Immagina di avere una fattoria, tua da generazioni, dove insieme ad altre famiglie coltivate la terra ed usate quei prodotti per provvedere al sostentamento tuo e della tua famiglia.
Ora immagina di far parte di una popolazione indigena, vivi in Amazzonia, conosci il mondo al di fuori ma rimani legato alle tue tradizioni ed al rispetto ed alla protezione della natura intorno a te, come i tuoi antenati hanno fatto per generazioni prima di te. Consideri inoltre sacra quella terra su cui cammini perché ricolma della storia stessa dei tuoi antenati.
Infine, immagina che la terra con cui provvedi al sostentamento della tua famiglia, oppure, la terra sacra per i tuoi antenati ti venga estirpata, strappata dalle tue mani in meno di ventiquattro ore. Non riesci nemmeno a difenderti a riguardo perché hanno usato degli stratagemmi legali per riuscire a rubarti la terra. Tutto ciò che rimane è la tua casa. Quella non la possono abbattere, l’unico problema è che ora non puoi più mangiare. Inoltre, i campi dove potevi coltivare, quella terra per te sacra ormai è nelle loro mani. Tutta la bellezza che trovavi su di essa, data anche dalla vasta diversità di colture che lavoravi è ormai persa. Soppiantata, al suo posto, da un immensa vastità di soia o canna da zucchero.
Questa è la realtà che vivono centinaia di agricoltori in Brasile. Una realtà causata dal fenomeno del land grabbing – che potete trovare spiegato qui. Un fenomeno che da più di dieci anni ha cambiato la faccia dell’agricoltura brasiliana.
La crisi finanziaria del 2008, e nello stesso anno, la crisi alimentare che ha colpito vaste regioni del mondo, ha messo in luce la posizione strategica del Brasile. La disponibilità delle risorse naturali, essenziali a soddisfare i bisogni della popolazione di tutto il mondo dal 2008 è rientrata prepotentemente all’interno dell’agenda internazionale. Quindi, paesi abbondanti di queste risorse, come il Brasile, hanno guadagnato una posizione strategica grazie alla loro capacità di fornire cibo per soddisfare la crescente domanda mondiale.
Le corporazioni agroalimentari, non che un cospicuo numero di paesi, preoccupati per la loro sicurezza alimentare e per la loro dipendenza dai mercati alimentari internazionali, hanno quindi deciso di acquisire terreni agricoli in giro per il mondo per produrre cibo da esportare. Nel 2012, la Land Matrix Partnership, ha identificato oltre 1200 affari da parte di investitori stranieri per l’accaparramento della terra che coprono 83,2 milioni di ettari, ossia l’1,7% dei terreni agricoli del mondo. Oltre il 60% di questi accordi sono stati siglati in Africa.
Si può quindi affermare, che il land grabbing globale è un trasferimento massiccio di risorse vitali per la produzione di cibo dalle comunità rurali ad una ricca élite globale. Tramite questi affari, famiglie ed intere comunità stanno perdendo le loro fattorie e le loro foreste, ed i loro sistemi agricoli e pastorali, che producono cibo per la popolazione locale, vengono spazzati via per far posto a vaste piantagioni industriali che producono cibo per l’esportazione. Molti di questi affari, stanno accadendo in paesi dove l’insicurezza alimentare e l’accesso alla terra, al cibo ed all’acqua sono già criticità che i paesi stanno affrontando. Inoltre, gli agricoltori a cui viene strappata la terra vengono raramente consultati, in quanto molti di questi affari vengono conclusi a porte chiuse fra gli ufficiali del governo e gli investitori stranieri.
