Il Senegal è un Paese che presenta un quadro nazionale eterogeneo sia dal punto di vista etnico che da quello linguistico e religioso. Come molte altre nazioni limitrofe, in Senegal convivono diverse popolazioni che praticano diverse fedi e parlano diversi idiomi. L’etnia dominante è la Wolof, seguita dai Fula e dai Sérèr e da altre popolazioni ancora. La religione più diffusa invece è l’Islam, praticato da circa il 95% della popolazione, segue poi il Cristianesimo (5%) mentre il resto della popolazione pratica alcune forme di animismo che, rifacendosi ad una radicata tradizione prettamente africana, permeano in realtà anche le fedi dominanti importate dall’esterno, originando un sincretismo religioso islamico e cristiano. Ogni popolo, inoltre, ha una sua lingua e la lingua ufficiale del Paese è il francese (uno dei lasciti del colonialismo). Eterogeneo, dunque, è il modo migliore per descrivere la situazione in Senegal, ma qui più che in altri paesi queste differenze interne trovano il modo di mescolarsi e mischiarsi tutto sommato armoniosamente, soprattutto rispetto ad altre controparti del Continente che presentano condizioni sociali e antropologiche simili. In una realtà come questa in cui Islam e Cristianesimo convivono pacificamente, dove popoli e lingue diversi sono comunque legati l’un l’altro da rapporti di cousinage (“cuginanza”, un legame vero e proprio avvertito dai cittadini senegalesi) ci si può aspettare un atteggiamento disteso nei confronti delle minoranze sessuali. Tuttavia non è esattamente così e le persone queer in Senegal sperimentano comunque discriminazione, oppressione e marginalizzazione all’interno della società.
Quadro Legislativo e Impatto nella Società Civile
L’articolo 319 del Codice Penale Senegalese legifera in materia di omosessualità. Nello specifico, l’articolo stabilisce una pena da 1 a 5 anni di carcere e una multa da 100.000 a 1.500.000 franchi per chiunque commetta un “atto contro natura con un individuo dello stesso sesso”. Inoltre, sempre secondo quanto stabilito dal Codice, il massimo della pena verrà sempre applicato se l’atto viene commesso con una persona al di sotto dei 21 anni. Con una premessa del genere è naturale che in Senegal non esista alcun riconoscimento per le coppie omosessuali (né matrimonio egualitario, né unioni civili), mentre, sebbene le regole in materia di adozioni non esprimano un chiaro divieto per le coppie formate da individui dello stesso sesso (rendendo quindi la pratica, sulla carta, possibile), è chiaro che tale diritto non venga in alcun modo goduto dagli stessi nel Paese. Mancano, inoltre, leggi che tutelino le minoranze sessuali criminalizzando l’intolleranza ed i crimini d’odio che spesso subiscono le persone LGBTQ+ senegalesi.
Alla luce di un tale quadro legislativo, il Senegal negli ultimi anni ha ricevuto pressioni internazionali per abrogare la normativa discriminatoria e mettere in atto politiche di tutela per la comunità LGBTQ+. Fra gli attori internazionali che hanno spinto per questo cambio legislativo ci sono le Nazioni Unite, Amnesty International e l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama che nel giugno 2013, in visita in Senegal, invitò i paesi africani a concedere diritti alle persone omosessuali.
In tutta risposta, il Presidente del Senegal, Macky Sall, rieletto di recente alle presidenziali del 2019, rispose che il Paese “non è ancora pronto a decriminalizzare l’omosessualità” aggiungendo tuttavia che questo non faceva del Senegal un paese omofobo e che anzi si qualificava come uno Stato piuttosto tollerante per le persone omosessuali e transessuali. La risposta del Capo di Stato al Presidente statunitense fu accolta dai giornali con gioia e lodi per il Presidente Sall, dimostrando che quanto da lui sostenuto non era esattamente vero. Il Senegal, infatti, rientra fra i 31 Paesi africani che criminalizzano i rapporti consensuali fra individui dello stesso sesso. La normativa inoltre è largamente applicata ed è molto lontana da essere lettera morta e, anzi, è spesso utilizzata come pretesto legislativo per arresti arbitrari, violenze ed altre violazioni dei diritti umani ai danni della comunità LGBTQ+ senegalese che, è certo, non ha assolutamente vita facile all’interno del Paese, checché ne dica il suo più alto rappresentante.
Percezione e Status Sociale
Le persone queer senegalesi, infatti, sono costrette a vivere la loro condizione in clandestinità, nell’impossibilità di esprimersi liberamente col rischio di incorrere in pene giudiziarie molto gravi, nel migliore dei casi, od in violenze e privazioni delle libertà fondamentali nel peggiore.
