In questi giorni anche i media italiani stanno seguendo l’escalation di violenze che hanno portato i Talebani nella giornata di domenica 15 agosto a prendere definitivamente Kabul e riconquistare così il pieno controllo del paese. Questo dopo 20 anni di una massiccia presenza occidentale che avrebbe dovuto favorire la costruzione di un regime democratico in un paese dilaniato da oltre 40 anni di guerra.
Qualche dato utile relativo al “processo di democratizzazione”
- Spese militari pari a $ 2.000 miliardi, tra cui:
- Stati Uniti: oltre $ 1.000 miliardi di dollari. Da notare che gli USA non hanno pagato direttamente con i propri fondi statali ma, come in tutte le guerre nelle quali hanno partecipato, hanno fatto ricorso al debito sovrano federale. Ciò vuol dire che le spese militari sono state pagate dai maggiori creditori degli USA, primo tra tutti la Cina che vanta un credito pari a 1180 miliardi di dollari (dato aggiornato ad agosto 2020)
- Italia: circa 8 miliardi di dollari
- Progetti civili di cooperazione allo sviluppo, destinati alla costruzione di scuole, strade, ospedale ed alla formazione e remunerazione di personale locale (mediatori, interpreti, operai, ingegneri): appena $ 792 milioni
- Due operazioni militari in totale:
- Enduring Freedom: l’obiettivo dell’operazione era uccidere Bin Laden. Il leader di Al Qaeda, infatti, si era rifugiato in territorio afghano ed i talebani si erano rifiutati di consegnarlo agli Stati Uniti. Bush, convinto che si sarebbe trattato di una guerra lampo, il 7/10/2001 ordina i primi bombardamenti su Kabul e Jalalabad.
L’obiettivo della missione fu raggiunto il 2/05/2011 ed il 28/12/2014 Barak Obama annuncia il termine formale dell’operazione.
- Resolute Support Mission: missione iniziata il 1/01/2015 con il duplice obiettivo di formare e supportare sia l’esercito afghano che le istituzioni democratiche nella lotta all’estremismo dei Talebani da un lato e nell’affermazione di un sistema democratico. Obiettivi questi che, nonostante le dichiarazioni di Biden e Blinken per giustificare il ritiro delle truppe NATO dall’Afghanistan, non sono mai stati raggiunti. Ciò è reso ancor più evidente dalla rapidità con cui i Talebani sono riusciti ad arrivare a Kabul nonostante fossero numericamente molto inferiori in quanto:
b.1) militari esercito ufficiale afghano formati dalla NATO: circa 325 mila unità
b.2) Talebani combattenti: circa 65 mila unità
- Presenza militare occidentale concentrata nelle città, con scarsa penetrazione nei villaggi e quasi zero contatti con i villaggi più isolati. I Talebani hanno sfruttato questa opportunità per riorganizzarsi negli anni, mimetizzandosi tra la popolazione e per alimentare l’odio della popolazione nei confronti dei contingenti occidentali – percepiti come dei veri e propri occupanti
- Almeno 241.000 vittime in circa 20 anni di guerra (numero sottostimato), molti dei quali civili
- La Missione di assistenza delle Nazioni Unite ha dichiarato che il numero di vittime civili nel 2021 rischia di essere il più alto mai registrato da quando l’Organizzazione è stata fondata
- Sfollati interni secondo l’UNHCR: circa 600.000,00, di cui l’80% costituiti da donne e bambini
- Circa 1.000 persone al giorno attraversano illegalmente il confine con la Turchia, per questo motivo Erdogan sta accelerando la costruzione di un muro al confine con l’Iran. Questo a seguito della richiesta americana dello scorso 13 agosto – giudicata ipocrita dal governo turco – di consentire ai profughi di rifugiarsi in Turchia perché temono una catastrofe umanitaria conseguente il loro rapido ritiro dal territorio
- Alcuni Stati membri UE (tra cui Belgio, Austria, Danimarca e Grecia) continuano i rimpatri forzati verso l’Afghanistan nonostante paesi come la Germania, l’Olanda e la Francia li abbiano sospesi proprio perché il paese non è sicuro
Analizzando questi dati viene spontaneo quindi chiedersi se l’effettiva intenzione della coalizione NATO guidata dagli Stati Uniti fosse veramente quella di dotare il paese di strutture democratiche dal momento che quasi nulla è stato fatto in tal senso. La compravendita di armamenti ed in generale le spese militari d’altro canto, si sono rivelate un business fruttuoso in suolo afghano.
