Sabato 26 marzo 2022 resterà nei ricordi dei salvadoregni come la giornata più violenta degli ultimi venti anni. In poche ore, in El Salvador sono stati riportati 62 omicidi in tutto il territorio nazionale.
Per far fronte alla grave emergenza, il 27 marzo l’Assemblea Legislativa ha approvato il Regime di Eccezione, su iniziativa del Presidente Nayib Bukele espressa nel Consiglio dei ministri. Questo Regime sarebbe dovuto durare per un periodo di trenta giorni ma è stato rinnovato di mese in mese ed è tutt’ora in vigore.
Attraverso questo Decreto, sono state sospese le garanzie costituzionali tipiche di una società realmente democratica quali: la libertà di associazione e di riunione (art. 7 della Costituzione della Repubblica, p. 2-3); il diritto all’informazione (art. 7 della Costituzione della Repubblica, p. 2-3); il diritto all’informazione sui motivi della detenzione e della difesa (art. 12 inc. 2 Cn, p. 3); il limite di 72 ore alla detenzione amministrativa (art. 13 inc. 2 Cn, p. 3-4) e l’inviolabilità della corrispondenza e delle telecomunicazioni (art. 24 Cn, p. 5).
Per provare a capire come si è arrivati a questa rapida escalation degli eventi, è necessario fare una panoramica degli attori coinvolti.
LE MARAS SALVADOREGNE
Le origini di questi gruppi criminali organizzati risalgono alla fine del conflitto civile culminato con la firma degli Accordi di Pace nel 1992. A pochi anni dall’abbandono della violenza come mezzo politico, il governo statunitense, che aveva assunto un ruolo centrale nel conflitto salvadoregno, avviò una politica di deportazione dei criminali verso i loro Paesi di origine.
I membri delle bande californiane rientrati così in Salvador, portarono con loro i modelli organizzativi tipici della criminalità statunitense e questi inevitabilmente finirono per influenzare i gruppi criminali qui presenti, trasformandoli in un fenomeno più organizzato, complesso e violento. Le nuove bande, note come “maras” o “pandillas”, crebbero rapidamente segnando profondamente il periodo postbellico in El Salvador.
La violenza legata al fenomeno della mara salvadoregna scorre in quattro direzioni: la guerra tra bande rivali, la violenza delle bande contro le comunità, la violenza dello Stato verso le maras e le risposte violente di queste verso lo Stato.
Abitare in un determinato territorio definisce l’appartenenza ad una pandilla piuttosto che ad un’altra, anche se si tratta di pochi isolati di distanza. Questi spazi sono fuori dal controllo statale e qui si sviluppa la vita criminale salvadoregna. L’accesso alle zone è controllato e limitato a certi orari del giorno, scanditi da un rigido coprifuoco. La popolazione che vive in queste zone è costretta a pagare le continue estorsioni che alimentano economicamente il fenomeno delle maras. Questo potere coercitivo che si è affermato incontrastato, unito alla violenza ed alle continue minacce, costringe migliaia di persone ad abbandonare il proprio quartiere, la propria città od il proprio Paese.
L’innegabile impatto che le pandillas hanno sulla vita quotidiana del Salvador ha significato, nell’arco degli anni, un periodico tentativo di negoziazione condotto dal governo con l’obiettivo di contrastare il fenomeno.
APPROCCIO DEI GOVERNI PRECEDENTI
Le istituzioni pubbliche affrontano il problema su base quotidiana, senza però esser riusciti finora a risolverlo definitivamente.
Nel 2003, quando c’era al governo il Partito ARENA – di orientamento nazionalista, conservatore e neoliberista – fu introdotta per la prima volta la repressione come strategia per eliminare le maras. Così, per i successivi cinque anni, furono incarcerati i principali esponenti dei gruppi criminali. La reazione politica causò, oltre al sovraffollamento dei penitenziari, una forzata ridistribuzione dei poteri all’interno delle bande criminali che, proprio da dentro le carceri, riformarono il loro sistema interno, fino addirittura a potenziarlo.