In Brasile, le corporazioni che vogliono investire nella terra ricorrono a dei processi illegali di land grabbing conosciuti come “grilagem” per acquisire le terre e stabilire le piantagioni anche nell’altopiano delle chapadas. Grilagem, che letteralmente definisce l’accaparramento illegale delle terre, implica l’uso di connessioni politiche e documenti falsi per rivendicare i titoli terrieri. Alcuni casi, definiti supergrilagem, superano addirittura il milione di ettari di terra accaparrata. Questa pratica è diffusa soprattutto nella regione del MATOPIBA – un’area che abbraccia quattro Stati, rispettivamente Maranhão, Tocantins, Piauí e Bahia, dove al suo interno troviamo il bioma del Cerrado, una grande savana tropicale ricca per la sua biodiversità.
La metodologia utilizzata dai land grabbers è quella di recintare le terre delle chapadas, sfrattare i suoi abitanti, dispiegare delle forze di sicurezza privata al fine di trattenere le comunità che precedentemente abitavano al di fuori di queste terre e poi acquisire la proprietà tramite la corruzione dei notai o di qualche funzionario del governo. Infine, l’intento di questi cosiddetti grileiros è di vendere le terre che hanno accaparrato ad altri individui o corporazioni che susseguentemente vi stabiliranno delle piantagioni di soia o canna da zucchero.
Per le comunità locali è molto difficoltoso rivendicare le proprie terre, in quanto la legge brasiliana non riconosce diritti di proprietà sulle terre alle comunità ancestrali. Dette terre, infatti, vengono riconosciute come suolo pubblico, proprietà dello stato sulla quale le comunità tradizionali possono risiedere. È esattamente sulla base di questa contraddizione giuridica che si giustifica legalmente il land grabbing. Inoltre, di solito, i grileiros ricorrono alla violenza verso individui che potrebbero tentare di opporre resistenza. Di fatto, ci sono numerose segnalazioni di coercizione e minacce, aggressioni e persino di decessi avvenuti per mano dei grileiros e dei loro scagnozzi.
Tuttavia, la perdita di accesso alle terre che deriva dal fenomeno del land grabbing non è l’unico problema. Infatti, senza le risorse della terra delle chapadas molte piccole comunità agricole hanno perso tutti i mezzi di sostentamento e si sono dovute trasferire nelle città per cercare lavoro o nelle pericolose miniere di diamanti. Le piantagioni, infatti, garantiscono pochi posti di lavoro solo quando inizialmente è necessario sgomberare la terre, poi, la forma di produzione estremamente meccanizzata non lascia molti posti di lavoro disponibili. Inoltre, una volta espropriate le terre, le piantagioni intensive adottate e la conseguente perdita estrema di biodiversità nelle chapadas hanno l’effetto di distruggere anche le foreste e le paludi, provocando così il prosciugamento dei fiumi della regione.
Questo è il quadro in cui le comunità tradizionali devono sopravvivere, ciononostante, la mancanza di cibo ed acqua non è l’unico problema. Infatti, la scarsità di acqua dei fiumi non ancora essiccati che arriva a queste comunità risulta anche inquinata dai pesticidi e dai prodotti agrochimici utilizzati nell’agricoltura industriale delle piantagioni. Detti prodotti poi si trovano anche all’interno dei pesci che le comunità mangiano e nell’acqua che bevono, incidendo così sulla loro salute. Questa è anche la ragione per cui molte comunità credono che ci sia una forte correlazione fra l’inquinamento acquifero e l’aumento dei casi di cancro, dei problemi respiratori e delle malattie della pelle.
La Crisi Finanziaria e la Corsa al Land Grabbing.
Dopo la crisi finanziaria ed alimentare che ha riportato nell’agenda globale le questioni della sicurezza alimentare, i governi di tutto il mondo hanno iniziato ad investire nell’acquisizione di terreni esteri per la produzione di cibo destinato al consumo interno. Dal 2002, infatti, c’è stata un’enorme crescita della domanda di compravendita di terreni in tutto il mondo. I dati mostrano infatti che tra l’ottobre 2008 e l’agosto 2009 sono stati acquistati oltre 45 milioni di ettari, di cui il 75% in Africa e altri 3,6 milioni in Brasile ed Argentina. Un fenomeno talmente diffuso che ha assunto una definizione specifica: land grabbing o ‘estrangeirização das terras’. Si è assistito infatti, ad un forte incremento delle piantagioni latifondiarie di canna da zucchero e di soia che vengono investite anche nella produzione di biocombustibili.
