Nei nostri articoli precedenti abbiamo parlato delle condizioni della comunità LGBTQ+ in Kenya e delle violazioni dei diritti umani che avvengono all’interno del campo profughi di Kakuma.
Abbiamo poi raccolto la testimonianza di J, il primo caso del nostro approfondimento sulle violazioni di diritti umani all’interno di Kakuma, e la testimonianza di A, donna lesbica ospite di Kakuma.
Proseguendo, dunque, l’inchiesta che Large Movements APS sta portando avanti insieme ad International Support Human Rights, in questo articolo analizzeremo la situazione specifica di G., nome di fantasia di un ragazzo LGBTQ+ di Kakuma con il quale abbiamo avuto modo di parlare.
Come riportato nei casi precedenti, anche G. ha dichiarato di aver lasciato il suo Paese d’origine in seguito alle diverse aggressioni subite a causa della sua sessualità e di aver cercato rifugio nel vicino Kenya. La speranza di poter vivere lontano dalla paura e dalle violenze subite in quella che un tempo chiamava “casa”, è stata la sua bussola che lo ha guidato lungo il suo viaggio, ma la vita a Kakuma si è rivelata molto più terribile di quanto potesse immaginarsi.
La breve permanenza a Kakuma
G. è un cittadino ugandese. È fuggito dal suo Paese quando la vita in patria era diventata insopportabile dopo diverse aggressioni subite a causa della sua sessualità. È arrivato a Kakuma nell’aprile 2020 ed è ripartito un anno dopo, nell’aprile 2021, quando le condizioni di vita all’interno del campo erano diventate molto rischiose, essendosi trovato a vivere numerosi attacchi violenti, insieme a tutta la comunità LGBTQ+ di Kakuma: è stato quasi dato alle fiamme nel maggio del 2020 ed hanno cercato di avvelenarlo due volte. Non sorprende quindi che G. descriva le condizioni all’interno del campo di Kakuma come “orribili”.
La negligenza della polizia e dello staff UNHCR
G. ha dichiarato di aver denunciato alla polizia e al personale dell’UNHCR ogni volta che è stato oggetto di un’aggressione. Tuttavia, tutte le e-mail che ha scritto sono state ignorate al punto che nell’aprile 2021 è stato costretto a fuggire per salvarsi la vita dopo essere sopravvissuto all’ennesima aggressione.
Ci ha inoltre riferito che al suo arrivo è stato scelto come portavoce delle persone LGBTQ+ a Kakuma. Ed è proprio per questo suo stretto contatto con le altre persone all’interno del campo che può assicurare che ogni persona queer che conosce ha sperimentato la stessa negligenza da parte delle autorità e del personale dell’UNHCR.
Intimidazioni, minacce e detenzioni arbitrarie sono mezzi spesso usati per opprimere la comunità LGBTQ+ a Kakuma e costringerla al silenzio, tanto che G. afferma che molti rapporti dell’UNHCR dal Kenya condividono informazioni e dati che non sono affatto affidabili né vicini alla verità del campo, perché tali informazioni sono il risultato dell’uso della forza sui rifugiati LGBTQ+, confermando che Kakuma non è un luogo sicuro per le persone queer e che queste hanno bisogno e meritano protezione internazionale e di essere trasferite il prima possibile.
La discutibilità della gestione dei ricollocamenti
Anche la gestione dei ricollocamenti è discutibile. I ricollocamenti sono così importanti per le persone LGBTQ+ di Kakuma perché, innanzitutto, danno loro speranza. La speranza di vivere e amare liberamente, di essere la persona che sono e di diventare membri produttivi della società. Soprattutto, il ricollocamento significa libertà e sicurezza per G. e per coloro che a Kakuma vivono ancora oggi nella paura, incapaci di muoversi liberamente anche quando vengono attaccati. Anche se G. non ne ha mai fatto richiesta, in quanto secondo lui un trasferimento era implicito nella sua domanda di asilo, dato che il Kenya è un Paese ostile per le persone queer, ci ha raccontato come è stata gestita la situazione dei ricollocamenti mentre si trovava nel campo: all’inizio, l’UNHCR ha detto loro che c’erano pochi posti disponibili per il reinsediamento e che non erano in grado di trasferirli tutti. Poi, col pretesto dell’emergenza sanitaria da Covid-19, hanno ritardato i trasferimenti ma dallo scoppio della pandemia i ricollocamenti non sono ancora avvenuti. Inoltre, i ricollocamenti sono stati usati come arma dal governo keniota e talvolta dal personale dell’UNHCR contro i membri più attivi e vocali della comunità LGBTQ+ che hanno cercato di denunciare le violazioni che avvenivano nel campo. Sostanzialmente, coloro che cercavano di denunciare le condotte gravissime a Kakuma, come G., sono stati minacciati di non essere mai trasferiti. Nel giugno 2021, dopo la morte dell’attivista 22enne Chriton Atuhwera nel campo di Kakuma avvenuta due mesi prima, G. e le persone LGBTQ+ all’interno del campo hanno lanciato una petizione all’UNHCR chiedendo protezione e di essere trasferiti. Gli agenti dell’UNHCR hanno risposto con intimidazioni a coloro che volevano aderire alla petizione, dicendo che sarebbero stati rimpatriati se avessero firmato. “Non si tratta solo di stare zitti, ma loro sono stati proattivi nel mettere a tacere la comunità LGBTQ+”, ha affermato in merito G.
Se ti è piaciuto l’articolo, condividi!
Giuseppe Antonio Mura
-
This author does not have any more posts.