Nel 2011, il primo governo del FMLN – attuale partito politico di sinistra, ispirato al rivoluzionario Augustin Farabundo Martì, ex guerrigliero nel conflitto terminato nel 1992 – ha sperimentato un nuovo approccio per affrontare il problema delle maras: una sorta di distensione che ha compreso, tra i vari interventi, anche il trasferimento dei leader in carceri di minore sicurezza a fronte di un impegno degli stessi affinché il tasso di omicidi perpetrati dai loro affiliati diminuisse. Sebbene questa tregua promossa dall’allora partito al governo abbia effettivamente portato ad una riduzione esponenziale e mai vista prima del numero di omicidi in Salvador, non è mai stata accettata dall’opinione pubblica e dall’establishment politico – compresi alcuni funzionari e leader dello stesso FMLN. Diffidenza giustificata anche dal fatto che i politici che avevano promosso questa strategia, non hanno mai chiarito del tutto il ruolo effettivo del governo in questo accordo con le maras, fugando così una volta per tutti i dubbi circa la totale trasparenza e bonarietà dell’operazione.
Nel 2014 un altro cambio di governo ha riportato le pandillas nelle prigioni di massima sicurezza, attribuendo loro lo status di organizzazioni terroristiche. La risposta di questi gruppi criminal non si è fatta attendere. Il 2015 infatti, è stato contraddistinto da grandi violenze e da omicidi, soprattutto di poliziotti e militari salvadoregni.
A loro volta, la polizia ed i militari hanno cominciato ad adottare strategie sempre più tipiche di un Paese in guerra, arrivando ad perpetrare procedure di controllo del territorio non completamente legali.
NAYIB BUKELE E LA GUERRA CONTRO IL TERRORISMO
Le elezioni presidenziali del 2019 vedono vincere Nayib Bukele, candidato indipendente del partito Nuevas Ideas – partito promotore di un conservatorismo sociale diametralmente opposto al sistema politico che si era affermato fino a quel momento tra i partiti in precedenza menzionati. La schiacciante vittoria, conquistata anche grazie alla promessa di combattere duramente la violenza delle maras, ha permesso a Bukele di cambiare la politica salvadoregna dall’interno, attuando riforme economiche – molto famosa, anche e soprattutto per le critiche che ha attirato sulla sua presidenza, è quella relativa ai Bitcoin – ma anche giudiziarie ed afferenti al settore della sicurezza nazionale.
Nello scorso 2021, in occasione del debutto della nuova Assemblea Legislativa, Bukele ha ordinato la destituzione di cinque magistrati della Camera costituzionale e del procuratore generale, tramite quello che è stato definito un “Autocolpo di Stato”. Al loro posto sono stati inseriti funzionari di fiducia di Nuevas Ideas.
In generale, le strategie politiche intraprese finora da Bukele si sono dimostrate imprudenti, avventate e caratterizzate da un forte stampo autoritario – che si estremizza ancor di più ogni giorno a causa dell’inesistenza di un’opposizione in grado di contrastare le scelte governative. Due dati concreti che esplicano alla perfezione la situazione politica autoritaria attuale sono che:
- in soli due anni, le spese militari sono raddoppiate
- lo scorso settembre 2021, la più alta corte di El Salvador ha stabilito che il Presidente può ricoprire due mandati consecutivi, aprendo la strada ad una possibile rielezione di Bukele nelle elezioni del 2024
LO STATO DI ECCEZIONE IN EL SALVADOR…
Sebbene pubblicamente il Presidente condanni categoricamente le maras salvadoregne, ha negoziato con loro in gran segreto e poi ha fatto in modo che, con la connivenza delle Autorità carcerarie, venisse insabbiato tutto.
Tornando ai fatti dello scorso 26 marzo – quando in due giorni sono stati assassinati circa 87 membri delle bande criminali – per dare una risposta governativa immediata, Bukele ha convocato l’Assemblea Legislativa facendo così approvare dalla stessa lo stato di eccezione per 30 giorni (poi esteso ed attualmente in vigore) che consiste ne:
- la sospensione della possibilità di riunirsi;
- la possibilità di intercettare le comunicazioni e la corrispondenza della popolazione senza necessità di ottenere anticipatamente l’autorizzazione del Tribunale;
- la possibilità per le Autorità – militari e di polizia – di trattenere per 15 giorni chiunque venga ritenuto un sospettato.