Secondo un sondaggio del 2013 del Pew Research Center di Washington, in Senegal il 97% della popolazione ritiene che l’omosessualità sia inaccettabile per la società, confermando una tendenza riscontrata dallo stesso istituto in un sondaggio simile nel 2007. L’origine di questa intolleranza risiede, in parte, sicuramente nella cultura religiosa del Paese, composta per la maggioranza da musulmani sunniti e, in piccola parte, da confessioni cristiane. L’Islam ed il Cristianesimo, sebbene abbiano tradizioni antichissime nel Paese, sono religioni d’importazione che si sono stabilite su un substrato animista tipico delle regioni africane già presente in principio – e che ancora sopravvive nel sincretismo religioso che si è originato in Senegal – ed in veri e propri culti animisti che ancora sopravvivono in alcune zone del paese e presso alcune popolazioni. Quando queste due fedi ora dominanti si sono incontrate con le credenze animiste, hanno soppiantato alcuni dei valori insiti a quel credo e li hanno sostituiti con nuovi. Fra questi ci sono sicuramente il binarismo di genere, la disparità fra i sessi e la sacralità e l’istituzionalizzazione delle relazioni eterosessuali, concetti cardine che regolano i rapporti fra fedeli islamici e cristiani, mentre è noto che le religioni animiste siano molto meno legate a certi modi d’intendere le relazioni fra persone, l’identità di genere e la sessualità (non è raro, infatti, che le figure religiose di riferimento di certi culti animisti non pratichino per forza relazioni eterosessuali).
La posizione ufficiale del governo senegalese è che l’omosessualità in sé non sia reato, solo gli atti ritenuti contro natura fra persone dello stesso sesso e questo basterebbe a rendere il Paese tollerante. Così non è, in realtà. Lo provano le numerose violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni di molti cittadini senegalesi, violazioni che si sono verificate non soltanto quando i protagonisti si trovavano in flagranza di reato, ma anche basandosi su voci, pettegolezzi o sul mero sospetto che qualcuno potesse appartenere alla comunità LGBTQ+ senza una prova effettiva, come denunciato nel rapporto del novembre 2010 di Human Rights Watch “Fear of Life: Violence against Gay Men and Men Perceived as Gay in Senegal”. La popolazione civile è la prima a perpetrare certe violenze, anche internamente al proprio nucleo familiare (nel 2012 una coppia di uomini fu brutalmente picchiata dai familiari di uno dei due che li aveva scoperti a letto insieme), sotto lo sguardo disattento e neanche troppo celatamente compiaciuto delle autorità. Queste ultime, anzi, sono spesso responsabili per le discriminazioni e le brutalità commesse ai danni di cittadini LGBTQ+. Nel corso degli anni, infatti, diverse violazioni dei diritti umani da parte delle forze dell’ordine senegalesi sono state portate all’attenzione della comunità internazionale, grazie al lavoro di testate giornalistiche e ONG, che hanno denunciato come in Senegal le persone queer affrontino ogni giorno una discriminazione diffusa nei loro confronti. Discriminazione figlia dell’intolleranza sociale di cui soffrono e che spesso sfocia in arresti arbitrari e violenza, come denunciato in più rapporti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite.
In questo clima di aperta avversità, per usare un eufemismo, nei confronti della comunità LGBTQ+ si segnala un totale disinteresse dei media nei confronti delle violenze subite dagli individui che non fa altro che scoraggiare la situazione. La stampa e gli altri mezzi di diffusione delle notizie, infatti, difficilmente coprono episodi di cronaca riguardanti crimini d’odio ai danni delle minoranze sessuali e anzi contribuiscono ad alimentare lo stigma della popolazione nei loro confronti, come affermato da un rapporto del 2011 del Panos Institute of West Africa. Alla luce di tutto ciò, non sorprende che nel maggio di quest’anno centinaia di manifestanti si siano riversati a Dakar per chiedere pene più severe (fino a 10 anni di reclusione) per le persone LGBTQ+, raccogliendo l’appello del collettivo islamico And Samm Jikkoyi, con tanto di falò di bandiere arcobaleno per le strade.
È in queste condizioni così avverse e sgradevoli che si sviluppa il lavoro degli attivisti senegalesi per le persone LGBTQ+. Non è un lavoro semplice la lotta per i diritti in un Paese che criminalizza apertamente i rapporti omosessuali e questo lo sanno bene Djamil Bangoura, fondatore nel 2003 dell’associazione Prudence, e Diadji Diouf, a capo di AIDES Senegal, che vivono in Senegal da uomini apertamente omosessuali e per questo continuano ad affrontare minacce alla loro vita ed alla vita delle loro associazioni che a più riprese sono state attaccate nel corso degli anni, costringendo i suoi attivisti (primi fra tutti Bangoura e Diouf) alla clandestinità ed a cambiare di volta in volta e periodicamente il proprio indirizzo e quello delle loro associazioni.
Alla loro voce si unisce orgogliosamente quella di Large Movements nel tentativo di fare luce sulle ingiustizie che si verificano giornalmente in Senegal e amplificare il loro grido per i diritti fondamentali che ogni essere umano in quanto tale possiede fin dalla nascita, ovunque.
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