Ciò è confermato dallo scarso interesse nei confronti delle condizioni di vita dei civili, deducibile da:
- scarsità dei progetti di sviluppo implementati negli anni;
- cieco cinismo di alcuni Paesi UE nei confronti delle ultime notizie in arrivo dall’Afghanistan;
- ineffettività del Joint Statement siglato da 60 Paesi del mondo (tra cui Italia, USA, Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Korea, Qatar e Gran Bretagna) dove si chiede a “coloro nelle posizioni di potere e di autorevolezza in Afghanistan” di garantire la protezione dei diritti umani e delle proprietà dei civili, senza specificare chi siano queste persone in posizione di potere. La dichiarazione poi, chiede di lasciar partire i cittadini afghani che lo desiderano affermando che la comunità internazionale è pronta ad assisterli.
Finora però, alcun corridoio umanitario è stato creato anzi, come abbiamo visto, i respingimenti verso l’Afghanistan continuano.
Perché i militari dell’esercito ufficiale afghano non hanno opposto resistenza?
In questi giorni ci si interroga molto sul perché, nonostante la grande discrepanza di allocazione delle risorse a favore delle spese militari piuttosto che dell’implementazione di attività volte allo sviluppo reale del paese, i militari afghani si siano trovati incapaci di reagire all’avanzata talebana.
In molti villaggi e città, infatti, l’esercito ufficiale si è arreso ancor prima di ingaggiare una battaglia od al massimo hanno negoziato la resa. Nelle zone dove invece si è combattuto, l’esercito ha subito delle vere e proprie disfatte con un gran numero di persone – sia civili che militari – che hanno raggiunto le cliniche di Emergency con evidenti ferite da guerra.
Per capire il perché di questa estrema debolezza dell’esercito ufficiale dobbiamo fare un passo indietro ed analizzare più da vicino il tipo di supporto che le operazioni della NATO fornivano ai militari afghani.
Come un’analisi dettagliata e ben strutturata de Il Post sottolinea infatti, ed alla quale si rimanda per completezza, il collasso dell’esercito è da imputare a:
- corruzione del governo afghano e dei comandanti dell’esercito, i quali hanno “gonfiato” i numeri dei militari effettivamente reclutati così da giustificare gli ingenti finanziamenti ricevuti dalla NATO – la cui effettiva destinazione appare dubbia;
- le condizioni di vita dei soldati erano misere tanto che molti non potevano permettersi di acquistare i fucili con i quali erano equipaggiati poiché valevano molteplici mesi del loro salario. Per di più, il governo negli ultimi mesi aveva sospeso i pagamenti ed aveva bloccato l’invio di munizioni e di razioni di cibo sufficienti al sostentamento delle truppe (d’altro canto i Talebani pagano lautamente le loro milizie);
- la presenza militare americana influiva positivamente sul morale dell’esercito, convinto che senza il supporto degli Stati Uniti non sarebbero mai riusciti a vincere contro i Talebani. Per questo motivo le decisioni di Trump e di Biden che di fatto sancivano un ritiro senza condizioni dal suolo afghano, sono state interpretate dai militari non solo come un abbandono dell’Afghanistan ma anche e soprattutto come un ritiro del sostegno politico occidentale al governo afghano creato dagli stessi Stati Uniti.
I soldati, quindi, hanno cominciato ad interrogarsi sull’opportunità di rischiare la propria vita per un governo giudicato corrotto ed incapace di formulare una strategia di rinascita del paese che prevedeva l’inclusione dei vari gruppi etnici e tribali.
Molti militari dell’ormai ex esercito afghano, dunque, hanno seguito il “consiglio” dei leader talebani di consegnare le armi e di unirsi al nuovo governo che si sta delineando. In cambio di questa dichiarazione di lealtà, i Talebani promettono ai soldati afghani di risparmiare la loro vita – e quella delle loro famiglie – e le loro proprietà. I nomi di coloro che accettano, vengono inseriti in una lista di riserve che, a detta del governo talebano, verranno chiamate a combattere in caso di bisogno.
Tutti questi fattori hanno contribuito alla rapida ascesa talebana alla quale si è assistito negli ultimi 10 giorni e che li ha portati ad occupare territori e ad impadronirsi delle armi abbandonate dai soldati (tra cui anche armi che mai avevano avuto prima come carri armati, elicotteri, aerei). Ciò rappresenta una grave minaccia non solo per il popolo afghano ma anche per il restante del mondo dal momento che, tra le loro fila, sono mescolati anche terroristi dell’Isis e di Al Qaeda.
Talebani dal volto “nuovo e democratico”?