Infatti, una ricerca del Núcleo de Estudos Agrários e Desenvolvimento Rural (NEAD) mostra che nel 2008 sono state acquisite 34.632 appezzamenti da stranieri, equivalenti ad una superficie di 4.037.667 ettari. Il catasto mostra inoltre che l’origine dei fondi per l’acquisizione di questi beni proviene principalmente da quattro paesi: Argentina, Canada, Stati Uniti e Giappone. Inoltre, altri studi suggeriscono che fino al 2012 più del 50% del capitale investito in Brasile sulla terra proviene da 7 paesi: Portogallo, Giappone, Italia, Libano, Spagna, Germania e Paesi Bassi.
L’attrazione esercitata sui paesi esteri dalla filiera agroalimentare è cresciuta di pari passo con i progetti di espansione, come nel caso del progetto “Proceder”. Si tratta di un progetto degli anni ’80, mirante a definire un programma agroalimentare su larga scala e che ha portato al boom delle piantagioni di soia. Finanziato principalmente dal governo giapponese e da alcune banche private, anche attraverso l’approvazione del governo brasiliano, il progetto ha trasferito numerosi appezzamenti di larga scala a 717 latifondisti per produrre quella che oggi è diventata una delle colture più importanti della filiera agroalimentare brasiliana: la soia, destinata esclusivamente alla lavorazione per l’esportazione sul mercato internazionale. Questa enorme espansione della monocoltura di soia ha attirato l’interesse di molte grandi corporazioni come ADM, Bunge, Cargil, Dreyfus, Monsanto, Syngenta e Dupont. Questo ha portato sempre più aziende private ad acquisire proprietà terriere, divenendo di fatto l’evento scatenante del land grabbing in Brasile.
Ma com’è possibile che aziende e governi stranieri possano acquisire tutte queste terre?
Per rispondere a questa domanda è opportuno conoscere quali siano le leggi che hanno permesso lo sfruttamento incontrollato da parte degli stranieri delle terre brasiliane.
Una tra le più significative di queste leggi è sicuramente la Lei de Terras do Brasil (n. 601/1850), la quale, oltre a regolamentare la proprietà privata in Brasile, attribuì per la prima volta agli indigeni il diritto di proprietà sulla loro terra. Contemporaneamente però vennero emanate altre leggi che consegnavano la proprietà delle terre tradizionalmente abitate dalle popolazioni indigene ai coloni bianchi, nel caso in cui queste fossero state dichiarate abbandonate. Secondo l’allora sistema giuridico – che di fatto “legalizzò” il land grabbing – la dichiarazione dello stato di abbandono di una terra poteva essere fatta direttamente dagli interessati alla proprietà (erano gli stessi coloni bianchi dunque a decidere quando una terra poteva dirsi abbandonata, indipendentemente da quanto sostenuto dagli indigeni).
Un’altra tappa fondamentale è rappresentata dalla legge n. 5709 del 1971, la quale consentiva di acquistare appezzamenti di terreno in Brasile sia agli individui stranieri che alle compagnie straniere aventi delle filiali in Brasile ed ancora, alle aziende brasiliane anche se il proprio capitale di maggioranza era estero. Detta legge è stata fortemente criticata poiché non poneva delle reali restrizioni agli acquisti fondiari da parte degli stranieri sul territorio brasiliano. L’unico limite che era stato posto, consisteva nel non poter acquistare più di 50 moduli di terra. La grandezza di questi moduli però, poteva variare dai 2 ai 100 ettari. Conseguentemente, un individuo od una compagnia straniera potevano arrivare a possedere l’equivalente di quasi un quarto del territorio detenuto da una provincia.
