle massime priorità di sicurezza energetica dell’Unione Europea. E’ stata questa la prima volta in cui si metteva in discussione la capienza delle risorse di Russia e Norvegia – fino a quel momento i partner principali per l’approvvigionamento di gas dell’Unione – ed a contribuire all’acuire delle tensioni è stato l’avvento della crisi economica, nello stesso 2008. Questa opera architettonica e ingegneristica ha coinvolto direttamente ben 5 paesi, causando non pochi problemi dal punto di vista ambientale. Ma scopriamo gradualmente insieme i problemi per la costruzione del gasdotto, iniziando dal primo tratto. Il Gasdotto del Caucaso del Sud La prima parte del gasdotto più importante d’Europa è il Gasdotto del Caucaso del Sud, opera costruita dal 2002 al 2006, che attraversa due stati per poi arrivare al confine tra Georgia e Turchia. Questa regione è famosa per la sua biodiversità: al suo interno possiamo trovare diverse specie, vegetali e animali, protette che oggi vivono a ridosso del gasdotto. Come se non bastasse detto gasdotto passa vicino a 5 aree protette tra cui i Santuari Naturali dello Stato di Barda e Korchay, una sorta di “Eden” per gli animali selvatici della zona che sopravvive da oltre 10.000 anni. Inoltre nella regione sud caucasica il gasdotto passa attraverso 20 fiumi e canali che hanno una forte importanza a livello ecologico. Il rischio che questi bacini idrici possano essere contaminati dal gasdotto è concreto ed elevato. Qualora ciò avvenisse, si originerebbero danni irreversibili che andrebbero a distruggere vari ecosistemi, oltre che a provocare grandi danni alla salute di pastori ed abitanti, i quali fanno ricorso all’acqua contenuta in questo reticolato idrico per svolgere le loro attività quotidiane. Per di più, dal momento che la regione dell’Azerbaijan è molto arida e povera di acque dolci sotterranee, la contaminazione di queste ultime rischierebbe di danneggiare gravemente le economie locali, che si basano maggiormente sull’agricoltura. Questo rischio aumenta ancora di più se si aggiunge il fatto che la zona caucasica è ad alto rischio sismologico – spesso sono stati rilevati terremoti con intensità 8 sulla scala Richter. Anche se l’area in cui passa il gasdotto è una zona a basso-medio rischio sismico, alcuni punti sui quali lo stesso si erige sono stati epicentro di moti terremoti. Questi rischi si sarebbero potuti evitare facendo passare il gasdotto attraverso l’Armenia anziché la Georgia, dal momento che sarebbe stato il tragitto più corto e quindi i rischi di danni ambientali sarebbero stati di meno. Purtroppo ciò non è stato possibile perché il conflitto in Nagorno Karabakh non cessa di esistere. Inoltre la zona è a rischio smottamenti dovuti a temporali, attività dell’uomo, colate detritiche e ad una superfice del terreno soggetta ad erosione a causa dell’alta salinità della terra. Come se non bastasse, il gasdotto è stato costruito in zone molto vicine a quelle in cui si trova l’oleodotto pertanto il rischio di generare danni gravi è ancora maggiore. Proprio per cercare di minimizzare l’impatto ambientale si è pensato più volte di modificare il tragitto del gasdotto ma non si è mai trovato un accordo. Sebbene il gasdotto rappresenti una gravissima minaccia per l’ambiente, gli stati interessati dal suo passaggio stanno cercando di limitare al massimo i danni applicando capillarmente le misure richieste dagli esperti ambientali. Spesso però queste misure creano ulteriori danni: ad esempio è stato creato un nuovo habitat per tutte quelle specie che sono state costrette a convivere con il gasdotto, generando un forte stress su alcune di esse. Inoltre, il gasdotto è stato costruito mantenendo una distanza di 30 metri dai corsi d’acqua, in modo da cercare di non inquinare questi ultimi con la fuoriuscita di gas, ma tale distanza appare alquanto esigua. Il Gasdotto Trans-Anatolico Il tratto successivo del Corridoio Meridionale del Gas è quello che va dal confine tra la Georgia e la Turchia e passa attraverso tutta la penisola anatolica per arrivare al confine con la Grecia. Per evitare complicazioni nella costruzione (2015-2018), 4.300 ettari dei 6.600 all’interno dei quali sorge questo tratto di gasdotto sono stati costruiti all’interno di terreni privati. Il 96% di detti terreni è stato acquisito dallo stato esclusivamente per la durata dei lavori di costruzione e subito dopo restituito ai legittimi proprietari, anche se su quasi la metà dei terreni “affittati” sono state imposte restrizioni con riferimento alle future costruzioni e/o agli adattamenti strutturali che i proprietari potessero realizzarvi. Lungo il TANAP (Trans Anatolic Natural Gas Pipeline) il problema principale incontrato durante i lavori fu proprio l’ampia biodiversità. Infatti, il gasdotto attraversa 67 habitat e 27 corsi d’acqua, facenti parte di parchi nazionali e/o aree lacustri molto importanti, sia per l’ambiente – alcune di queste aree

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