Come vedremo meglio in successivi approfondimenti, la giustificazione fornita dalle amministrazioni statunitensi (Trump prima e Biden poi) per il ritiro senza condizioni delle truppe è stata quella che, tramite la sigla degli Accordi di Doha nel 2013, i talebani avevano garantito il rispetto dei diritti umani – anche di quelli delle donne.
Questo drastico cambio di mentalità rispetto ai Talebani degli anni ’90 sembra essere stato confermato da uno dei portavoce dei guerriglieri Mohammad Naeem, il quale ai microfoni di Al Jazeera ha dichiarato “La guerra in Afghanistan è conclusa. Abbiamo raggiunto ciò che volevamo ottenere ovvero la libertà del Paese e l’indipendenza del popolo afghano”.
Naeem ha poi aggiunto che i Talebani non vogliono più vivere in isolamento e che rispetteranno i diritti delle donne e la libertà di stampa all’interno dei principi statuiti dalla Sharia. Di questi ultimi, Large Movements si era già occupato in precedenza. In attesa di ulteriori approfondimenti aggiornati dunque, vi invitiamo a leggere il nostro contributo per scoprire di più sulle violazioni dei diritti delle donne connesse all’applicazione della legge islamica.
Ed ancora, il Mullah Baradar Akhund (numero due dei Talebani), ha dichiarato “Questa è l’ora della prova. Noi forniremo i servizi alla nostra nazione, daremo serenità alla nazione intera e faremo del nostro meglio per migliorare la vita delle persone”.
Sulla figura di Akhund vale la pena soffermarsi un secondo in quanto si tratta del co-fondatore, insieme allo storico leader Mullah Omar (morto nel 2013) dei Talebani ed è colui che è stato incaricato di dichiarare l’Emirato Islamico di Afghanistan. Già questo fa prevedere una continuità con l’approccio che i Talebani hanno avuto negli anni ’90 nei confronti dei diritti civili della popolazione.
Per di più, Baradar Akhund è stato imprigionato dall’intelligence pakistana per quasi 6 anni (5 anni e 10 mesi per l’esattezza) ed è stato scarcerato per volere degli Stati Uniti in quanto lo ritenevano una figura fondamentale per riappacificare il paese.
Questo è un altro elemento che ha fatto capire ai militari dell’esercito afghano ufficiale che gli Stati Uniti stavano progressivamente ritirando il sostegno politico al governo, che loro stessi avevano creato, per affidarlo a coloro che avevano sempre dichiarato di voler annientare (per raggiungere questo obiettivo dichiarato infatti, le truppe statunitensi hanno occupato il territorio afghano per 20 anni).
Nonostante le dichiarazioni dei Talebani, la realtà sul campo risulta già essere ben diversa e sembra che non potrà far altro che degenerare.
Come denunciato dalla regista afghana Saharaa Karimi tramite social, i Talebani hanno già rapito bambini, venduto delle bambine in sposa, assassinato alcune donne per il loro abbigliamento, torturato ed assassinato uno dei più famosi comici afghani, assassinato un poeta storico afghano, assassinato il capo della cultura e dei media per il governo afghano, assassinato persone affiliate al governo decaduto e stanno impiccando pubblicamente gli uomini.
Purtroppo le notizie che continuano ad arrivare dalle agenzie di stampa non fanno altro che confermare l’aumento delle violenze dei Talebani, almeno nei villaggi ma la paura tangibile è che, una volta ottenuta una forte legittimazione internazionale, queste atrocità si verificheranno in tutto il paese.
Large Movements seguirà con attenzione gli sviluppi della crisi umanitaria così come quelli geopolitici e fa appello a tutti affinché non cali il silenzio sulla situazione drammatica dell’Afghanistan. Ma soprattutto lanciamo un appello alle potenze occidentali affinché vengano aperti al più presto dei corridoi umanitari per permettere l’uscita in sicurezza di tutti gli afghani che temono per la propria incolumità e/o per il futuro del paese dal momento che questo disastro poteva essere evitato. Ed i responsabili di questi madornali errori di valutazione sono propri i governi occidentali.
Non possiamo quindi voltare le spalle alla popolazione afghana che ha creduto nelle promesse di democratizzazione fatte dalla NATO e non possiamo pensare di aver fatto il massimo possibile in nostro potere siglando un Joint Statement che di fatto non dice nulla o continuando a riunirsi per discutere della situazione, senza mai decidere un’azione concreta, mentre le persone stanno morendo intrappolate in Afghanistan senza vie di fuga.
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