Dalla firma degli Accordi di pace del 1992, non risulta che sia mai stata adottata una misura così restrittiva delle libertà individuali della popolazione. L’unico “simil precedente” che si può ravvisare nelle politiche salvadoregne, infatti, è il Decreto Speciale emesso durante la pandemia per limitare, tra l’altro, il diritto al libero transito.
A rendere ancor più infuocato il clima, che sta acquistando sempre più le sembianze di una guerra civile, vi sono le risultanze di un’importantissima inchiesta giornalistica. Il pool ha rivelato che l’ondata di omicidi senza precedenti che ha insanguinato per due gironi le strade del Salvador, sia stata scatenata da una presunta violazione di un patto tra il governo e la banda Mara Salvatrucha (MS13). Sul punto però, il governo del Presidente Bukele non ha ancora chiarito la situazione. Nel frattempo, le organizzazioni nazionali e internazionali denunciano che, durante il periodo di vigenza del regime d’eccezione, vengono commesse una serie di violazioni dei diritti umani, incluso l’arresto arbitrario da parte delle forze di sicurezza: ad oggi infatti, sono più di 43 mila le persone in stato di detenzione per effetto dell’applicazione di questo regime.
Come se non bastasse, il Presidente ha dichiarato che il regime d’eccezione verrà prorogato fino a quando sarà necessario, definendolo la “chemioterapia per eliminare il cancro delle maras dal Paese”.
Tre aspetti spaventano in questa situazione di tensione:
- la grande quantità di arresti di massa e condotti del tutto arbitrariamente e, spesso, usando la forza dalla polizia e dai militari. Le stime parlano di circa 3 mila casi di arresti arbitrari che, a seguito dell’abolizione introdotta dal regime d’eccezione del limite di 72 ore alla detenzione amministrativa, possono costringere in carcere per giorni, forse mesi, persone innocenti;
- la durata incerta del regime d’eccezione. Il Presidente ha recentemente dichiarato che “evidentemente il regime d’eccezione è d’eccezione, non durerà per sempre” e “non ci aspettiamo che duri un decennio, ma nemmeno che venga rimosso in due, tre mesi prima che la guerra contro le bande sia finita”. Vedendo i primi risultati concreti in termini di dissenso sociale e di violazioni dei diritti umani direttamente connessi allo stesso infatti, più questo regime sarà in vigore più si rischia di andare verso la rivolta civile di una popolazione già grandemente provata dagli effetti sociali ed economici della pandemia
- la tenuta del tessuto sociale salvadoregno nell’immediato futuro. Il carcere, infatti, si è dimostrato essere un luogo di radicalizzazione delle organizzazioni criminali salvadoregne, per cui potrebbe non rappresentare la soluzione più idonea a contrastare la diffusione della violenza nel Paese, oltre a comportare la detenzione di persone innocenti data l’arbitrarietà della strategia. Per di più, si sta configurando la necessità di trovare fonti alternative per sostenere il massiccio aumento dei fondi destinati alle forze armate ed alla difesa realizzato a seguito dell’adozione del regime d’eccezione. Questo minaccia ancor di più la tenuta sociale ed economica dell’interno Salvador.
… E LE CONSEGUENZE SULLA POPOLAZIONE
Con il regime d’eccezione è stato adottato anche un meccanismo di censura molto rigido, il che non permette di poter stilare delle stime precise sull’impatto concreto sulla popolazione salvadoregna delle misure straordinarie adottate dal governo.
