La presidenza di Al-Sisi, comincia dopo il golpe del 2013 ai danni del presidente Morsi, unico presidente eletto democraticamente nella storia del paese; fin da subito il governo di Al-Sisi si caratterizzò per un profondo e violento depauperamento dei diritti politici e sociali in Egitto. Fu immediatamente chiara la strategia con la quale Al-Sisi intendeva mantenere il potere in Egitto: soprusi, violenze ed omicidi sarebbero divenuti fatti all’ordine del giorno. Ciò che emerge con chiarezza infatti, è l’uso diffuso di varie forme di intimidazione volte a scoraggiare sia gli esponenti politici che i semplici giornalisti dal porre interrogativi sull’operato del governo e dei suoi rappresentanti. La polizia e l’esercito sovente impongono la volontà governativa attraverso varie forme di violenze, dalle intimidazioni e minacce a pestaggi, arresti arbitrari e purtroppo omicidi. Ogni persona, anche solo sospetta di volersi opporre al regime, è in pericolo. Lo scopo è palese: creare un clima politico e sociale di terrore, per impedire la formazione e la potenziale diffusione di qualsiasi forma di opposizione al regime. Il governo egiziano, quindi ritiene necessario utilizzare le forze armate come principale mezzo per il mantenimento del potere. Al centro della strategia politica di Al-Sisi vi è il rafforzamento delle strutture militari e della polizia così da creare un sistema clientelare e violento che ha definitivamente contribuito a consolidare il potere presidenziale. La polizia all’interno dell’apparato di potere egiziano ha un ruolo predominante, essendo lo strumento privilegiato – e perciò tutelato – con il quale il presidente impone le sue politiche alla popolazione e sopprime qualsiasi opposizione alla sua azione di governo. La polizia gode di una quasi totale liberà nell’esercitare le sue funzioni, un’immunità di fondo che gli garantisce ampissimi margini di manovra per le operazioni che esegue, per sopprimere e disincentivare qualsiasi forma di contestazione al regime. (https://www.internazionale.it/notizie/blandine-lavignon/2020/04/22/egitto-ascesa-polizia). Lo strapotere che la polizia detiene all’interno della società si evince dalle numerose nomine dei suoi generali ai vertici dell’alta amministrazione egiziana, rendendo evidente come le violenze e le atrocità commesse da questa siano riconducibili direttamente ed inequivocabilmente alla volontà presidenziale.
Anche l’esercito gode di ampi poteri discrezionali nella scelta del proprio modus operandi che gli garantisce un’importante e diffusa pressione sulla popolazione civile. Negli anni della sua presidenza, Al-Sisi ha posto al vertice dei ministeri, o in altre ruoli chiave, esponenti delle forze armate le quali hanno la funzione di fungere da contrappeso, agli occhi del presidente, allo strapotere della polizia. Di fatto questi due centri di potere devono essere bilanciati essendo potenzialmente in competizione fra loro. Proprio per rispettare questo bilanciamento di poteri dunque, il presidente elargisce favori e garanzie di immunità ad entrambi a discapito dei diritti politici della popolazione d’Egitto, che non può far altro che subirne le gravi e continue violenze.