Un tentativo di limitare in maniera più efficace le transazioni fondiarie che coinvolgono enti stranieri fu avviato solo nel 2010 dall’ex Presidente Lula, il quale firmò un ordine per poter imporre maggiori restrizioni sugli acquisti fondiari esteri. Nello specifico si dichiarava che: i contratti non potevano superare i 5.000 ettari o il 25% dell’area di una provincia; se dei singoli individui stranieri avessero voluto possedere dei terreni avrebbero dovuto prima ottenere la residenza nel paese; le aziende straniere dovevano rientrare nei canoni delle leggi brasiliane; le acquisizioni che coinvolgevano dai 3 ai 200 moduli di terreno dovevano ricevere prima l’autorizzazione dell’INCRA (Istituto Nazionale per gli Insediamenti Rurali e la Riforma Agraria).
Un’altra legge fondamentale per capire le origini del fenomeno in commento è la legge n. 6015 del 1973,
chiamata anche Lei de Registros Públicos. Il sopra citato testo normativo sancisce infatti che un terreno può essere qualificato come privato solo una volta che nei registri notarili ne sia registrata la prova dell’acquisto da parte del privato.
Questa registrazione equivale ad un’acquisizione della proprietà stessa rendendola di fatto privata. Pur se nella stessa legge in commento infatti, vengono enucleati molteplici requisiti – in aggiunta a quello della registrazione – necessari affinché possa essere formalizzato a tutti gli effetti l’acquisto della proprietà da parte di un soggetto, la mancanza di controllo e di monitoraggio del registro da parte degli uffici notarili, tipica di un sistema burocratico fallace e corrotto come quello brasiliano, hanno contribuito largamente all’affermarsi ed allo svilupparsi del fenomeno del land grabbing.
A questo quadro normativo già complicato, si devono aggiungere tutta una serie di leggi locali, federali e costituzionali che disciplinano a loro volta la materia e che spesso si sovrappongono ponendosi anche in aperta contraddizione tra di loro. Questa complessità ed estrema confusione che caratterizza la legislazione fondiaria brasiliana è proprio ciò che permette agli investitori stranieri di effettuare appropriazioni indebite di terreni rurali sfruttando i vuoti normativi endemici del sistema.
I movimenti sociali, le comunità e le organizzazioni di popoli indigeni si sono battuti per anni per i loro diritti territoriali e per l’uso collettivo della terra.
Pur se la legge n. 7295 del 2019 ha introdotto alcune misure di salvaguardia proprio a tutela delle popolazioni indigene, il land grabbing ed i meccanismi incostituzionali in commento continuano a contraddistinguere la società brasiliana.
Negli ultimi anni piuttosto, si è assistito alla nascita di un nuovo tipo di land grabbing conosciuto come “green land grabbing” e derivante da un complesso intreccio tra leggi ambientali e norme fondiarie.
Con l’entrata in vigore del dibattutissimo Nuovo Codice Forestale nel 2012 infatti, il nesso fra land grabbing e deforestazione è diventato evidente.
La legge ha istituito il cosiddetto CAR (Catasto Ambientale Rurale): un sistema di archiviazione che ha lo scopo di registrare tutti i diritti di proprietà esistenti nelle aree rurali del paese. Questo registro però, viene compilato sulla base di auto-dichiarazioni (non è quindi richiesto che siano prodotti documenti che comprovino la proprietà) che, data l’endemica mancanza di controlli per verificarne la validità, ha finito per fungere da canale principale di legalizzazione di vere e proprie frodi amministrative – e conseguentemente, del fenomeno del land grabbing.
Detto Codice inoltre, sancisce anche la possibilità di ottenere una compensazione legale per riserva ambientale.
Secondo la normativa infatti, i proprietari di appezzamenti di terreno all’interno della foresta amazzonica brasiliana devono garantire che il 20% dei propri possedimenti siano protetti da riserva ambientale – ossia vengano preservati dal disboscamento – ed in cambio ricevono delle compensazioni economiche.