La ONG Cristosal nel suo Report di informazione sullo status di rispetto dei diritti umani menziona, tra le varie violazioni: arresti arbitrari, condizioni disumane dentro le carceri che hanno causato almeno 40 morti (alcune di queste presentavano i segni tipici delle esecuzioni extra-legali), tortura e maltrattamenti da parte delle forze armate. La ONG lancia inoltre un messaggio alla comunità internazionale: El Salvador sta creando uno scenario favorevole alla perpetrazione di crimini contro l’umanità, in conformità con gli standard stabiliti dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
Conseguenza diretta di questo nuovo clima che potremmo definire “simil-dittatoriale” è l’aumento esponenziale della migrazione, sia interna che extra-frontaliera. Nonostante la mancanza di registri che monitorino i flussi, la stessa Cristosal, ha raccolto il seguente dato che deve però essere letto come una stima al ribasso: sono almeno 85 le persone che sono state costrette a migrare internamente tra il 26 marzo ed il 15 giugno 2022.
In aumento sono anche i giovani che abbandonano la scuola, soprattutto quelli che vivono in zone controllate dalle pandillas, per paura di incombere in rastrellamenti delle forze armate.
È significativo il fatto che le estorsioni, la principale economia delle bande criminali, non si siano interrotte con il regime di eccezione, segno che le pandillas continuano ad essere attive.
Tuttavia, una grande fetta della popolazione appoggia il Presidente, che subito prima dei fatti di marzo godeva dell’85% dei consensi dei cittadini. La strategia comunicativa di Nayib Bukele è basata su una dialettica forte, la cui chiave per il successo è il fare leva su quella che lui chiama la guerra ai terroristi, la “chemioterapia contro il cancro de El Salvador”. Questa scelta è fondamentale nello spingere i giovani ad arruolarsi nelle forze militari e di polizia – anche per questo, come visto in precedenza, sono stati raddoppiati i fondi a loro destinati negli ultimi due anni.
Il clima di guerra civile aleggia forte nella società salvadoregna dal momento che le garanzie costituzionali che sono state sospese dal regime consentono: un controllo forte sulle linee telefoniche; la violazione di domicilio anche senza mandato; l’invasione della privacy e della libertà dei cittadini. La popolazione – devastata dalle varie attività delle bande criminali, da tanti anni di conflitto passato e dalla pandemia – è arrivata al limite della sopportazione.
Oggi lo stato di eccezione rappresenta una grave minaccia per il processo democratico che El Salvador ha avviato dopo la firma degli Accordi di pace del 1992 e che ha rappresentato per anni il modello per gli altri Stati sudamericani per uscire dalle guerre civili, che hanno caratterizzato molti di questi territori negli anni ’80.
Con questo nuovo regime e la conseguente repressione e limitazione di molte libertà democratiche della popolazione si rischia infatti, di far precipitare il Salvador nuovamente in una vera e propria guerra civile.
Gli attuali fatti di El Salvador – che si stanno verificando anche in altri Paesi – sono diretta emanazione di una guerra intestina che sopravvive latente ai cambi di governo, ma che è pronta a riemergere quando gli equilibri di potere si alterano. Il mancato reinserimento delle bande criminali ha causato una situazione di violenza intrinseca che si auto-alimenta e lascia la popolazione stremata, disperata, senza speranza di una vita degna.
Questa situazione va aggravare la già complicata situazione della regione. La totale mancanza di sicurezza e stabilità, infatti, è un problema che riguarda da sempre l’intera Regione Centroamericana, controllata in gran parte da gruppi criminali e gestita da governi corrotti.
Questa, inoltre, è da sempre una delle cause principali di migrazione di decine di migliaia di persone che decidono di fuggire da quest’area per poter ricercare un futuro migliore e più stabile. Nel corso dell’ultimo secolo i salvadoregni, infatti, si sono spostati in tutto il mondo per scappare dalla violenza, anche se oggi la maggior parte vive negli Stati Uniti.
Il Migration Policy Institute stima che ¼ dei salvadoregni (circa 2 milioni di persone) si trova fuori dal proprio Paese – molti dei quali in Italia – il che ci dà l’idea che a fronte di un passato storico-sociale tragico, il presente non è da meno e continua ad affliggere la comunità di esuli salvadoregni che, sebbene al sicuro fuori dal Paese, sono in costante contatto con i propri famigliari ancora in Salvador e sono fortemente preoccupati per le loro condizioni di vita attuali.
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Una risposta
grazie mi hai salvato per diritto