Dei paesi africani, la Nigeria è indubbiamente uno fra i più difficili in cui vivere se si è una persona LGBTQ+. Oltre alla criminalizzazione dell’omosessualità, la Nigeria è anche uno dei paesi rimasti nei quali è prevista una pena corporale e, a seconda dei casi, anche la pena capitale per questo “reato”. A ciò si unisce un contesto sociale particolarmente avverso alle persone della comunità, costrette a vivere la loro esistenza nell’ombra, lontano da sguardi indiscreti, col rischio di essere denunciati e vedere così la propria vita rovinata per aver semplicemente espresso il proprio vero essere. Le problematiche vissute dalle minoranze sessuali nigeriane hanno origine innanzitutto nell’apparato legislativo, altamente omofobo e intollerante, e continuano nel paese reale fra la popolazione poco ricettiva delle istanze delle persone LGBTQ+ ed anzi, chiaramente avversa ad esse.
Quadro Legislativo e Impatto nella Società Civile
Come già anticipato sopra, la Nigeria criminalizza l’omosessualità. La condanna che la legge impone non si ferma alle condotte sessuali ma arriva a punire anche l’espressione di genere (e quindi l’identità) delle persone. E’ illegale infatti per una donna esprimersi attraverso atteggiamenti e capi maschili, viceversa per un uomo.
Il forte conservatorismo della Nigeria (conseguenza anche di un radicato sentimento religioso da parte di tutta la popolazione, cristiana e mussulmana) si traduce dunque in un attacco non solo ai comportamenti sessuali delle persone, ma anche alle loro identità ed ai modi in cui queste dovrebbero esprimersi – secondo i leaders religiosi.
Nel merito, la Nigeria è uno Stato federale che non presenta un solo sistema giuridico ma vede la coesistenza di più apparati legislativi che convivono ed esercitano la loro influenza all’interno dei confini nazionali.
Il nord del paese (a maggioranza mussulmana) ha un proprio Codice penale Federale. Tuttavia, 12 stati settentrionali – Bauchi, Borno, Gombe, Jigawa, Kaduna, Kano, Katsina, Kebi, Niger, Sokoto, Yobe, Zamfara – hanno adottato alcune forme di Sharia (il sistema islamico di leggi e precetti di ispirazione divina), che trova applicazione non solo su tutti i mussulmani residenti in detti Stati ma anche su chiunque decida volontariamente di sottoporvisi.
Il sud della Nigeria ha una popolazione per lo più di fede cristiana e ha anch’esso un proprio Codice penale, che si applica ai soli Stati del sud.
Che si tratti dunque del Codice del Nord del Paese, di quello del Sud o delle norme della Sharia, in tutti e tre i testi emergono chiaramente una certa attenzione e meticolosità nell’individuare le fattispecie che costituiscono il “reato di omosessualità” ed affini, come pure le pene da infliggere.
Analizziamo dunque i punti in comune fra i sopradetti Codici e le differenze per quanto riguarda i crimini legati all’orientamento sessuale ed all’identità di genere e le conseguenti pene applicate:
- Il Codice penale Federale del Sud della Nigeria considera gli atti sessuali fra uomini illegali con condanna a 14 anni di reclusione. L’attività sessuale femminile, pur non essendo esplicitamente menzionata, è da intendersi configurare ugualmente lo stesso reato e quindi trova applicazione anche per le donne lesbiche la stessa pena.
Il codice approfondisce la materia nel Capitolo 21 nelle sezioni 214, 215 e 217 secondo le quali:
- Chiunque intrattenga rapporti carnali contro l’ordine della natura o permetta a qualcun altro di farlo commette reato punibile con 14 anni di reclusione (sezione 214);
- Chiunque tenti di commettere le suddette condotte è punibile con 7 anni di reclusione, non senza un mandato (sezione 215).
- Chiunque sia uomo e commetta atti osceni, in pubblico o in privato, con un altro uomo o costringa qualcuno a commettere tali atti o anche solo provi a farlo può essere punito con 3 anni di reclusione, non in mancanza di un mandato (sezione 217).
- Anche il Codice Penale Federale del Nord del Paese prevede una pena fino a 14 anni di reclusione, con possibile applicazione aggiuntiva di una multa, per rapporti carnali fra persone dello stesso sesso o fra persone e animali (sezione 248).
Inoltre, la sezione 405 del Codice definisce come “vagabondo” qualunque uomo si vesta con abiti femminili o che abbia fatto della sodomia il suo stile di vita o la sua professione.
Le sezioni 407 e 408 prevedono, per i vagabondi, una pena di un anno di reclusione, una multa o entrambe e, nel caso di recidività dell’atto incriminato, due anni di reclusione, una multa o entrambe contemporaneamente.
- Nei dodici Stati settentrionali che adottano la Sharia tutte le condotte che possono costituire una “deviazione dall’ordine naturale” sono duramente punite. Sebbene ogni Stato decida come adottare la legge ed eseguire le condanne, è possibile affermare che ciascuno di essi prevede pene molto severe per il “reato” di omosessualità – che vanno dalla punizione corporale con frustate alla pena capitale, spesso praticata tramite lapidazione.
