L’acqua è indispensabile per la sopravvivenza e per lo sviluppo dell’essere umano. Sebbene la maggior parte della superficie del pianeta sia ricoperta da acque, solo l’1% di queste è fruibile all’uomo. Questa piccola percentuale basterebbe a soddisfare il fabbisogno mondiale se non fosse per la sua diseguale distribuzione. La cattiva gestione della risorsa, unita ad un insieme di altre variabili, sta portando ad una serie di problemi ambientali (carestie, siccità, desertificazioni, innalzamento delle temperature) e non, con ripercussioni sulle migrazioni e sul sottosviluppo.
Molte delle fonti d’acqua disponibili al mondo sono condivise tra vari paesi e questo conduce molto spesso all’esacerbarsi di tensioni ed a scontri diplomatico-politici. A tutto ciò si aggiunge anche il vertiginoso aumento del consumo di acqua dovuto alla crescita della popolazione mondiale ed al conseguente maggiore utilizzo in settori come quello domestico, agricolo, industriale ed energetico.
Secondo il report FAO The State of Food and Agriculture 2020, la quantità annuale di risorse di acqua dolce disponibili pro-capite è diminuita di oltre il 20% negli ultimi due decenni, fino ad arrivare anche al 30% in alcune aree. Le risorse idriche sono sempre più sotto pressione in tutto il mondo e la necessità di una gestione sostenibile che ne assicuri la disponibilità alle generazioni future non è mai stata così impellente.
L’acqua sembrerebbe perciò destinata a divenire secondo molti un motivo di conflitto più importante del petrolio. Le guerre e le ripercussioni legate all’oro nero non sono nuove – il mondo è stato più volte scosso da motivazioni connesse allo sfruttamento di detta risorsa energetica – ma i conflitti legati alla gestione di risorse d’acqua, per quanto potrebbero essere percepiti come ancora lontani, sono più attuali che mai. L’acqua, oltre ad essere fondamentale per la sopravvivenza ed il benessere dell’essere umano, è anche funzionale allo sviluppo socioeconomico degli Stati ed è per questo che l’accesso alle risorse idriche è divenuto fondamentale. Ed è soprattutto in un’area come quella del Medio Oriente – dove la disponibilità e l’accesso a fonti di acqua è limitata – che il controllo delle risorse idriche sta divenendo un’arma geopolitica molto importante sullo scacchiere delle potenze, come il caso del Tigri e dell’Eufrate ci dimostra.
Il Tigri, l’Eufrate e il progetto GAP
La Mesopotamia ha favorito per millenni lo sviluppo di civiltà grazie alla fertilità donata dall’inondazione dei fiumi Tigri ed Eufrate e dalle opere di irrigazione create dall’uomo. Entrambi i fiumi si originano nei territori dell’attuale Turchia, proseguono in Siria per poi congiungersi in Iraq e sfociare nel Golfo Persico. Essi costituiscono un’importante risorsa d’acqua per tutti i paesi rivieraschi che attraversano: di fatto, molti grandi interventi sono stati realizzati per il loro utilizzo strategico, soprattutto negli ultimi anni.
In questo quadro si inserisce l’enorme progetto turco nel sud-est dell’Anatolia, il GAP (Güneydoğu Anadolu Projesi). Questo progetto prevede la costruzione di 22 dighe e 19 centrali idroelettriche per la riqualificazione di un territorio caratterizzato da: rigide condizioni territoriali e climatiche, risorse idriche mal distribuite, terre aride, insufficienti servizi sociali, bassi livelli di reddito pro capite e modelli di migrazione “inusuali”.
La Turchia negli ultimi decenni è stata interessata da un forte sviluppo economico e sociale che ha generato un incremento del benessere della sua popolazione e, conseguentemente, del fabbisogno di energia.
È sorto così il progetto del GAP che, da un lato, doveva rispondere alla rapida crescita economica e demografica dell’intero paese e, dall’altro, doveva migliorare gli standard socioeconomici della regione interessata dalla sua presenza, attraverso la riduzione delle disparità e delle disuguaglianze con le altre regioni della Turchia.
Il GAP, quindi, potrebbe portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e del benessere dell’area e ad una maggiore efficienza in termini di produzione energetica prodotta a basso costo ed a basse emissioni.
A tutti questi benefici per il territorio e per la popolazione turca, tuttavia, si aggiunge una serie di risvolti sociali, politici, ambientali e culturali negativi.
Il GAP come motivo di tensione tra Stati
Lo sfruttamento dei due fiumi ha portato negli anni ad una serie di problematiche politiche e diplomatiche tra la Turchia e gli altri due paesi rivieraschi, Siria ed Iraq.
Fino agli anni ’60, le relazioni tra i paesi non erano influenzate da tensioni legate all’utilizzo delle acque, poiché le dimensioni dei progetti sviluppati sui due fiumi erano contenute e non prevedevano un utilizzo intensivo della risorsa idrica.
