Le persone LGBTQ+ in Etiopia sono oggetto di discriminazione dalla maggioranza della popolazione etiope. L’attività omosessuale, da intendersi come l’atto della sodomia e più in generale l’attività sessuale fra individui dello stesso sesso praticata a fini non riproduttivi, sia maschile che femminile rappresenta un reato per il quale è prevista la reclusione ma non la pena capitale. La criminalizzazione e l’oppressione della comunità LGBTQ+ etiope sono dovute a fattori storici, culturali e religiosi che risalgono a ben prima dell’attuale regime repubblicano. Sebbene negli ultimi anni siano nate diverse associazioni, sia all’interno del paese sia all’estero – grazie agli sforzi di attivisti espatriati -, che portano avanti le istanze della comunità LGBTQ+, la tolleranza e l’accettazione da parte di tutta la società etiope sono traguardi che sembrano ancora lontani.
Quadro Legislativo ed impatto nella società civile
Il codice penale etiope disciplina in tre articoli il reato di omosessualità, sia maschile che femminile, nello specifico si fa riferimento agli articoli 629-631.
L’articolo 629, stabilisce che chiunque pratichi un “atto omosessuale o qualsiasi altro atto indecente” è punibile con un periodo di reclusione.
Gli articoli successivi stabiliscono l’ammontare di questo periodo di reclusione sulla base di aggravanti che, a seconda della situazione in cui si è verificato l’atto incriminato e delle persone coinvolte, prevedono non meno di un anno di reclusione fino a un massimo di 25 anni. La pena è lievemente ridotta se i soggetti interessati sono donne.
Nello specifico, l’articolo 630 stabilisce la reclusione:
- Per un periodo mai inferiore a un anno.
- Fino a 10 anni se:
- Chi pratica l’atto approfitta delle difficoltà fisiche o psicologiche dell’altro o se sfrutta l’autorità di cui gode in virtù del suo ruolo (di tutore, insegnante, datore di lavoro etc.) per indurre l’altro a trasgredire.
- Chi pratica l’atto ne fa il suo mestiere in violazione dell’articolo 92 del Codice Penale Etiope.
- Dai 3 ai 15 anni se:
- L’atto è praticato attraverso l’uso di violenza, intimidazione, coercizione, inganno o truffa o se chi pratica l’atto approfitta dell’incapacità dell’altro di opporre resistenza.
- Chi pratica l’atto coinvolge l’altro in episodi di sadismo, crudeltà o se gli trasmette coscientemente una malattia venerea.
- Chi pratica l’atto spinge l’altro al suicidio causato dalla “sofferenza, vergogna o disperazione.”
L’articolo 631 disciplina l’occorrenza del reato quando sono coinvolti i minori d’età e prevede la reclusione:
- Dai 3 ai 15 anni se il minore ha dai 13 ai 18 anni.
- Dai 15 ai 25 anni se il minore ha meno di 13 anni.
- Fino a 10 anni se il reato avviene fra una donna e una minorenne.
- A vita se il minore subisce danni fisici o psicologici, o se il minore viene condotto al suicidio in seguito.
Il Codice Penale Etiope, nel trattare questa disciplina, utilizza una terminologia molto forte nella quale le persone omosessuali sono definite come “il criminale” o “la vittima”, escludendo dunque la possibilità che “l’atto omosessuale” si verifichi nel pieno consenso delle persone coinvolte. Va inoltre notato come le donne siano appena menzionate.
Con queste premesse, dunque, è possibile affermare che l’attuale quadro legislativo dell’Etiopia non prevede alcun tipo di garanzia per i membri della comunità LGBTQ+, al contrario è direttamente co-responsabile della sua discriminazione.
Matrimonio egualitario, adozione di minori per coppie LGBTQ+, servire nell’esercito vivendo apertamente la propria sessualità e cambiare il genere legale sono tutte pratiche attualmente proibite dall’ordinamento etiope. Tuttavia, nonostante un quadro legislativo così avverso alla comunità LGBTQ+, figlio di una società profondamente lontana dall’accettazione di queste individualità, è da menzionare l’iniziativa del governo etiope che, nel cancellare un raduno anti-gay, ha fortemente respinto la richiesta (avanzata da associazioni religiose del paese) di inasprimento della pena per il reato di omosessualità. La classe religiosa etiope infatti, ha richiesto che venisse prevista la pena di morte per tutti coloro che fossero stati riconosciuti come membri della comunità LGBTQ+.