Oltre a condannare ulteriori condotte riconducibili alle minoranze sessuali (rapporti sessuali fra persone dello stesso sesso, relazioni romantiche fra persone dello stesso sesso, travestitismo etc.) con sanzioni pecuniarie, periodi di reclusione, punizioni corporali e/o morte, alcuni Stati che applicano la Sharia menzionano espressamente il lesbismo fra gli altri comportamenti da condannare con un sistema di punizioni del tutto affine a quello previsto per i rapporti fra uomini.
L’accenno esplicito all’omosessualità femminile è una tendenza per lo più minoritaria all’interno di certa giurisprudenza, figlia della scarsa considerazione data alle donne (in Nigeria come nel resto del mondo) che le rende soggetti invisibili del diritto, interessate da quest’ultimo solo in quanto controparte passiva dell’uomo.
A questo quadro si aggiunge il fatto che, sebbene la Costituzione nigeriana affermi l’uguaglianza di tutti i cittadini e promuova uguali diritti (all’assistenza sanitaria, al lavoro etc.) per tutti, le tutele costituzionali sembrano non trovare applicazione alcuna quando la persona in questione è LGBTQ+.
Tutto questo è aggravato dal fatto che la Nigeria, così come l’Italia del resto, non possiede alcuna legislazione atta a proteggere dalla discriminazione basata sull’orientamento sessuale o l’identità di genere.
Percezione e Status Sociale
Se le leggi, oltre che regolare uno Stato, ne riflettono anche la società non può stupire sapere che un apparato legislativo così intollerante nei confronti della comunità LGBTQ+ nasce in una società altamente discriminatoria e poco ricettiva delle istanze delle minoranze sessuali, che si fanno sentire sia all’interno sia all’esterno del Paese.
A titolo di “mero esempio” del grado di intolleranza presente nella società nigeriana si cita un’indagine del 2007 del Pew Global Attitude Project dalla quale risulta che per il 97% dei nigeriani l’omosessualità è una condotta che la società non dovrebbe accettare (il secondo tasso più alto fra tutti i 45 paesi intervistati).
Anche la politica riflette questa tendenza: due dei partiti nigeriani più popolari – il Partito Democratico Popolare e il Partito del Popolo di Tutta la Nigeria – sono apertamente avversi alla comunità LGBTQ+. Linea politica condivisa anche dai partiti più piccoli e di stampo più liberale.
Se la classe politica nigeriana, dunque, sposa questa filosofia non dovrebbe stupire sapere che in Nigeria i primi tentativi di proibire qualsiasi forma di unione matrimoniale fra persone dello stesso sesso risalgono al 2006 con il Same Sex Prohibition Act, che non fu approvato.
Fu dunque proposto in una forma del tutto similare e con un nome quasi identico – Same Sex Prohibition Bill – nel 2011 e, dopo un iter legislativo di oltre due anni, nel gennaio del 2014 divenne legge con la firma dell’allora presidente Goodluck Jonathan.
Oltre a proibire le unioni omosessuali, la legge vieta anche ogni tipo di associazionismo LGBTQ+ con pene dai 10 ai 14 anni di reclusione.
Ben lontane da rimanere “lettera morta”, queste leggi sono applicate quotidianamente dalle autorità locali a giudicare dai numerosi arresti legati al reato di omosessualità (come il caso dei 53 uomini dello stato di Kaduna partecipanti ad un’unione gay nel 2017 o delle 100 persone fra donne e uomini accusate d’essere gay e lesbiche nello stato di Delta nel 2018) e dalle dichiarazioni delle stesse autorità pubbliche – come quella di Dolapo Badmos, portavoce della polizia dello stato di Lagos, che nel gennaio 2019 ha dichiarato che le persone omosessuali del paese avrebbero dovuto scegliere se scappare o restare ed affrontare la persecuzione.
È certamente scontato che in un contesto così avverso e discriminatorio, l’intero processo di sensibilizzazione e rieducazione è affidato al lavoro degli attivisti, sia dentro che fuori il paese. Fra di loro va sicuramente menzionato Bisi Alimi, primo uomo nigeriano a fare coming out sulla tv nazionale nel 2004. A seguito di ciò Bisi non ha di certo avuto vita facile e ha dovuto cercare rifugio a Londra per le ripercussioni che stava avendo il suo gesto rivoluzionario, prima fra tutte l’abbandono da parte dei suoi familiari.
In una recente intervista Bisi ha però dichiarato che dopo 10 anni di silenzi, la sua famiglia ha ricominciato a cercare contatti con lui ed egli crede che questo sia l’inizio di un processo di apertura che sta interessando la popolazione nigeriana in questo momento. Un processo di cui sicuramente lui e la fondazione che porta il suo nome si fanno portatori e promotori.
Un’altra attivista proveniente questa volta dall’interno del paese è l’influencer transessuale Bobrisky che, per la sua sola esistenza in Nigeria, porta con sé un potenziale rivoluzionario e di sensibilizzazione direttamente proporzionale al numero dei suoi seguaci su Instagram e Snapchat.
Parlare di rappresentazione LGBTQ+, di minoranze sessuali e discriminazione in Nigeria non solo non è facile ma in alcuni casi può essere sicuramente pericoloso.
A queste donne e questi uomini che lottano per l’uguaglianza va tutto il nostro sostegno con la consapevolezza che quando arriverà il cambiamento in Nigeria questo avrà camminato sulle loro gambe.
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