Le tensioni si inasprirono quando iniziarono i primi passi concreti verso la realizzazione di vari progetti idroelettrici in tutti e tre i paesi, come la costruzione della diga di Keban in Turchia, la diga di Tabqa in Siria – che con il riempimento del bacino del lago di Assad ha scatenato la collera dell’Iraq – ed il lancio ufficiale del GAP negli anni ’70, che vide l’inaugurazione della prima diga, Karakaya, alla fine degli anni ’80. Venne, dunque, creato un Comitato Tecnico Congiunto (JTC) per cercare di raggiungere un accordo per uno sfruttamento bilanciato di entrambi i fiumi tra i tre paesi. Inizialmente, al Comitato parteciparono solo Turchia e Iraq. La Siria si aggiunse solo in seguito, ma il lavoro del JTC non portò mai ad un risultato concreto.
Il primo accordo si ottenne solo a livello bilaterale nel 1987 tra Turchia e Siria, stabilendo un rilascio medio annuo di 16 miliardi di metri cubi di acqua alla Siria con una portata minima annua media di 500 m3/s. A questo seguirono una serie di altri accordi, tra i quali quello del 1990 tra Siria e Iraq nel quale i due paesi concordarono di ricevere rispettivamente il 42% e il 58% del flusso dell’Eufrate al confine turco-siriano.
Il completamento della diga di Atatürk nel 1990, fiore all’occhiello dell’intero progetto GAP nonché una delle dighe più grandi al mondo, fece riemergere diverse tensioni tra i paesi. La Turchia, infatti, per riempire il bacino della diga deviò l’Eufrate per circa un mese, causando una notevole riduzione della quantità ed il peggioramento della qualità dell’acqua diretta verso la Siria e l’Iraq.
A seguito dell’episodio, vennero inviate invano note minacciose alla Turchia per richiedere lo stop alla costruzione di altre dighe previste sul corso dei due fiumi, come quelle di Birecik e di Ilısu.
Al già complicato quadro rivierasco si aggiungeva anche la delicata questione della popolazione curda abitante l’area, che vide nella diga di Atatürk solo un tentativo di controllo e di pressione da parte di Ankara.
Per una serie di avvenimenti tra i quali la firma dell’accordo di Adana e la cattura del leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), gli attriti tra Turchia e Siria si affievolirono e negli anni a seguire diversi tentativi sono stati avviati tra i tre paesi per migliorare la cooperazione ed il coordinamento sulla gestione delle risorse idriche.
Al giorno d’oggi la strada si presenta ancora piena di ostacoli e la competizione sembra ancora all’ordine del giorno.
Il reinsediamento involontario e la questione curda
L’implementazione del progetto ha coinvolto inevitabilmente anche la popolazione dell’area composta principalmente da curdi e da altre minoranze etniche – come circassi ed arabi – e religiose.
La costruzione delle dighe ha causato la sommersione di tantissimi villaggi sulle sponde dei fiumi con il conseguente trasferimento e riallocazione massiccia degli abitanti costretti all’abbandono forzato della loro terra e del loro stile di vita.
Secondo i dati presentati da Bogumil Terminski nel libro ‘Development-Induced Displacement and Resettlement’, le dighe costruite nell’ambito del GAP su entrambi i fiumi hanno colpito quasi 400 villaggi ed insediamenti, per un totale di circa 200.000 persone.
Le maggiori opere che hanno causato il trasferimento della popolazione sono la diga di Atatürk (45.000-53.000), la diga di Karakaya (30.000) e la diga di Keban (25.000). Anche lo sbarramento di Birecik, costruita a circa 60 km dalla diga di Atatürk, ha costretto circa 6.000 persone a lasciare le loro case. Tra i 44 villaggi sommersi, troviamo anche l’antica città di Zeugma fondata intorno all’anno 300 a.C. che ha comportato la perdita di un immenso valore storico-culturale.
La recente costruzione della diga di Ilisu sul fiume Tigri è tra le più controverse: sono decine di migliaia, infatti, le persone costrette a lasciare i circa 200 villaggi curdi dell’area che verrà sommersa dal bacino della diga. Hasankeyf, la cui storia risale a circa 12 mila anni fa, tappa importante della Via della Seta e culla di numerose civiltà, è una delle città che sta scomparendo e che lascerà, insieme a Zeugma, un enorme vuoto nel patrimonio culturale.
Il trasferimento ed il reinsediamento della popolazione sono stati molto dibattuti. Da un lato, infatti, la costruzione della diga ha comportato un miglioramento delle condizioni abitative, dall’altro ha provocato un peggioramento in termini di accesso a beni e servizi pubblici così come alle opportunità di lavoro.