Questo atteggiamento da parte delle istituzioni però, non ha contribuito a cambiare la mentalità della società civile. Si registrano infatti, atti di aggressione di qualsiasi tipo ai danni della comunità LGBTQ+. L’oppressione subita prende molte forme: dal tentativo di sabotaggio di un seminario sull’educazione sessuale nel 2011, ai pedinamenti, agli interrogatori cui le persone omosessuali e quelle transessuali sono state sottoposte fino a subire, presumibilmente, abusi fisici (come riportato in questo report del 2013 del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti), per terminare con gli arresti di persone LGBTQ+ incarcerate con la sola colpa di vivere la loro vita. Purtroppo però, i numeri sono da intendersi superiori rispetto a quelli riportati, per via dei fondati timori che vivono i membri della comunità LGBTQ+ etiope di subire ulteriori ritorsioni e violenze nel caso presentassero denuncia.
Percezione e Status sociale
L’Etiopia è un paese caratterizzato da un contesto demografico estremamente eterogeneo e frammentato. Una condizione che spesso genera conflitti interni e forti divisioni. In questo contesto, la condizione delle persone LGBTQ+ risulta, tuttavia, ancora più drammatica considerata l’aperta opposizione e delle istituzioni e della società civile.
Gli appartenenti alla comunità LGBTQ+, infatti, subiscono un forte stigma in Etiopia, dove “omosessualità” diventa spesso sinonimo di pedofilia, violenza sessuale e abusi su minori.
Che si faccia riferimento a regioni a maggioranza islamica o di religione cristiano-ortodossa, l’omosessualità è comunque vista come un grave atto peccaminoso.
Come abbiamo accennato in precedenza, le associazioni religiose si sono espresse apertamente contro l’omosessualità, accostando la sodomia e l’attività omosessuale all’Anticristo ed alla fine dei tempi. La condizione delle persone LGBTQ+ non è che peggiorata con l’aumento dei contagi di HIV che ha interessato l’Etiopia negli anni ’80 e’90 aggiungendo al già largamente presente stigma religioso, anche quello legato alla malattia.
Quando la matrice non è religiosa, la discriminazione è favorita da fattori culturali per i quali le istanze portate avanti dalla comunità LGBTQ+ vengono recepite dalla popolazione etiope come un qualcosa di direttamente importato dai paesi occidentali e che consiste in un atto meschino e immorale.
Non sorprende dunque che, secondo un’indagine condotta nel 2007 dal Pew Research Center di Washington il 97% della popolazione etiope ritiene che l’omosessualità sia una condotta che la società dovrebbe rifiutare.
Nonostante l’atteggiamento apertamente avverso da parte della società civile e delle istituzioni religiose, negli ultimi anni l’Etiopia ha visto nascere diverse realtà associative, la maggior parte delle quali online, che lottano per le libertà d’espressione e affinché tutele costituzionali vengano garantite per la comunità LGBTQ+. Tuttavia, nell’impossibilità di condurre queste lotte alla luce del sole, la rete rimane l’unico mezzo a disposizione totalmente sicuro.
Ai loro sforzi si uniscono quelli di altri cittadini etiopi espatriati che attraverso l’attivismo online e attività di advocacy promuovono il liberalismo e l’emanazione di leggi che combattano la discriminazione. Fra di loro va sicuramente menzionato Beki Abi, co-fondatore del DANA Social Club, una delle prime associazioni etiopi a promuovere i diritti LGBTQ+ e a fornire informazioni e assistenza, che a seguito della sua esperienza di attivismo è dovuto emigrare a Londra, mentre altri membri meno fortunati del collettivo hanno affrontato processi sulla base di false accuse. Per quanto riguarda l’attivismo online, House of Guramayle promuove attività di sensibilizzazione sulla condizione delle persone LGBTQ+ in Etiopia con una presenza online notevole e profili social sempre aggiornati. Inoltre, fra le realtà associative che si trovano in prima linea nel territorio etiope troviamo: Frontline Aids, impegnata nella promozione di diritti sessuali e riproduttivi nonché nella lotta all’HIV, Protectdefenders.eu, per il supporto e la difesa dei difensori di diritti umani in Etiopia e Dignity for All, un programma di protezione atto anch’esso a tutelare gli attivisti LGBTQ+ in Etiopia e le associazioni della società civile che per la loro attività di advocacy subiscono minacce e attacchi.
Se è innegabile che la tolleranza e l’accettazione sono traguardi che sembrano ancora lontani in Etiopia, è altrettanto vero che la strada da percorrere per raggiungerli è lastricata dall’impegno e dal coraggio di queste persone che persino in un contesto tragicamente avverso come quello etiope non rinunciano a combattere per il diritto di essere se stessi.
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