Prima della riforma questa percentuale era pari all’80%. Pur se detta soglia di riserva non era mai stata rispettata poi, almeno sulla carta erano previste delle maxi sanzioni per la violazione di dette riserve. Con la riforma del 2012 invece, dette sanzioni sono state abrogate per fatti antecedenti al 2008, di fatto legalizzando a tutti gli effetti la disboscazione selvaggia che sta affliggendo l’Amazzonia negli ultimi decenni.
Lo Scandalo dei Fondi Pensionistici.
L’industria alimentare non è l’unica interessata all’acquisizione dei terreni brasiliani. Sono stati raccolti numerosi indizi che attestano che alcuni investimenti per l’acquisto di terreni siano stati sponsorizzati da fondi pensionistici.
Caso diventato emblematico per l’estrema risonanza internazionale avuta, è quello del fondo pensione statunitense chiamato Teachers Insurance and Annuity Association-College Retirement Equities Fund (TIAA-CREF).
Detto fondo, in partnership con altri fondi pensione internazionali – in particolare il Second Swedish National Pension Fund (AP2), la Caisse de dépôt et placement du Québec (CDP) e la British Columbia Investment Management Corporation (bcIMC) Canadese -, ha istituito una compagnia di investimenti per capitalizzare sui prodotti agricoli denominata TIAA-CREF Global Agricolture LLC (TCGA), che rimane a guida statunitense.
L’acquisizione di appezzamenti di detti terreni da parte del suddetto consorzio sarebbe avvenuta grazie all’intermediazione di un uomo d’affari brasiliano che è stato già indagato per grilagem, violenza e frode. Questo sarebbe un’ulteriore prova dell’attività di land grabbing che il consorzio sta perpetrando sul territorio brasiliano, eludendo tra l’altro, la legge brasiliana che impedisce a realtà sociali (come i fondi pensionistici appunto) di investire in beni materiali come i terreni agricoli.
Grazie all’indagine di GRAIN infatti, è emerso che gli appezzamenti di terreno sono stati acquistati da una società creata da TCGA per finanziare indirettamente gli acquisti. Come visto in precedenza, nella legislazione brasiliana è presente una legge (la n. 5709 del 1971 e successive modifiche) che mira a proteggere gli investitori nazionali limitando gli investimenti fondiari esteri sancendo che gli stranieri possono possedere fino al 25% delle terre rurali di qualsiasi comune.
Tuttavia, per poter facilmente aggirare dette restrizioni, i fondi di investimento come TCGA – che ha trovato nei terreni agricoli un nuovo modo, dopo la crisi economica, di proteggere i fondi pensionistici garantendosi un facile accesso alle liquidità in caso di necessità ed alti rendimenti sugli investimenti – creno società di proprietà brasiliana o effettuano gli acquisti ricorrendo a prestanomi brasiliani.
Nel caso specifico in commento Infatti, gli investimenti vengono effettuati da TCGA attraverso un’altra società brasiliana, la Tellus Brasil Participações Ltda – co-gestita anche da Cosan, una delle maggiori aziende saccarifere brasiliane. Pertanto, la Tellus acquista terreni agricoli attraverso i fondi della TCGA, ma in questo modo non viene limitata dalla legge del 1971, in quanto Cosan possiede il 51% della società, che di fatto risulta così essere di proprietà brasiliana.
Successivamente, la Tellus distribuisce obbligazioni ad altre società – specificamente la Radar e Nova Gaia Brasil Participacoes Ltda, che sono rispettivamente di proprietà di TIAA-CREF e di TCGA.
Attraverso questa intricata metodologia quindi, TCGA può mantenere con successo il controllo completo sulle proprietà senza propriamente infrangere la normativa brasiliana.
Questa speculazione sulla terra sta accentuando sempre di più i danni derivanti dal land grabbing, dalla deforestazione e dalla distruzione della biodiversità da un lato, e sta aggravando ulteriormente lo sfruttamento del lavoro, i problemi sociali e sanitari che caratterizzano i latifondi occupati dall’altro.
