Il Kenya è un paese, come molti stati africani, caratterizzato da un mosaico estremamente variegato di popolazioni, etnie, lingue, religioni e tradizioni, tutte in contatto l’una con l’altra in maniera più o meno armonica. Il Kenya è anche uno dei paesi in cui l’omosessualità costituisce reato. Le persone queer kenyote, dunque, non hanno vita semplice e affrontano ogni giorno discriminazioni e violenze ai loro danni. Tuttavia, il paese ha anche dimostrato, soprattutto negli ultimi anni, un atteggiamento più conciliatorio e di apertura nei confronti delle istanze LGBTQ+ che, al contrario di altri paesi limitrofi, non sono sottoposte a censura o repressione all’interno della società kenyota. Le istituzioni statali si sono anche spese in piccole concessioni a livello legislativo, soprattutto negli ultimi anni. Questo non va interpretato come un segno di tolleranza ed effettiva accettazione della comunità LGBTQ+ (le persone omosessuali e transessuali sono ancora vittime di atti discriminatori e violenti), tuttavia dimostra che in Kenya è in corso una liberazione i cui semi sono già presenti nella società e attendono di schiudersi.
Quadro Legislativo e Impatto nella Società Civile
Il Codice Penale del Kenya del 1930 stabilisce alla Sezione 162 che chiunque: “(a) ha una conoscenza carnale di qualsiasi persona contro l’ordine della natura; o […] (c) permette ad una persona di sesso maschile di avere una conoscenza carnale di lui o lei contro l’ordine della natura, è colpevole di un reato ed è punibile con la reclusione per quattordici anni”. Il testo continua a legiferare nel merito nelle Sezioni successive (163, 165) stabilendo delle aggravanti (21 anni di reclusione) in caso di rapporti omosessuali non consensuali, e delle attenuanti (7 e 5 anni) in caso il rapporto omosessuale sia stato solo tentato senza essere effettivamente praticato o in caso di altri atti fra uomini non meglio precisati contro il pubblico decoro. L’omosessualità femminile non trova specifica menzione nel testo, tuttavia è indubbio che la norma si applichi anche a relazioni fra donne.
La Commissione per i Diritti Umani del Kenya, un’organizzazione non governativa nata nel 1992 con lo scopo di diffondere nel paese la cultura e il rispetto dei Diritti Umani, ha riferito nel 2011 di come queste norme abbiano effetti indiretti ma molto negativi sulle persone LGBTQ+. Nello specifico, il rapporto afferma che: “Le pratiche sessuali dello stesso sesso rimangono criminalizzate […] e anche se ci sono poche condanne basate sulle sezioni 162-165 del Codice Penale […], le persone LGBTI sono abitualmente molestate dalla polizia, tenute in custodia cautelare oltre il periodo costituzionale senza che vengano mosse accuse contro di loro, e presentate in tribunale con accuse inventate. Strettamente collegato a questo, è un cartello di funzionari di polizia corrotti che abitualmente estorcono e ricattano le persone LGBTQ+ con la minaccia di arresto e detenzione in cambio di tangenti. […] Ai lavoratori e le lavoratrici del sesso LGBTQ+, per lo più MSM (uomini che fanno sesso con uomini), vengono spesso chieste tangenti e favori sessuali da ufficiali di polizia maschi in cambio della loro libertà e sicurezza. […] Coloro che non danno tangenti o favori sessuali sono accusati di essere travestiti e a volte violentati da agenti della sicurezza statale.”
Inoltre, la Costituzione del Kenya, entrata in vigore il 27 agosto 2010, pone ulteriori quesiti di natura legislativa. Infatti, la Costituzione non protegge espressamente le persone LGBTQ+ del Paese. Tuttavia, il testo riafferma la protezione e il rispetto dei diritti umani e ribadisce gli obblighi internazionali stabiliti nei trattati e nelle convenzioni cui il Kenya prende parte, conferendo loro forza costituzionale e rendendo quindi nullo ogni provvedimento in contrasto. Questo ha sollevato molte questioni di ambito costituzionale e ha portato molti esperti ed accademici, tra i quali Makau Mutua, presidente della Commissione per i Diritti Umani del Kenya e decano della University at Buffalo Law School, a ritenere le norme apertamente discriminatorie verso la comunità LGBTQ+ nulle e invalide.
Alla luce di ciò, diversi sono stati i tentativi da parte di gruppi di attivisti per abrogare le sezioni discriminatorie del Codice Penale per incostituzionalità, l’ultimo dei quali nel 2018 ad opera di Eric Gitari, direttore esecutivo del Kenyan National Gay and Lesbian Rights Commission, conclusosi purtroppo col respingimento dell’istanza da parte dell’High Court of Kenya.