Nello specifico si pensi che il diritto di riunione e di libertà di espressione è profondamente limitato e la polizia fa rispettare queste limitazioni perpetrando arresti arbitrari e sottoponendo i prigionieri a tortura. Le autorità accusano gli oppositori politici di terrorismo, sottoponendoli a processi iniqui e arbitrari che si concludono spesso con la condanna alla detenzione in carceri mal tenuti e in cui vigono regole medievali. Il clima è ancor più esasperato da continui interventi presidenziali volti a modificare le discipline che regolano la magistratura ed i partiti politici. Dall’agosto del 2018 infatti, il governo può sciogliere arbitrariamente partiti indipendenti, impendendo così la costruzione di qualsiasi forma di opposizione legale al regime. Inoltre, di altrettanta gravità, è l’allargamento della giurisdizione dei tribunali militari divenuti – insieme ai neo-tribunali straordinari – il vero fulcro del potere giudiziario in Egitto. Detti tribunali sono caratterizzati da procedimenti sommari e gli esiti dei processi sono fortemente influenzati da pressioni governative che consentono di ammettere come valide le testimonianze rese sotto tortura e/o altra forma di pressione psicologica. Il quadro è ancor più drammatico con riferimento all’individuazione di potenziali oppositori politici: in questo caso, polizia ed esercito non sono sottoposte ad alcun tipo di limite o controllo in fase di identificazione di questi soggetti. Al contrario, il potere giudiziario asseconda questa assenza di disciplina chiara quando si tratta di individuare gli oppositori.
Ciò che stupisce dell’attuale situazione è che vi è stato un notevole indebolimento delle garanzie afferenti i diritti politici in Egitto. Seppur vero che nemmeno la presidenza di Mubarak si distinguesse particolarmente per la tutela e la salvaguardia dei diritti civili e politici in Egitto impossibile non notare come la degenerazione sia sempre più rapida. Si pensi in effetti che i principali agitatori della Rivoluzione egiziana del 2011, quella che portò alle dimissioni di Mubarak, furono i lavoratori, i quali, stanchi delle pressioni dei capi sindacali, quasi tutti filo-governativi, occuparono le piazze delle principali città egiziane (https://www.internazionale.it/notizie/blandine-lavignon/2020/04/22/egitto-ascesa-polizia ); ciò oggi sarebbe impensabile sia per un fondamentale disinteresse della classe politica rispetto alle istanze della popolazione e sia perché la polizia e i vari apparati governativi rendono impossibile qualsiasi forma di manifestazione del dissenso. L’attuale governo teme ogni tipo di rivendicazione di quelle forze che hanno permesso la fine del trentennale potere di Mubarak, ogni egiziano in questo senso è un potenziale oppositore.
A ben vedere non vi sono luoghi della democrazia che non siano stati compressi o del tutto eliminati da parte del governo tramite l’azione repressiva della polizia.
Sono considerati “nemici della democrazia” tutti coloro che pongono domande o direttamente contestano l’operato del governo, come le ONG (https://espresso.repubblica.it/internazionale/2017/01/16/news/human-rights-watch-in-egitto-con-al-sisi-la-societa-civile-e-a-rischio-estinzione-1.293464 ) e i giornali indipendenti che, ad oggi, non esistono più; in tal senso è emblematica la vicenda dei giornalisti della redazione del giornale Mada Masr, (https://www.internazionale.it/bloc-notes/catherine-cornet/2019/11/26/egitto-raid-mada-masr ) che era l’unico giornale egiziano con cui si potevano reperire informazioni contro il governo, i quali sono stati in gran parte picchiati e arrestati.
La questione sulla libertà di stampa appare ancor più preoccupante anche se si considera che ad oggi non vi sono giornali egiziani degni di questo nome dal momento che quelli rimasti intenti solo a fungere da megafono del governo. In Egitto infatti risulta difficilissimo svolgere la professione del giornalista, a meno che non si voglia intraprendere un lavoro come giornalista filo-governativo. Quest’affermazione è confermata da intimidazioni, arresti ed omicidi – fatti questi che avvengono all’ordine del giorno. Esempio del contesto in cui sono costretti a lavorare i giornalisti che operano in Egitto è l’assassinio del dott. Giulio Regeni, colpevole per le autorità egiziane, di indagare sullo stato in cui riversano i sindacati egiziani sotto il regime. Sindacati che negli anni hanno perso sempre più i loro diritti di rappresentanza e di libera espressione tanto che i sindacati indipendenti non sono riconosciuti risultando oggetto di violenze da parte della polizia egiziana. Più interessante ma forse anche più drammatica è la questione afferente i diritti politici concessi ai sindacati in Egitto. Il governo di Al-Sisi ha reso praticamente impossibile qualsiasi forma di esercizio dei diritti sindacali all’interno dei confini egiziani. Storicamente infatti, per quanto alcuni sindacalisti fossero certamente collusi con il regime, essi comunque rappresentavano le istanze della popolazione; con Al-Sisi la repressione degli enti del terzo settore è ripresa più feroce che mai con l’arresto di centinaia di membri dei sindacati. ( https://www.ilo.org/rome/risorse-informative/comunicati-stampa/WCMS_469455/lang–it/index.htm).