Le Nuove Tecnologie per il Land Grabbing
La nuova frontiera del land grabbing è quella digitale.
Come già detto, per poter essere riconosciuti come proprietari di terreni rurali, la legislazione brasiliana richiede l’iscrizione al catasto CAR. Tuttavia, questo sistema non viene monitorato dall’amministrazione e porta ad atti di land grabbing.
Inoltre, l’amministrazione brasiliana sta passando ad una forma sempre più digitalizzata, utilizzando il GPS ed i sistemi di precisione digitale per l’iscrizione del lotto ai terreni registrati nel CAR.
Questo sistema informatizzato sta quindi accelerando le procedure di attribuzione della proprietà sulla base del principio “chi prima presenta la domanda”, indipendentemente dal fatto che quel terreno possa appartenere alle comunità tradizionali. Si crea così una nuova forma di appropriazione: il land grabbing digitale.
A partire dal 2012, circa 45,500,000 dollari del Climate Change Mitigation Trust Fund sono stati destinati in via esclusiva al finanziamento di queste nuove procedure di iscrizione degli immobili rurali al catasto CAR. Con il nuovo Codice Forestale la registrazione dell’immobile presso il catasto poi, è resa obbligatoria al fine di regolarizzare gli immobili e di garantire la loro funzione socio ambientale.
Con l’avanzamento del progresso tecnologico, si realizza anche una digitalizzazione massiccia geo-referenziando sia l’ubicazione e la grandezza dell’appezzamento rurale sia le aree ambientali protette dalla riserva ambientale precedentemente discussa.
Per decreto, il governo autorizza la regolarizzazione di appezzamenti di terra fino ai 1.500 ettari per individuo tramite la emissione di titoli terrieri di proprietà privata sopra il suolo pubblico registrati nel CAR e comprovati da informazioni auto-dichiarative.
Agli organismi pubblici ed alle banche poi è fatto divieto di iscrivere le proprietà fondiarie dei territori collettivi nel CAR, esigendo che gli stessi vengano registrati individualmente e classificati come immobili rurali.
Di conseguenza quindi si assiste ad una vera e propria cancellazione dei territori collettivi dalle mappe. Solo il 6% del territorio, corrispondente a circa 34 milioni di ettari, infatti viene riconosciuto come terra indigena, quilombolas o territori di popoli e comunità tradizionali, nonostante i dati ufficiali indichino che i popoli indigeni occupano 117 milioni di ettari, ovvero il 13.7% del territorio.
La digitalizzazione della governance fondiaria attraverso il collegamento tra geo-referenziazione e la registrazione presso i catasti, diventa il nuovo veicolo attraverso il quale non solo si possono facilmente garantire delle operazioni di land grabbing, ma allo stesso tempo, queste vengono anche direttamente legalizzate.
Questa scappatoia legale, però, va a colpire quelle minoranze che hanno diritto di scegliere il proprio stile di vita, e non di accettare meramente la prepotente urbanizzazione che li vuole relegare in città o dentro le miniere di diamanti.
L’importanza delle minoranze e dei popoli indigeni è fondamentale per garantire la diversità ma soprattutto per mantenere intatte quelle tradizioni e culture che altrimenti verrebbero spazzate via dall’omologazione della vita urbana.
È inoltre importante difendere quel senso di collettività che i popoli tradizionali brasiliani lottano per preservare, in quanto diametralmente opposto alla mera individualità della città e della società contemporanea.
È proprio qui che si carpisce l’ossimoro dell’agricoltore senza terra: una persona a cui la propria terra, coltivata da generazioni, viene strappata, sostituita da una distesa di monocolture, come la soia.
In questo processo di land grabbing non si va a perdere solo la diversità culturale, ma anche la diversità ambientale, quella che rende sempre più ricca e fertile la terra a dispetto di una monocoltura che, al contrario, è destinata a farla inaridire.
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