In questa situazione, il prezzo più alto lo pagano le categorie più marginali della Comunità LGBTQ+ kenyota, come le persone transgender che affrontano ogni giorno stigma, violenza e discriminazione, molto presente, così come la violenza sessuale, e questo ha un impatto sul riconoscimento di un terzo sesso da parte del governo, nell’accesso alla giustizia, all’occupazione, alla sanità e in altri campi della vita pubblica, o come le persone intersex che oltre a quanto scritto sopra vanno anche incontro a mutilazioni, interventi chirurgici senza il loro consenso e difficoltà burocratiche nell’ottenere i documenti.
Percezione e Status Sociale
Nel 2011, la Commissione per i Diritti Umani del Kenya, un’organizzazione non governativa, ha pubblicato il primo documento di ricerca sullo status legale e sociale delle persone LGBTQ+ in Kenya. Tra coloro che hanno fatto coming out o hanno subito outing, l’89% ha riferito di essere stato allontanato. Il rapporto inoltre parla di dipendenti che sono stati licenziati o sottoposti a ostilità, messe in ridicolo, umiliazioni e discriminazione quando il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere sono diventati noti sul posto di lavoro. L’anno successivo, la Commissione Nazionale Governativa del Kenya per i Diritti Umani, un organismo autonomo statale nato nel 2002, ha riferito che: “Le persone LGBTQ+ sono discriminate, stigmatizzate e sottoposte a violenza a causa del loro orientamento sessuale. Nei casi in cui hanno bisogno di cure mediche, subiscono lo stigma perpetuato dagli operatori sanitari che violano la loro privacy e riservatezza esponendo il loro orientamento sessuale agli altri colleghi della struttura. Gli operatori sanitari non sono amichevoli e difficilmente capiscono i loro bisogni di salute sessuale e riproduttiva. […] Le forze dell’ordine spesso non riescono a venire in loro soccorso. Dopo l’arresto, la polizia li sottopone a inutili perquisizioni corporali e domiciliari, presumibilmente alla ricerca di prove che potrebbero collegarli ad altri crimini. Vengono profilati come consumatori di droga, ex detenuti o individui con precedenti penali. Spesso affrontano arresti arbitrari, sono spesso detenuti nelle stazioni di polizia, sottoposti a torture e molestie inutili da parte della polizia che estorce loro denaro e vengono rilasciati solo dopo averli corrotti. Subiscono anche abusi sessuali da parte degli agenti che li arrestano. […] Quando le loro identità vengono scoperte, le persone LGBTQ+ non possono cercare lavoro o intraprendere altre forme di attività. A volte, devono continuare a trasferirsi in diverse aree residenziali per nascondere la loro identità. […] Inoltre sono spesso sfrattati dai vicini dalle loro case in affitto e condannati per il loro orientamento che viene definito malvagio.”
Ovviamente, i valori religiosi e culturali tradizionali giocano un ruolo fondamentale in questo e i moltissimi interventi e le dichiarazioni ufficiali da parte di autorità religiose ed esponenti della politica contro le persone LGBTQ+ del paese e le battaglie da loro portate avanti non fanno che peggiorare la situazione.
Tuttavia, all’interno della società kenyota è già in atto un piccolo cambiamento: secondo un’indagine del Pew Research Center del 2020, il 14% dei cittadini del Kenya ha detto che l’omosessualità dovrebbe essere accettata dalla società, contro l’1% del 2001. Sebbene la maggior parte della popolazione (83%) si sia dichiarata contraria, la tendenza al rialzo dei cittadini tolleranti è innegabile. Inoltre, fra i film che hanno avuto più successo negli ultimi anni in Kenya c’è “Rafiki”, opera della regista Wanuri Kahiu, che parla della storia d’amore fra due giovani donne e del loro rapporto all’interno di un paese come il Kenya. Il film ha ricevuto molte attenzioni e lodi dalla stampa internazionale, grazie anche al suo debutto al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, e dopo un iniziale ostracismo da parte delle autorità del paese (che hanno provato a censurare la pellicola), “Rafiki” è stato finalmente proiettato anche a Nairobi, con la prima completamente sold out.
Infine, in Kenya sono presenti molte realtà che assistono e affiancano le minoranze sessuali. Fra le associazioni LGBTQ+ operanti in Kenya ci sono la Gay and Lesbian Coalition of Kenya, il Gay Kenya Trust e la National Gay & Lesbian Human Rights Commission (per citare le più importanti) che ogni giorno abbattono mattone dopo mattone il muro di ignoranza e intolleranza che ancora ingabbia la società kenyota. Quando non ci saranno più norme discriminatorie e omotransfobiche, quando nessuno più perderà il lavoro o la casa solo per il modo in cui è o per la persona che ama, quando davvero giungerà la liberazione sarà grazie agli sforzi delle attiviste e degli attivisti, delle artiste e degli artisti, dei cittadini tolleranti e di chiunque preferisca l’amore e l’accettazione all’odio e all’ignoranza. E se la strada che conduce lì è ancora lunga e in salita una cosa è certa: il primo passo è stato fatto e non si torna più indietro.
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- Gianmarco Cristaudohttps://migrazioniontheroad.largemovements.it/author/gianmarco-cristaudo/
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