La legge “anti-manifestazione” rende di fatto illegale qualsiasi esercizio dei diritti sindacali, da parte di tutte le organizzazioni che non sono formalmente riconosciuti dal Ministero del Lavoro. Il governo annovera infatti, i sindacati indipendenti o comunque non totalmente allineati al regime, fra i suoi principali nemici per via della potenziale capacità di organizzare con relativa facilità sommosse popolari contro il regime. Il clima di forte ostilità che il governo sta perseguendo nei confronti dei sindacati è confermato anche da numerosi report e osservazioni del OIL che ha espressamente sottolineato la necessità di un intervento normativo volto a rispettare i principi contenuti nelle dichiarazioni internazionali afferenti i diritti dei lavoratori (https://www.ilo.org/rome/risorse-informative/comunicati-stampa/WCMS_469455/lang–it/index.htm).
Come detto, la questione dei diritti sindacali è solo uno degli indici attraverso i quali si misura lo stato della libertà politiche e sociali degli egiziani. Le diffuse violenze e i sempre più gravi atti intimidatori, nonché vari omicidi, hanno portato moltissimi lavoratori a passare dai sindacati indipendenti a sindacati filogovernativi. Il malumore e la paura serpeggiano fra i lavoratori, i quali sono sempre più convinti che sia inutile opporsi al regime ma anzi convenga unirsi ad esso. Emblematica dello strapotere dell’attuale governo è la modalità con cui si sono svolte le ultime elezioni presidenziali. Al-Sisi ha infatti stravinto vincendo contro un unico candidato all’opposizione. Questo candidato è stato Moussa Mustafa Moussa che, oltre ad aver formalizzato la sua candidatura solo nell’ultimo giorno utile per la presentazione, si è anche adoperato a raccogliere firme in favore di Al-Sisi fino al giorno prima (http://www.parlamento.it/application/xmanager/projects/parlamento/file/repository/affariinternazionali/osservatorio/approfondimenti/PI0152_App.pdf). Non dovrebbe stupire quindi come la sua candidatura sia stata voluta direttamente dalla presidenza per “salvare la faccia” nei confronti dell’opinione pubblica internazionale.
I rapporti dei principali osservatori internazionali risultano drammatici facendo apparire chiaro che si sono superati dei limiti che fino allo scorso decennio sembravano consolidati, almeno formalmente. A conferma dell’ormai totale controllo di Al-Sisi nei conforti della società e della politica egiziana è la riforma costituzionale da lui voluta.
La riforma rinforza notevolmente ed ulteriormente i poteri presidenziali (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/referendum-egitto-al-sisi-verso-la-presidenza-vita-22920 ). Emblematico in tal senso è sottolineare l’abolizione del vincolo dei due mandati della presidenza, e la reintroduzione del Senato (abolito con la costituzione del 2014) formato da 180 membri di cui 1/3 di nomina presidenziale. Viene inoltre riconfermato il ruolo centrale delle forze armate, attraverso la concessione di numerose garanzie – tra cui l’allargamento delle corti militari – il che pone le basi al fatto che il mandato di Al-Sisi possa essere esteso ad infinitum (https://www.limesonline.com/egitto-referendum-riforma-costituzione-mandato-presidenziale-al-sisi-fino-al-2030/112255 ).