Tra gli aspetti negativi, uno dei principali è che non tutta la popolazione ha ottenuto una nuova abitazione: alcuni hanno percepito solo un risarcimento, al più delle volte molto esiguo; altri, invece, sono stati esclusi da ogni forma di compenso.
Sono stati rilevati anche problemi di reintegrazione dei reinsediati, la perdita delle abituali fonti di reddito dettate dagli usi locali e la perdita di identità culturale.
La questione curda è stata un’altra delle implicazioni del progetto turco, ripercuotendosi anche sulle relazioni con la Siria e l’Iraq, che hanno usato l’irredentismo curdo come arma contro le prepotenze della Turchia. Secondo molti, il GAP è stato pensato anche in funzione anti-curda come mezzo per combattere il PKK, soprattutto con l’arrivo di Erdogan. La Turchia in questo caso avrebbe utilizzato la sua posizione geografica ed il controllo sui due fiumi come merce di scambio per costringere la Siria e l’Iraq a sospendere ogni tipo di sostegno al PKK.
Altri, invece, sconsigliano una lettura troppo stretta della relazione tra il GAP come strumento di controllo e la minoranza curda. In questo caso, i progetti innovativi di sviluppo economico e sociale lanciati con il GAP sono letti come strumenti di inclusione concepiti per ridurre le ostilità.
Il risvolto ambientale
Si discute molto dei benefici economici e sociali che il GAP porterà con sé ma, come abbiamo visto, sono molti i risvolti negativi che spesso non vengono considerati. Le analisi costi-benefici della produzione di energia a basse emissioni spesso non prendono in considerazioni tutte le problematiche ambientali che le dighe, gli impianti idroelettrici e di irrigazione stanno creando.
Le maggiori problematiche riscontrate sono: l’inquinamento ed erosione del terreno, l’innalzamento delle falde acquifere, l’incremento delle temperature locali, diminuzione della biodiversità, l’aumento della salinità del suolo e della contaminazione dell’acqua e la diminuzione sostanziale della quantità e soprattutto della qualità delle acque che arrivano prima in Siria ed infine in Iraq, andando a destabilizzare ancora di più la delicata situazione presente nei paesi.
Una delle peggiori conseguenze dell’uso improprio delle attuali tecniche di irrigazione nell’area è l’aumento della quantità di sali nel terreno. La salinizzazione è causata dall’innalzamento delle falde sotterranee dovute all’irrigazione ed al conseguente ristagno idrico e/o al minore afflusso indotto dalle varie dighe che permettono all’acqua di sedimentare creando accumuli di sali.
L’aumento della salinità del terreno e dell’inquinamento dell’acqua stanno provocando la diminuzione della fertilità del terreno, danno origine a fenomeni di desertificazione e rendono quasi inutilizzabile l’acqua destinata al consumo umano ed all’agricoltura nei due paesi a valle.
Molti contadini sono stati costretti ad abbandonare le loro terre per spostarsi altrove, molti altri, invece, hanno dovuto abbandonare la coltivazione di prodotti locali, come il riso in Iraq, perché non più possibile.
Le crisi di Siria ed Iraq rischiano quindi di essere aggravate da fattori ambientali risolvibili con una gestione migliore della risorsa idrica.
Conclusioni
Il GAP potrebbe effettivamente portare benefici ad una zona sottosviluppata come quella del sud-est della Turchia, creando un modello di sviluppo non solo economico ma anche sociale. L’altra faccia della medaglia però presenta il conto salato degli interventi. Il progetto sta profondamente modificando la politica, la cultura e l’ambiente dell’area dando origine a fenomeni nuovi ed esacerbando dinamiche preesistenti.
Le ripercussioni si fanno sentire soprattutto sugli abitanti della zona e sulle popolazioni degli altri Stati che stanno pagando il conto più salato. A completamento dell’intero progetto è stimata una riduzione del 50% della portata del Tigri e dell’80% dell’Eufrate che potrebbe dar vita a fenomeni sempre più critici di erosione del territorio e di desertificazione, dannosi a livello ambientale e sociale.
Il controllo delle acque del Tigri e dell’Eufrate potrebbe rivelarsi un’arma da guerra non convenzionale: il potere di controllo del flusso delle sue acque potrebbe giocare, infatti, un ruolo molto importante nel predominio dei suoi vicini e delle minoranze considerate pericolose nel paese.
È così che iniziano a presentarsi quelli che potrebbero essere i conflitti del futuro, con una crescita sempre più importante della popolazione mondiale, il fabbisogno idrico in costante ed esponenziale aumento e le risorse che diminuiscono, l’oro blu potrebbe fare più vittime e più danni delle guerre per le risorse energetiche alle quali abbiamo assistito sinora.
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- Claudia Rosatihttps://migrazioniontheroad.largemovements.it/author/claudia-rosati/
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